Deposito in cancelleria del ricorso per insinuazione allo stato passivo del fallimento – mera irregolarità formale

12 Settembre 2019

La domanda di insinuazione allo stato passivo depositata in cancelleria e non inviata al curatore a mezzo p.e.c., è comunque idonea a raggiungere il proprio scopo di determinare la costituzione di un contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è stata instaurata.
Massima

“La domanda di insinuazione allo stato passivo trasmessa in violazione dell'art. 93 L.F., e quindi depositata in cancelleria e non inviata al curatore a mezzo p.e.c., è comunque idonea a raggiungere il proprio scopo di determinare la costituzione di un contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è stata instaurata. Tale violazione – quindi – non può considerarsi di tale gravità da determinare una sanzione processuale come quella della inammissibilità, trattandosi semmai di una irregolarità sanabile dal raggiungimento dello scopo dell'atto stesso.”

Il caso

La Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di occuparsi del peculiare caso di un atto di insinuazione al passivo fallimentare depositato direttamente in cancelleria anziché trasmesso, come previsto dall'art. 93 L.F., tramite PEC al curatore.

La questione

La vicenda si incentra sulla dichiarazione di inammissibilità pronunciata dal Giudice Delegato del Tribunale di Nocera Inferiore in relazione, come detto, ad un'insinuazione al passivo proposta mediante deposito in cancelleria e non con invio al curatore via PEC.

Il Giudice Delegato in primis e il Tribunale in seconda istanza – quest'ultimo chiamato a decidere sul reclamo proposto da parte ricorrente – hanno evidenziato come la valutazione di inammissibilità della domanda trovasse il proprio fondamento sul rilievo che la modalità di trasmissione via PEC fosse l'unica prevista dall'art. 93 L.F.; né potesse aver rilevanza che la sanzione di inammissibilità non fosse stata espressamente prevista in conseguenza della violazione della norma sopra indicata, e ciò in relazione al carattere non tassativo delle ipotesi di inammissibilità.

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, l'art. 93 della Legge Fallimentare richiede espressamente che il ricorso per l'insinuazione al passivo del fallimento, sia formato ai sensi degli articoli 21, comma 2, ovvero 22, comma 3, del Codice dell'Amministrazione Digitale e che, nel termine di trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame dello stato passivo, sia trasmesso all'indirizzo di posta elettronica certificata del curatore indicato nell'avviso di cui all'articolo 92 L.F..

Orbene, la Suprema Corte – nel caso di specie – è tornata a occuparsi delle violazioni attinenti la così detta “normativa tecnica”, ossia, relative a tutte quelle norme che contengano precetti di carattere formale e indicazioni di tipo pratico sulle metodologie di creazione e trasmissione degli atti giudiziari.

Sono numerosi i precedenti della Corte di Cassazione in tal senso (si veda ad esempio la pronuncia n. 9772/2016 o la più recente n. 23620/2018) e tutti focalizzati su un principio fondamentale per il nostro ordinamento, ossia, il raggiungimento dello scopo dell'atto.

Gli Ermellini, anche in questo caso, hanno ritenuto come le forme degli atti del processo non [siano] prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma [siano] previste per la realizzazione di un certo risultato, con la conseguenza che è irrilevante l'eventuale inosservanza della prescrizione formale se l'atto viziato ha egualmente raggiunto lo scopo cui è destinato.”

Non potrà quindi dichiararsi l'inammissibilità di un atto come l'insinuazione al passivo del fallimento se – come nel caso in commento – a seguito del deposito in cancelleria (e quindi pur con modalità di trasmissione difformi rispetto a quelle prescritte dalla normativa di riferimento) il Curatore dia comunque atto di aver preso visione del ricorso e – addirittura – abbia provveduto a inserire il credito vantato all'interno dello stato passivo.

La Suprema Corte, anche con la pronuncia in oggetto, ha più volte concluso che lo scopo di un atto processuale debba essere individuato nella “presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è instaurata, e nella messa a disposizione delle altre parti processuali”, rimanendo del tutto irrilevante se tale “presa di contatto” sia avvenuta per il tramite di un atto che non rispetti la normativa tecnica inerente le modalità di trasmissione dello stesso.

Ciò premesso, con la pronuncia n. 18535 del 2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che anche nel caso di domanda di insinuazione allo stato passivo depositata in cancelleria, e non inviata invece al Curatore a mezzo di Posta Elettronica Certificata, lo scopo proprio dell'atto possa comunque dirsi raggiunto poiché, anche la modalità di deposito effettivamente utilizzata da parte ricorrente si è dimostrata idonea a “determinare la costituzione di un contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario dinanzi al quale la controversia è stata instaurata, essendo stata inserita nel progetto di stato passivo del curatore, che con tale condotta ha implicitamente attestato di averla regolarmente ricevuta.”

Si ritiene, in conclusione, di concordare pienamente con la Corte che ha ritenuto il vizio de quo una mera irregolarità e quindi non tale da poter determinare una sanzione – quale quella dell'inammissibilità – che lo stesso legislatore non ha ritenuto di prevedere espressamente all'interno della normativa di riferimento.

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