L'illegalità della pena si valuta in relazione alla pena finale e non a errori di calcolo al suo interno
19 Agosto 2019
Con riguardo al concetto di pena illegale, pacifico è ormai l'orientamento giurisprudenziale, per cui: «la valutazione di congruità della pena concordata dalle parti debba essere compiuta dal giudice in relazione alla pena finale, cioè con riferimento al risultato finale dell'accordo» (Cass. pen., Sez. IV, 28 settembre 2000, n. 4382; Cass. pen., Sez. IV, 10 gennaio 2001 n. 8151; Cass. pen., Sez. II, (ord.) 28 ottobre 2016, n. 52261), «indipendentemente dai singoli passaggi interni di computo, in quanto è unicamente il risultato finale che assume valenza quale espressione ultima e definitiva dell'incontro delle volontà delle parti» (Cass. pen., Sez. III, 28 maggio 2009, n. 28641). Così, sempre in arresti giurisprudenziali precedenti, è stata affermata l'irrilevanza degli eventuali errori di calcolo commessi nel determinare la sanzione concordata ed applicata dal giudice, purché il risultato finale non si traduca in una pena illegale, da intendere nel senso anzidetto (Cass. pen., Sez. IV, 17 novembre 2005 n. 1853; Cass. pen., Sez. VI, 30 ottobre 2013 n. 44907; Cass. pen., Sez. V, 12 ottobre 2016, n. 51736). In tal senso, anche la sentenza n. 35200/2019, con cui la Prima Sezione della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione del Pubblico Ministero diretto ad accertare l'illegalità della pena ottenuta in sede di sentenza di applicazione della pena su richiesta concordata dalle parti (con una diminuzione di pena per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche pari alla metà anziché di un terzo). |