L'autonomia degli adolescenti e i limiti alla responsabilità genitoriale
04 Settembre 2019
Massima
L'autonomia del minore adolescente costituisce un limite esterno alla responsabilità genitoriale: l'ordinamento riconosce infatti al minore il diritto non solo di esprimere la propria volontà ma di effettuare le proprie scelte di vita, prevedendo in capo ai genitori il dovere di sostenere i figli sia sotto il profilo materiale che morale. Il caso
Il provvedimento che si commenta è stato assunto all'esito di un procedimento promosso dal PM presso il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, ai sensi dell'art. 25 R.d.l.20 luglio 1934, n. 1404. Il caso è piuttosto semplice: una madre denunciava la scomparsa della figlia sedicenne, scappata di casa con il fidanzato perché la relazione era contrastata dai genitori. A seguito della denuncia, si apriva il procedimento ex art. 25 e venivano coinvolti i servizi sociali competenti. Al momento dell'intervento degli stessi la situazione era però già rientrata: la ragazza era tornata spontaneamente a casa, la relazione contrastata si era interrotta, i rapporti conflittuali con la madre si erano appiananti. Il servizio incaricato non poteva che rimarcare la normalità della situazione, descrivendo l'episodio come isolato e non sintomatico di alcun disagio particolare. Il Tribunale, ritenendo la vicenda dell'allontanamento «un evento del tutto occasionale, conseguenza della giovane età della ragazza e del momento di fragilità vissuto dalla stessa anche a causa della conflittualità, ormai superata, con i genitori» e dunque non ravvisando alcun pregiudizio per la minore e nessuna irregolarità nella condotta della stessa, dichiarava il non luogo a procedere. La questione
Da un caso piuttosto semplice il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta ha tratto lo spunto per delineare e specificare i confini dell'autonomia decisionale dei minori adolescenti e i conseguenti limiti della responsabilità genitoriale. L'art. 25 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, infatti, può ricomprendere nella sua sfera operativa una serie pressoché illimitata di condotte censurabili che un minore può porre in essere, pur senza costituire illeciti penalmente rilevanti; tra queste spicca in particolare la non osservanza delle regole individuate da chi esercita la responsabilità genitoriale. Tuttavia, la responsabilità genitoriale ha dei limiti esterni, dati proprio dall'autonomia decisionale che l'ordinamento giuridico riconosce ai minori, una volta superata una certa soglia di età. Il provvedimento che si commenta prova appunto a demarcare questa sottile linea di confine. Le soluzioni giuridiche
L'art. 25 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404 rientra nell'ambito della competenza amministrativa proprio del Tribunale per i Minorenni. Tale competenza, almeno nel disegno originario del legislatore del 1934, attiene all'adozione di misure rieducative che si rivolgono a minori la cui condotta risulta essere sintomo di grave disagio o disadattamento. Con la riforma del 1956 (l. 25 luglio 2956 n. 888) la normativa è stata resa più conforme alle conquiste democratiche nel frattempo intervenute nel nostro ordinamento e lo scopo della norma è diventato non già quello di trattare soggetti “traviati”, ma di intervenire su minorenni che diano “manifesta prova di irregolarità nel carattere e nella condotta”. Tali misure prescindono dalla commissione di fatti penalmente rilevanti e comprendono invece una serie pressoché illimitata di condotte astrattamente considerabili. A titolo esemplificativo, rientrano nell'ambito della norma in commento le problematiche legate all'alcolismo, alla tossicodipendenza, all'autolesionismo, alle forme di sopraffazione nei confronti dei coetanei, agli abbandoni scolastici, all'allontanamento da casa e, più in generale, al mancato rispetto delle regole poste da chi esercita la responsabilità genitoriale. Le misure individuate dalla normativa – applicabili dal Tribunale per i Minorenni a seguito di un'indagine sulla personalità del minore, svolta in genere dai servizi sociali - sono due: l'affidamento ai servizi sociali territorialmente competenti e – per i casi più gravi - il collocamento in una casa di rieducazione o in un istituto medico psico-pedagocico. Disposto l'affidamento al servizio sociale, vengono sentiti il minore e i genitori o il tutore e si stabiliscono formalmente delle "prescrizioni" (Art. 27 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404) a cui il minore deve attenersi. Le prescrizioni possono riguardare la sua istruzione, il lavoro, il tempo libero (ad es. si può prescrivere di non frequentare determinati ambienti o locali), oppure eventuali terapie (ad es. farsi seguire dal Sert o dal servizio di psicologia). A differenza di quanto accade per i provvedimenti sulla responsabilità genitoriale che il Tribunale per i Minorenni assume nell'ambito della propria competenza in materiale civile (artt. 333-336 c.c.), queste misure non riguardano profili di responsabilità o censura nel comportamento dei genitori, bensì quelle situazioni in cui la condotta del minore non sembra riferibile alle figure genitoriali, ma è tale da richiedere un intervento responsabilizzante nei confronti del minore stesso: in questi casi non si interviene per limitare la responsabilità genitoriale, ma supportarla, sollecitando gli stessi ragazzi ad assumersi la responsabilità della propria vita. Lo scopo dell'intervento è infatti quello di fornire all'adolescente i cui genitori non sanno esercitarla, una funzione di "contenimento" da parte dei servizi sociali e da parte del Tribunale, finalizzata a consentire un inserimento sociale e ad evitare lo sbocco della crisi adolescenziale in esiti di devianza. Non vi sono dati univoci sull'applicabilità in concreto di queste misure, sulla fascia di età dei minori coinvolti, sul tipo di prescrizioni, né sul tipo di misura in concreto applicata (riporta una statistica del 2007 per cui il Tribunale per i Minorenni di Torino avrebbe applicato la misura in 5 casi, quello di Genova 6, quello di Roma 45, quello di Napoli 211, quello di Milano 486 Fadiga, L'affidamento al servizio sociale, Minori e Garanzie, maggio 2014). Osservazioni
Il decreto del Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta è interessante perché, partendo dall'analisi di una disciplina nata con lo scopo di contenere i minori con comportamenti irregolari e irrispettosi delle regole individuate dalla società e da chi su di loro esercita la responsabilità genitoriale, si sofferma a definire quelli che sono i confini tra la responsabilità genitoriale e la capacità di autodeterminazione dei minori adolescenti. Dopo aver escluso nel caso di specie che il comportamento della minore fosse effettivamente irregolare o pregiudizievole per la stessa, il Tribunale osserva come, da un lato, il minore adolescente sia titolare del diritto all'autodeterminazione, «il nostro ordinamento riconosce innanzitutto al minore il diritto non solo di esprimere la propria volontà, ma di effettuare le proprie scelte di vita»; dall'altro lato, in capo ai genitori vi sia il «dovere di sostenere i figli sia sotto il profilo materiale che morale». È questo doppio binario – costituito dal diritto dei minori all'autodeterminazione e dal dovere dei genitori di sostenere i figli nelle proprie scelte ed inclinazioni – su cui il Tribunale costruisce il limite della responsabilità genitoriale. Analizzando l'autonomia decisionale riconosciuta ai minori adolescenti, il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta ricorda il diritto di svolgere attività lavorativa (art. 2 c.c.); il diritto di riconoscere un figlio (a seguito del quale il minore genitore acquista l'esercizio della responsabilità genitoriale sul proprio figlio, art. 250 c.c.); il diritto di contrarre matrimonio (art. 84 c.c.). E a questo breve elenco di potrebbe aggiungere il diritto di negare il consenso al proprio riconoscimento (art. 250 comma 2 c.c.), il diritto a promuovere l'azione di disconoscimento di paternità (art. 244 c.c.), il diritto a prestare il consenso alla dichiarazione giudiziale di maternità o paternità (art. 273 c.c.), il diritto ad essere sentito quando occorre decidere quale cognome attribuire al minore in conseguenza di un riconoscimento dei genitori in tempi differiti (art. 262 c.c.), il diritto ad interrompere la gravidanza (art. 12 l. 194/1978), il diritto all'accesso a mezzi contraccettivi (art. 2 l. 194/1978), il diritto ad autodeterminarsi sessualmente (art. 609-quater c.p.), il diritto di scegliere se avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole superiori (art. 1 l. 281/1986), il diritto a non essere adottato (artt. 7 e 45 l. 184/1983), solo per citare i più rilevanti. Inoltre, il minore che abbia compiuto i dodici anni (e anche di età inferiore ove gli sia riconosciuta una adeguata capacità di discernimento) ha il diritto di essere ascoltato in tutte le procedure e le questioni che lo riguardano (art. 315-bis c.c.) e questo diritto è correttamente correlato dal Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta al diritto dello stesso non solo di esprimere la propria opinione (ai genitori, prima ancora che a un Tribunale), ma anche a poter esercitare una propria capacità decisionale. Dall'altro lato, venendo al profilo attinente ai genitori, l'art. 315-bis c.c. sancisce il diritto del figlio a essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai propri genitori «nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni». Osserva correttamente il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta come questi diritti «devono essere intesi quali diritti fondamentali di solidarietà che rispondono all'interesse essenziale della persona a ricevere la guida e l'aiuto indispensabili per una sana crescita psicofisica». Da questa normativa, deduce correttamente il Tribunale, emerge «la tutela del minore alla libertà nelle proprie scelte di vita, sempre che le stesse siano lecite e non pregiudizievoli». E queste scelte riguardano in particolare anche la selezione delle amicizie e l'instaurazione di legami affettivi da parte dei figli, che costituiscono a buon diritto espressione di quella autodeterminazione di cui il minore è titolare. I genitori sono tenuti a sostenere i figli nel cammino che li porta a compiere queste scelte, senza poter esercitare la propria volontà a discapito della libertà di espressione dei figli stessi. |