Matrimonio internazionale e competenza in materia di responsabilità genitoriale
30 Agosto 2019
Massima
La competenza del giudice del divorzio sulle domande relative alla responsabilità genitoriale viene determinata in base al criterio generale della residenza abituale del minore. Il caso
Un cittadino pakistano residente in Gran Bretagna ha adito il Tribunale civile di Ragusa chiedendo lo scioglimento del matrimonio celebrato a Londra con una cittadina italiana e svizzera, residente anch'ella in Gran Bretagna, ma di fatto trasferitasi in Italia. La donna, successivamente al deposito del ricorso, ha proposto la domanda di scioglimento del vincolo dinanzi al Giudice britannico e il marito ha quindi chiesto alle sezioni unite, con ricorso ex art. 41 c.p.c. di dichiarare la giurisdizione del giudice italiano relativamente alla domanda di scioglimento del vincolo, e del giudice britannico per l'affidamento dei figli della coppia. La questione
Quali sono i criteri per determinare la giurisdizione e la competenza nei giudizi di divorzio internazionale? Le soluzioni giuridiche
Con la decisione in commento, le Sezioni Unite hanno affermato che il ricorrente ha correttamente introdotto la domanda di scioglimento del vincolo dinanzi al giudice italiano, competente a decidere in base ad uno dei criteri alternativi indicati dalla normativa “eurocomunitaria” (si tratta dell'art. 3 del regolamento CE n. 2201/2003): la residenza abituale del convenuto. Sul punto il collegio ha evidenziato che l'effettiva residenza in Italia della moglie convenuta era comprovata sia dalla materiale ricezione della notifica del ricorso, sia da quanto dichiarato dalla medesima nell'atto introduttivo del giudizio che ella aveva a sua volta promosso in Gran Bretagna, nel quale dava atto di essersi trasferita a Ragusa. Con riferimento alla domanda di declaratoria della giurisdizione in favore del giudice britannico, con esclusivo riferimento alle questioni relative alla responsabilità genitoriale, invece, gli ermellini hanno affermato di poter decidere sulla domanda, pur in assenza di richieste riguardanti i minori nel ricorso introduttivo, trattandosi di decisione assunta nell'interesse del minore. Per decidere la questione, la Suprema Corte ha richiamato l'art. 12 del citato regolamento CE n. 2001/2003 a mente del quale il giudice del divorzio può decidere anche sulle questioni inerenti la responsabilità genitoriale in due casi: se almeno uno dei due coniugi la esercita, o se è stata accettata dai coniugi o dai titolari della responsabilità medesima e ciò non pregiudica l'interesse del minore. Nel caso di specie, il collegio ha rilevato che era da escludere che le parti avessero accettato la giurisdizione del giudice italiano, atteso che il padre aveva chiesto espressamene di escluderla, mentre la madre aveva dichiarato negli atti processuali di non voler esercitare la responsabilità genitoriale e di non voler sradicare i figli dal loro ambiente. A tali considerazioni, si aggiunge il fatto che si ritiene rispondente al miglior interesse del minore far sì che a decidere sulle questioni relative alla responsabilità sia il giudice “di prossimità”, ovvero quello britannico. Osservazioni
In primo luogo si deve precisare che la normativa comunitaria ha disciplinato con regolamenti diversi i vari aspetti della vicenda post matrimoniale: il regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 (regolamento Bruxelles II bis) disciplina la competenza, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale e, infine, la cooperazione fra autorità centrali in materia di responsabilità genitoriale; il regolamento CE n. 4/2009 relativo alla materia delle obbligazioni alimentari (intese come ogni questione con finalità di mantenimento), e il regolamento CE n. 1259/2010 del 20 dicembre 2010, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, che definisce le norme riguardanti il conflitto di leggi in materia di divorzio e separazione personale (cosiddetto regolamento Roma III). Dall'applicazione delle norme sovranazionali possono scaturire sia competenze (o meglio, giurisdizioni) diverse per i diversi aspetti da definire in seguito alla crisi di un singolo matrimonio, sia una “frammentazione della domanda”, perché, una volta individuata la giurisdizione, il giudice nazionale può essere chiamato ad applicare leggi diverse in relazione alle varie questioni da decidere. Fatta tale doverosa premessa, si osserva che l'art. 3 del regolamento CE n. 2001/2003, prevede dei criteri di giurisdizione alternativi, ispirati al principio del favor divortii: residenza abituale dei coniugi; ultima residenza abituale, se uno di essi vi risiede ancora; residenza abituale di uno dei coniugi, in caso di domanda congiunta; residenza abituale del convenuto; residenza abituale dell'attore, se questi vi ha risieduto almeno per un anno prima della domanda; residenza abituale dell'attore, se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso; Stato membro di cui le parti sono cittadini. Avendo tali criteri carattere alternativo, non sono dunque ordinati gerarchicamente, né sussiste alcun ordine di preferenza, la norma, inoltre, si applica anche ai cittadini di stati terzi rispetto all'unione e, in tal caso, la giurisdizione si fonda sul criterio della “residenza abituale” di uno o di entrambi i coniugi (in tal senso Tribunale di Novara 16.5.2019: “Nella fattispecie, la giurisdizione italiana (di carattere esclusivo, ai sensi dell'art. 6 dl Regolamento) va affermata a norma dell'art. 3, paragrafo 1, lett. a, del citato Regolamento CE n. 2201/2003, il quale prevede il criterio generale della residenza, ed in particolare individua, tra le varie ipotesi, "in caso di domanda congiunta", la competenza dell'autorità giurisdizionale dello Stato membro nel cui territorio si trova "la residenza abituale di uno dei coniugi") L'art. 19 del suddetto regolamento disciplina inoltre le ipotesi di litispendenza, e prevede due ipotesi di domande proposte dinanzi ad autorità giurisdizionali di Stati membri diversi: - domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo; - domande che non hanno il medesimo oggetto e il medesimo titolo, ma che presentano “connessioni”, stabilendo che quando un'autorità giurisdizionale è stata adita ai sensi del regolamento medesimo, e si è dichiarata competente, le autorità giurisdizionali degli altri Stati membri non sono più competenti e devono rigettare ogni domanda successiva. Scopo della norma è garantire la certezza del diritto ed evitare azioni parallele e il rischio che siano adottate decisioni incompatibili. In materia di famiglia, tale la norma è interpretata nel senso che si ha litispendenza quando c'è identità di parti processuali. Nel caso in esame, la Corte ha verificato la corretta applicazione dei principi sopra indicati, dichiarando la giurisdizione del giudice italiano in ragione del fatto che la convenuta era effettivamente residente in Italia. Del resto, la giurisprudenza europea ha più volte ribadito che la “residenza” si determina unicamente in base a criteri di fatto, tenendo conto della durata e della continuità della stessa e di altri fattori di natura personale o professionale, che indicano un legame duraturo tra una persona e un determinato luogo, indipendentemente dalle risultanze dei registri di anagrafe. La Corte ha affermato, inoltre, di potersi pronunciare anche sulla giurisdizione per le domande relative alla responsabilità genitoriale, sebbene nel ricorso introduttivo il marito non avesse formulato alcuna specifica richiesta. Gli ermellini hanno dichiarato di poter decidere senza incorrere nel vizio di ultrapetizone poiché trattatasi di questione relativa ai minori, nel cui supremo interesse il giudice può pronunciarsi anche ufficiosamente. L'affermazione è corretta, posto che il nostro ordinamento ritiene che in materia di diritto di famiglia sussistano interessi pubblici superiori, tali da rendere necessario l'intervento del pubblico ministero, interesse pubblico che sempre più spesso viene identificato con l'interesse superiore e supremo del minore, tanto da poter affermare che negli ultimi tempi si stia affermando una visione paidocentrica (da “paidos”, in greco, bambino) del diritto di famiglia. Parimenti corretto è il richiamo alle disposizioni dell'art. 12 del regolamento CE n. 2201/2003, anche se è doveroso ricordare che la giurisdizione sulle domande relative alla responsabilità è disciplinata specificamente dall'art. 8 del regolamento stesso, che la attribuisce all'autorità dello Stato membro nel cui territorio "il minore risiede abitualmente" alla data di proposizione della domanda. Il concetto di “residenza abituale” negli ultimi anni è sempre più utilizzato quale criterio di collegamento nella normativa internazionale, in particolare nel diritto di famiglia e, poiché il regolamento non ne fornisce una definizione, la si deve determinare in base agli obiettivi e alle finalità dello stesso, senza tenere conto della nozione prevista nel diritto nazionale degli stati membri. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha dato, nel tempo, alcune indicazioni sui fattori da considerare per determinare la residenza abituale del minore ai fini del regolamento, affermando che la “residenza abituale” di un minore, ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, deve essere stabilita sulla base delle peculiari circostanze di fatto che caratterizzano ogni caso di specie, considerando non solo la persona fisica, ma anche l'integrazione nell'ambiente sociale e familiare(Causa C-523/07 sentenza del 2 aprile 2009) quest'ultima da valutare tenendo conto anche dell'età dei minori (causa C-409/10 sentenza del 22 dicembre 2010) in quanto l'ambiente sociale e familiare si compone di elementi diversi a seconda dell'età dei medesimi. In merito, peraltro, più volte il giudice delle leggi ha affermato che il criterio della residenza abituale «è posto a salvaguardia della continuità affettivo-relazionale del minore, che non si pone in contrasto ma, al contrario, valorizza la preminenza dell'interesse dello stesso” (Cass. civ., sez. un., 5 giugno 2017, n. 13912) e che con tale espressione “deve intendersi il luogo dove il minore trova e riconosce, anche grazie ad una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione. In altri termini, la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare, ed ai fini del relativo accertamento rileva una serie di circostanze che vanno valutate in relazione al caso concreto: la durata, la regolarità e le ragione del soggiorno nel territorio di uno Stato» (Cass. civ., sez. un., 10 febbraio 2017, n. 3555). Nel caso di specie, peraltro, non era neppure contestato che i figli vivessero stabilmente nel Regno Unito, per cui non è stato necessario procedere all'accertamento facendo uso dei suddetti criteri. Per mero scrupolo si ricorda, infine, che il regolamento CE n. 4/2009 in materia di obbligazioni alimentari (regolamento alimenti) prevale sulla domanda di divorzio, per cui, nell'ipotesi in cui oltre alla domanda di scioglimento del vincolo si debba decidere anche sul mantenimento, è astrattamente possibile che si possano avere due distinte giurisdizioni, una per la domanda di natura latu sensu alimentare, e l'altra per le altre questioni. Unica perplessità sollevata dalla decisione in commento riguarda l'affermazione che la madre avrebbe dichiarato di non voler esercitare la responsabilità: si tratta di un diritto indisponibile, per cui un'eventuale siffatta affermazione dovrebbe essere giuridicamente irrilevante.
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