Decadenza dalla responsabilità genitoriale: Tribunale per i Minorenni o Tribunale ordinario?

Caterina Costabile
26 Agosto 2019

L'art. 38 disp. att. c.c. ha suscitato numerosi problemi interpretativi, a partire da quello relativo all'ambito di operatività della vis attractiva a favore del tribunale ordinario: risultava, difatti controverso se l'attrazione alla competenza del tribunale ordinario fosse limitata alle fattispecie ex art. 333 c.c. ovvero si estendesse anche ad altri procedimenti richiamati nell'incipit dell'art. 38 disp. att. c.c...
Il quadro normativo

L'art. 330 c.c.disciplina la conseguenza più grave della violazione o dell'abuso da parte del genitore dei doveri e dei diritti nascenti dalla titolarità della responsabilità genitoriale, vale a dire la decadenza da tale titolarità.

Il legislatore ha previsto due casi in cui è possibile pronunciare nei confronti del genitore o dei genitori la decadenza dalla responsabilità genitoriale: la violazione o l'elusione dei doveri ovvero l'abuso dei poteri inerenti la medesima responsabilità genitoriale.

In entrambi casi, tuttavia, è necessario, per aversi la sanzione della decadenza, che la condotta del genitore si sia risolta in un grave pregiudizio per il figlio non essendo sufficiente il mero inadempimento dei genitori. I provvedimenti ablativi della responsabilità dei genitori sono, difatti, preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli e, pertanto, non costituiscono una sanzione a comportamenti inadempienti dei genitori, ma piuttosto sono fondati sull'accertamento - da parte del giudice - degli effetti lesivi che hanno prodotto o possono ulteriormente produrre in danno dei figli (Cass. civ., sez. I, 07 giugno 2017, n. 14145).

In ordine alla competenza ad emettere i provvedimenti ex art. 330 c.c., l'art. 38disp. att. c.c., come novellato dall'art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, stabilisce che «Sono di competenza del tribunale dei minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. 84, 90, 330, 332, 333, 335 c.c. e art. 371 c.c., u.c.. Per i procedimenti di cui all'articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell'ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell'art. 316 c.c.; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario».

Tale disposizione, come riformulata, ha introdotto un'ipotesi di vis attractiva tra un procedimento "principale" e un procedimento "secondario", originata dalla contemporanea pendenza di entrambi, e resa operante al ricorrere di determinate condizioni. La funzione della norma è, difatti, quella di favorire la concentrazione delle tutele unitamente ad altri principi di ordine superiore quali l'economia processuale e l'armonia delle decisioni.

La questione

L'art. 38 disp. att. c.c., nella parte in cui contempla una deroga alle regole di competenza a favore del giudice ordinario per consentirgli una valutazione globale dei profili relativi alla responsabilità genitoriale, in ragione della suo tenore letterale non cristallino, ha suscitato numerosi problemi interpretativi, a partire da quello relativo all'ambito di operatività della vis attractiva a favore del tribunale ordinario: risultava, difatti controverso se l'attrazione alla competenza del tribunale ordinario fosse limitata alle fattispecie di cui all'art. 333 c.c. ovvero si estendesse anche ad altri procedimenti richiamati nell'incipit dell'art. 38 disp. att. c.c.

In particolare, ci si era chiesti se la vis attractiva operasse anche in riferimento ai provvedimenti ablativi di cui all'art. 330 c.c., come lascia intendere la citata disposizione nella parte in cui afferma che «in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario».

Sul punto, subito dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 219/2012, si erano formati due orientamenti in dottrina e nella giurisprudenza di merito.

Un orientamento optava per una interpretazione restrittiva della deroga alla competenza generale del Tribunale dei minorenni ed affermava che rimanevano in ogni caso estranei alla vis attractiva della competenza del Tribunale ordinario i provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c., facendo leva sul tenore letterale della norma che fa espresso riferimento solo ai procedimenti ex art. 333 c.c., sulla diversa natura dei provvedimenti ablativi e di quelli conformativi della responsabilità genitoriale e sul diverso ruolo del PM nei giudizi avanti al Tribunale dei minorenni ove ha potere di domanda e di impulso del procedimento e nei giudizi avanti al Tribunale ordinario ove è unicamente interventore necessario senza autonomo potere di domanda (Trib. Milano, sez. IX,11 dicembre 2013; Trib. min. Catania, 22 maggio 2013; Trib. min. Brescia 1° agosto 2013; Trib. min. Palermo, 11 dicembre 2013).

Altro orientamento, invece, riteneva che per tutta la durata dei giudizi del c.d. conflitto familiare operi l'attrazione alla competenza del Tribunale ordinario dei provvedimenti sia limitativi ex art. 333 c.c. sia ablativi ex art. 330 c.c., facendo leva sulla considerazione che i procedimenti de potestate si fondano su fatti costitutivi inscindibilmente connessi e sulla ratio sottesa al nuovo art. 38 disp. att c.c. individuata nel principio di concentrazione delle tutele nell'interesse del minore (Trib. min. Bari, decr. 30 marzo 2013, Trib. min. Sassari, ord. 14 gennaio 2014, Trib. Pordenone decr. 21 maggio 2015).

Le soluzioni giuridiche

Secondo la giurisprudenza di legittimità, che si è più volte espressa sul tema adottando una linea interpretativa che può ritenersi stabilizzata, la novellata formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333, la competenza è sempre attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316, e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello (Cass. civ., sez. VI, 12 settembre 2016, n. 17931; Cass. civ., sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 1349).

Si è all'uopo evidenziato che esiste un rapporto di interconnessione fra le misure de potestate e i provvedimenti in materia di affidamento: ad esempio, è chiaro che la decisione del giudice che disponga l'affidamento esclusivo a norma dell'art. 337-quater c.c. si risolve in una compressione dell'esercizio della responsabilità genitoriale e come sia difficile distinguere tra "i provvedimenti convenienti" nell'interesse dei minori previsti dall'art. 333 c.c. nel caso di abusi della responsabilità genitoriale, e quelli che il giudice della separazione o del divorzio può pronunciare nell'esclusivo interesse materiale e morale dei minori a norma di quanto dispone l'art. 337- ter, comma 2, c.c.

La concentrazione, nella prospettiva della Suprema Corte, è valido rimedio per evitare che il minore sia sottoposto all'ascolto, a indagini sulla sua situazione psico-sociale da parte di diverse autorità giudiziarie, ma soprattutto è rimedio necessario per scongiurare il rischio che vengano adottate decisioni di contenuto diverso con pericolo di contraddittorietà di giudicati e intuibili difficoltà quanto alla loro esecuzione (Cass. civ., sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2833). Pertanto, la precedenza di un procedimento relativo al conflitto genitoriale rispetto all'azione rivolta al tribunale dei minori per provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale determina, ai sensi del novellato art. 38 disp. att. c.c., per il principio di concentrazione delle tutele, la "vis attractiva" verso il tribunale ordinario (Cass. civ., sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 432).

Il criterio della prevenzione risulta operante anche quando l'azione ex art.330 e 333 c.c. sia stata promossa dal P.M. presso il Tribunale per i minorenni a ciò non ostando la diversità di ruolo del P.M. nei due procedimenti (ricorrente in quello minorile ed interventore obbligatorio nell'altro), atteso che una diversa opzione ermeneutica, facente leva sul solo tenore letterale della citata disposizione, ne tradirebbe la "ratio" di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele onde evitare, a garanzia del preminente interesse del minore, il rischio di decisioni contrastanti ed incompatibili, tutte temporalmente efficaci ed eseguibili, resi da due organi giudiziali diversi (Cass. civ., sez. VI, 19 maggio 2016, n. 10365). Del resto, risulta ininfluente la circostanza che il procedimento dinanzi al Tribunale per i minorenni sia stato promosso dal Pubblico Ministero, anziché da uno dei genitori, rivestendo il predetto organo la qualità di parte necessaria nel procedimento pendente dinanzi al Tribunale ordinario, e non risultando la diversità della sua posizione processuale idonea ad escludere l'identità delle parti richiesta ai fini dell'attrazione di entrambi i procedimenti alla competenza del Giudice ordinario (Cass. civ., sez. VI, 23 gennaio 2019, n. 1866).

Se, invece, la domanda ex artt. 330 o 333 è proposta antecedentemente all'instaurazione del giudizio di separazione o divorzio si ritiene resti ferma la giurisdizione del giudice minorile (Cass. civ., sez. VI, 31 luglio 2018, n. 20202).

Il conflitto di competenza tra il tribunale ordinario, adito per l'affidamento condiviso del minore, e il tribunale per i minorenni, relativamente ai provvedimenti ex artt. 330 ss. c.c. richiesti dal P.M., va dunque risolto secondo il criterio della prevenzione, atteso che l'art. 38 disp. att. c.c., nel testo sostituito dall'art. 3 della legge n. 219 del 2012, la cui "ratio" risiede nell'evidente interrelazione tra i due giudizi, limita la "vis attractiva" del tribunale ordinario, anche per i detti provvedimenti, all'ipotesi in cui il procedimento dinanzi a questo sia stato instaurato per primo e si svolga tra le stesse parti dell'altro, in tal modo implicitamente escludendo l'ipotesi in cui il procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni sia stato instaurato anteriormente, restando riservata in tal caso al giudice minorile la pronuncia sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale (Cass. civ., sez. VI, 23 gennaio 2019, n. 1866; Cass. civ., sez. VI, 13 marzo 2017, n. 6430).

Appare opportuno evidenziare che, nel caso in cui la domanda ex artt. 330 o 333 sia stata proposta antecedentemente all'instaurazione del giudizio di separazione o divorzio dinanzi al Tribunale dei minorenni, la disciplina delle modalità di affidamento e del mantenimento del minore restano di competenza del Tribunale ordinario non potendo subire la vis actractiva del tribunale per i minorenni, al quale l'art. 38 disp. att. c.c. attribuisce competenze tassativamente individuate.

Il procedimento ex art. 337-ter c.c.

Ci si è poi interrogati in ordine all'organo giurisdizionale competente alla regolamentazione complessiva dell'esercizio della responsabilità genitoriale e dei reciproci obblighi (ivi compreso il contributo al mantenimento) nei confronti del figlio minore nato fuori dal matrimonio, a norma dell'art. 337-ter c.c., in caso di precedente pendenza di un procedimento ex artt. 330 o 333 c.c. dinanzi al Tribunale per i minorenni.

La S.C. ha ritenuto che il procedimento di cui all'art. 337-ter c.c. resta in ogni caso devoluto alla competenza del tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore, non potendo subire la vis actractiva del tribunale per i minorenni, al quale l'art. 38 disp. att. c.c. attribuisce competenze tassativamente individuate, tra le quali non figura il predetto procedimento (cfr. Cass. civ., sez. VI, 22 novembre2016, n. 23768).

I giudici di legittimità hanno, in particolare, statuito che il procedimento relativo all'affidamento dei figli, promosso ex art. 337 ter c.c. da uno dei genitori, è di competenza del tribunale ordinario anche nel caso in cui il p.m. minorile abbia precedentemente instaurato un procedimento ex art. 333 c.c. avanti al tribunale per i minorenni (cfr. Cass. civ., sez. VI, 29 luglio 2015, n. 15971).

Problemi di coordinamento tra i giudizi

A seguito della declinatoria di competenza da parte del tribunale per i minorenni sorge la necessità di realizzare il simultaneus processus di fronte al tribunale ordinario, tramite trasferimento della domanda originariamente proposta dinanzi al giudice minorile.

Lo strumento processuale che viene a tal fine previsto dall'art. 50 c.p.c. per i giudizi ordinari è la riassunzione del giudizio su impulso della parte più diligente, strumento che può tuttavia rivelarsi inidoneo nelle ipotesi in cui il giudizio dinanzi al TM sia stato instaurato d'ufficio dal P.M. o da uno dei parenti del minore, ovvero da soggetti che non hanno diritto di azione dinanzi al tribunale ordinario per la richiesta di separazione, divorzio, di regolamentazione dei doveri genitoriali ex art. 337-ter c.c. e di modifica delle condizioni.

In siffatte ipotesi, lo strumento utilizzato nella prassi è quello della trasmissione ex officio degli atti da parte del tribunale per i minorenni al tribunale ordinario ritenuto competente. La trasmissione ex officio, anziché la riattivazione su impulso di parte, è stata ammessa dalla giurisprudenza in considerazione dei poteri di intervento d'ufficio attribuiti al giudice ordinario investito di questioni attinenti ai minori, poteri che gli consentono di attivarsi nel giudizio già pendente a tutela di questi ultimi, prescindendo dall'impulso di parte (Cass. civ., sez. VI, 12 aprile 2016, n. 7160; Cass. civ., sez. I 16 ottobre 2008, n. 25290).

Per quanto riguarda i provvedimenti provvisori ed urgenti eventualmente emessi dal TM prima della declaratoria di incompetenza, si ritiene che gli stessi continuino a produrre effetti sino all'emissione da parte del TO di nuovi provvedimenti provvisori ed urgenti o definitivi.

Le prove assunte dinanzi al TM prima della declaratoria di incompetenza potranno essere valutate ed utilizzate dal TO quali prove atipiche. È invero noto che il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, fornendo adeguata motivazione della relativa utilizzazione, senza che rilevi la divergenza delle regole, proprie di quel procedimento, relative all'ammissione e all'assunzione della prova (Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2018, n. 25067).

In conclusione

In definitiva, affinché la vis attractiva a favore del giudice ordinario operi - con contestuale perdita della competenza per il tribunale dei minorenni – occorre che siano previamente pendenti, a seconda che si tratti di genitori non coniugati ovvero coniugati, un giudizio di responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 316 c.c. oppure un processo di separazione o divorzio, per tale intendendosi anche il giudizio di modifica o revoca delle condizioni di separazione/divorzio, ovvero di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio.

Anche in relazione a queste ultime due tipologie di giudizi, che non sono menzionate dall'art. 38, comma 1, disp. att. c.c., permane difatti invariata la necessità (che giustifica il prodursi della vis attractiva in favore del giudice ordinario) di fare in modo che si discuta in una sola sede processuale delle questioni concernenti la responsabilità genitoriale (Cass. civ., sez. VI, 19 maggio 2016,10365).

La linea di tendenza ormai assestatasi in giurisprudenza in ordine all'interpretazione che privilegia la ratio dell'art. 38 disp. att. c.c. rispetto al dato letterale (nonostante si tratti di applicare norme processuali) risulta, del resto, fondata su condivisibili ragioni di economia processuale e di tutela dell'interesse del minore il cui fondamento viene derivato dall'art. 111 Cost., dall'art. 8 CEDU e dall'art. 24 della Carta di Nizza.

Nel caso in cui la domanda ex artt. 330 o 333 sia stata proposta antecedentemente all'instaurazione del giudizio di separazione o divorzio dinanzi al Tribunale dei minorenni, la disciplina delle modalità di affidamento e del mantenimento del minore restano di competenza del Tribunale ordinario non potendo subire la vis actractiva del tribunale per i minorenni, al quale l'art. 38 disp. att. c.c. attribuisce competenze tassativamente individuate.

Per le medesime ragioni, anche il procedimento di cui all'art. 337-ter c.c. resta in ogni caso devoluto alla competenza del tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore.

Guida all'approfondimento

Antoniotti, Questioni di competenza in materia di filiazione e vis acttractiva ex art. 38 disp. att. c.c., in Nuova Giur. Civ., 2015, 3, 10199 ss.;

D'Alessandro, Considerazioni sul riparto di competenza nell'art. 38 disp. att. c.c., in Nuova Giur. Civ., 2018, 2, 273 ss;

Danovi, Giudizi de potestate, vis attractiva e perpetuatio iurisdictionis, in Famiglia e Diritto, 2017, 6, 505 ss;

Marino, Ancora sulla competenza del giudice della separazione o del divorzio a conoscere le domande de potestate, in Famiglia e Diritto, 2015, 10, 869 ss;

Muscio, Riparto di competenza tra Tribunale dei minorenni e Tribunale ordinario nei procedimenti de potestate, in ilfamiliarista.it, 09 Giugno 2017;

Tizi, La vis attractiva del giudice ordinario nei provvedimenti ablativi e limitativi della responsabilità genitoriale, in ilfamiliarista.it, 06 Giugno 2016.

Sommario