Innovazione e sviluppo nelle Pubbliche Amministrazioni: gli appalti innovativi e i c.d. “pre-commerciali”

Gianluigi Delle Cave
27 Agosto 2019

Gli appalti innovativi sono forme di appalto in cui il settore pubblico agisce esattamente come launching customer/primo attuatore/primo acquirente di prodotti o servizi innovativi che non sono ancora presenti sul mercato (o non disponibili su ampia scala).
Gli appalti innovativi nelle P.A.

È evidente l'influenza sul mercato e sulle filiere produttive delle scelte operate dalla Pubblica Amministrazione attraverso i propri acquisti. Alcune recenti azioni del legislatore nazionale (In primis, si veda il «Piano Triennale per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione 2019–2021» che prevede, nell'ambito della più ampia strategia di trasformazione digitale per lo sviluppo dell'informatica pubblica italiana: (i) il recepimento delle ultime modifiche introdotte del Codice dell'Amministrazione Digitale (CAD) e delle recenti direttive e regolamenti europei sull'innovazione digitale; (ii) il rafforzamento del paradigma Cloud della P.A., con l'applicazione del principio cloud first; (iii) la definizione di modelli e strumenti per l'innovazione per la P.A. con un'attenzione ai temi dell'open innovation, dell'innovation procurement e al paradigma smart landscape.), poi, sembrerebbero lasciar presagire – seppure timidamente – anche un'inversione di tendenza della P.A. nell'approccio al mercato, orientato ad una maggiore sperimentazione ed innovazione.

Tuttavia, perché la domanda pubblica possa espletare il suo potenziale in tal senso, è auspicabile un cambio di impostazione: il passaggio da un «approccio puramente amministrativo, che considera gli appalti una mera procedura di acquisto di prodotti o servizi, ad un approccio strategico, che sfrutti gli appalti per favorire gli investimenti nell'economia reale e stimoli la domanda, in un'ottica di accrescimento della competitività, basata sull'innovazione e sulla digitalizzazione» (Si veda, in merito, il «Protocollo d'intesa per l'individuazione delle strategie per potenziare il ruolo della domanda pubblica come leva d'innovazione» stipulato tra AGID - Agenzia per l'Italia Digitale, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Confindustria e ITACA - Istituto per l'innovazione e la trasparenza degli appalti e la compatibilità ambientale).

E proprio in tal senso vanno inquadrati alcuni recenti interventi normativi del legislatore nazionale.

Si pensi al “Piano Triennale per l'informatica nella Pubblica Amministrazione 2019-2021”, che punta all'implementazione dei progetti di innovazione delle amministrazioni pubbliche, stimolando le P.A. a:

  1. circoscrivere l'esigenza concreta ed a specificare dell'esigenza che vuole affrontare;
  2. ricercare soluzioni nuove o comunque diverse rispetto a quelle consolidate, lasciando spazio alla proposizione di soluzioni innovative;
  3. coinvolgere in modo ampio e aperto il mercato dell'innovazione (Sul punto, si segnala la circolare n. 3 del 01.10.2018 del Ministero per la Pubblica Amministrazione con la quale si sollecitano tutte le amministrazioni alla nomina, ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. n. 82/2005 c.d. “Codice dell'Amministrazione Digitale”, del Responsabile per la Transazione al Digitale (RTD), figura di riferimento, all'interno della P.A., per le questioni connesse alla trasformazione digitale, ed a cui competono le attività e i processi organizzativi ad essa collegati e necessari alla realizzazione di un'amministrazione digitale e all'erogazione di servizi fruibili, utili e di qualità.), abbandonando l'approccio conservativo, che appalto dopo appalto, si limita solo a portare marginali miglioramenti in termini di efficienza.

In maniera più concreta, si veda, poi, il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 31 gennaio 2019 che mette a disposizione delle P.A. 50 milioni di euro per finanziare bandi di domanda pubblica intelligente attraverso gare d'appalto innovative o pre-commerciali; ciò anche per coinvolgere in modo ampio e aperto il mercato dell'innovazione, abbandonando, dunque, quell'approccio conservativo, che, appalto dopo appalto, si è de facto limitato a portare solo marginali miglioramenti in termini di efficienza.

Si evince, dunque, chiaramente come il legislatore nazionale, attraverso le più disparate forme di stimolo normativo, persegua l'intento di cambiare in maniera radicale la materia dei contratti pubblici, il cui obiettivo di fondo non è solo il contenimento della spesa pubblica ma anche il miglioramento qualitativo/innovativo delle prestazioni richieste.

Del resto, tali tipologie procedurali potrebbero realmente consentire alle amministrazioni pubbliche di cambiare approccio verso il mercato, «favorendo un dialogo aperto con le imprese e con il mondo della ricerca nonché l'utilizzo di procedure di acquisto più agili che diano spazio agli operatori economici la libertà di proporre risposte differenti e multidisciplinari ai fabbisogni d'innovazione della P.A.» («Protocollo d'intesa per l'individuazione delle strategie per potenziare il ruolo della domanda pubblica come leva d'innovazione».).

Inquadramento giuridico: artt. 65 e 158 del Codice

Gli appalti innovativi sono forme di appalto in cui il settore pubblico agisce esattamente come launching customer/primo attuatore/primo acquirente di prodotti o servizi innovativi che nonsono ancora presenti sul mercato(o non disponibili su ampia scala).

In buona sostanza, gli appalti divengono la via per:

  • stimolare il mercato ad investire in beni e servizi migliori e più innovativi;
  • rispondere ai bisogni insoddisfatti di un'organizzazione, sbloccare la creatività e il potenziale di innovazione dei fornitori per ottenere risultati migliori a costi contenuti;
  • rimuovere gli ostacoli all'accesso al mercato di soluzioni innovative.

Il D.Lgs. n. 50/2016 c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”non contempla una puntuale definizione di “appalto innovativo”, sebbene preveda alcune tipologie procedurali specifiche per la ricerca e lo sviluppo di soluzioni innovative non reperibili sul mercato, vale a dire il “Partenariato per l'innovazione” (art. 65 del Codice) e gli appalti pre-commerciali (art. 158 del Codice).

L'art. 65 del Codice dei Contratti Pubblici, nello specifico, disciplina la figura del Partenariato per l'innovazione, definito dalla Direttiva 2014/24/UE quale «uno dei principali motori della crescita futura». Esso mira, in estrema sintesi, all'acquisizione di lavori, servizi e forniture risultanti da prestazioni di sviluppo di prodotti, servizi o lavori innovativi, e perciò non reperibili sul mercato. L'adozione da parte della P.A. del Partenariato deve essere assunta in base a una decisione motivata, che dia atto della indisponibilità nel mercato delle soluzioni perseguite.

Il procedimento, sostanzialmente, si articola in due fasi (La procedura richiama, sostanzialmente, quella competitiva con negoziazione. Sul punto, si veda F. Caringella, M. Protto, “Partenariato per l'innovazione”, in Il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, Roma, 2016):

  1. una prima fase, in cui la P.A. procede alla identificazione delle esigenze e alla definizione dei requisiti minimi richiesti;
  2. in una seconda fase dedicata alla negoziazione dell'offerta.

Va da sé che – in ogni caso – il valore del prodotto finale non potrà risultare del tutto sproporzionato rispetto all'investimento richiesto per lo sviluppo.

Inoltre, nei documenti di gara, la stazione appaltante dovrà definire il regime applicabile ai diritti di proprietà intellettuale, non potendo la stessa rivelare «agli altri operatori le soluzioni proposte o altre informazioni riservate comunicate da un operatore nel quadro del partenariato, senza l'accordo dello stesso, che assume la forma di accordo specifico» (si veda F. Caringella, M. Protto, “Partenariato per l'innovazione”, cit.).

La norma, inoltre, specifica che, per tale tipologia di partenariato, il criterio di aggiudicazione è esclusivamente quello del miglior rapporto qualità/prezzo, conformemente all'art. 95 del Codice dei Contratti Pubblici.

Gli appalti c.d. “pre-commerciali”

In particolare, presenta profili di notevole interesse l'appalto pubblico pre-commerciale (PCP), istituto di derivazione europea finalizzato a promuovere l'innovazione tecnologica tramite l'acquisto “non in esclusiva” di servizi di ricerca applicata e sviluppo sperimentale (non lavori né forniture).

Esso rientra nel novero degli appalti “esclusi” (Tanto è stato confermato, già dall'introduzione dell'appalto de qua, anche dall'art. 16, par. 1, lett. f), della direttiva 2004/18/UE, laddove si specificava che la disciplina sui contratti pubblici non si applica agli appalti di servizi concernenti servizi di R&S diversi da quelli i cui risultati appartengono esclusivamente all'amministrazione aggiudicatrice perché li usi nell'esercizio della sua attività, a condizione che la prestazione del servizio sia interamente retribuita da tale amministrazione) dall'applicazione delle procedure ad evidenza pubblica, sempre che “l'esigenza non possa essere soddisfatta ricorrendo a soluzioni già disponibili sul mercato”. L'art. 158 del Codice dei Contratti Pubblici dispone, nello specifico, che ai fini dell'individuazione dell'area operativa del PCP occorre far riferimento alla comunicazione della Commissione Europea COM 799 (2007) del 14.12.2007, che si incentra proprio sul concetto di appalto pre-commerciale, ossia di appalto relativo alla fase di ricerca e sviluppo (R&S) prima della commercializzazione.

Il Codice, poi, specifica che i PCP sono destinati al conseguimento di risultati “non appartenenti in via esclusiva all'amministrazione aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore” perché li usi “nell'esercizio della sua attività” e per i quali “la prestazione del servizio non è interamente retribuita” dalla stazione appaltante.

Nel PCP, dunque:

  1. il campo di applicazione è limitato ai servizi di R&S;
  2. si applica la condivisione dei rischi e dei benefici, in quanto l'acquirente pubblico non può riservare al suo esclusivo i risultati delle attività di R&S;
  3. gli appalti competitivi mirano ad evitare gli aiuti di Stato (Tanto è stato confermato, già dall'introduzione dell'appalto de qua, anche dall'art. 16, par. 1, lett. f), della direttiva 2004/18/UE).

Gli ambiti di applicazione degli appalti de qua sono dettati – principalmente – dall'art. 19, comma 1, del D.L. n. 179/2012 (Convertito dalla L. n. 221/2012), che riguardano la realizzazione delle c.d. “comunità intelligenti”, la produzione di beni pubblici rilevanti, la rete a banda ultra-larga, la valorizzazione digitale dei beni culturali e paesaggistici, la sostenibilità ambientale, i trasporti e la logistica nonché la sicurezza urbana.

L'utilizzo dell'appalto pre-commerciale sembrerebbe, dunque, essere escluso solo qualora:

  1. la procedura ad evidenza pubblica sia finalizzata all'acquisto di lavori e forniture di R&S e non già di servizi;
  2. quando il valore dei prodotti di R&S sia prevalente, ovvero sia superiore al 50% del relativo servizio di R&S;
  3. quando gli elementi tipici dell'appalto in oggetto non sussistano ovvero non siano stati correttamente verificati.
ANAC e appalti pre-commerciali

Anche l'ANAC, con comunicato del 16 marzo 2016, si è espressa sui PCP.

L'Autorità ha, preliminarmente, circoscritto il perimetro di azione degli appalti in oggetto, specificando che questi ultimi comprendono unicamente i contratti di appalto di servizi di ricerca e sviluppo tecnologico (R&S) che prevedono:

  1. la condivisione dei rischi e dei benefici alle condizioni di mercato tra acquirente pubblico e soggetti aggiudicatari per lo sviluppo di soluzioni innovative, non già presenti sul mercato, a partire dall'ideazione fino allo sviluppo iniziale di quantità limitate di prodotti o servizi sperimentali idonee a risolvere un problema irrisolto e tecnologicamente complesso, posto dall'acquirente pubblico;
  2. la clausola di non esclusiva, in funzione della quale la stazione appaltante non riserva al suo uso esclusivo i risultati derivanti dalle attività di R&S;
  3. il cofinanziamento da parte delle imprese aggiudicatarie.

In buona sostanza, ANAC ha chiarito che “tali servizi di R&S sono svolti per il raggiungimento di uno scopo obiettivamente e intrinsecamente aleatorio (non deve sussistere certezza dell'effettiva riuscita della ricerca) e non possono essere diretti alla realizzazione di soluzioni la cui ripetibilità è assicurata […]; essi devono essere rivolti, infatti, allo sviluppo di una soluzione non disponibile o non pienamente disponibile sul mercato”.

In estrema sintesi, l'Autorità ha evidenziato che con il PCP la ricerca è mirata a un progetto “altamente innovativo” (Nel medesimo comunicato, ANAC specifica, inoltre, che «gli ulteriori ambiti nei quali l'appalto pre-commerciale può rappresentare un utile, efficace e legittimo strumento di incentivo per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, in modo da soddisfare con i minor costi possibili e i tempi più rapidi esigenze pubbliche che non potrebbero essere altrimenti soddisfatte, sono sicuramente quello sanitario, per assicurare cure sanitarie di elevata qualità a prezzi accessibili, dell'efficientamento energetico e della lotta contro i cambiamenti climatici»), più difficile da gestire rispetto a situazioni nelle quali l'elemento della innovatività è presente ma assai limitato.

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