Coltivazione di piante stupefacenti. Quando si configura il reato?
20 Agosto 2019
Con ordinanza n. 35436/2019, la Terza Sezione della Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: «se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, è sufficiente che la pianta sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l'attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato».
Si dà conto, infatti, di due orientamenti contrapposti: i) secondo, infatti, un primo indirizzo, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato (così: Cass. pen., Sez. III, 22 febbraio 2017, n. 36037; Cass. pen., Sez. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058; Cass. pen., Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5254; Cass. pen., Sez. VI, 8 aprile 2014, n. 33835); ii) secondo un diverso orientamento, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicchè non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, nell'obiettivo di scongiurare il rischio di diffusione futura della sostanza stupefacente (così, tra le molte, Cass. pen., Sez. VI, 28 aprile 2017, n. 35654; Cass. pen. Sez. VI, 22 novembre 2016, n. 52547; Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 2016, n. 25057). |