Spese di casa a carico di una parte solo se c’è accordo
25 Settembre 2019
In sede di divorzio l'ex marito chiedeva l'affidamento congiunto del figlio minore, l' assegnazione della casa familiare alla madre, un aumento dei tempi di permanenza paterni e la rideterminazione forfetaria dell'assegno per il figlio, accorpandovi anche le spese dell'abitazione che, al momento della separazione, erano invece previste come voci a parte rimborsabili. Il Tribunale, dispone l'affido condiviso dello stesso, confermando l'assetto predisposto in sede di udienza presidenziale e implementando il calendario di vista padre-figlio. Assegno per il minore e spese per l'abitazione. La separazione consensuale prevedeva un assegno per il figlio di € 2.500,00 mensili e l'obbligo del padre di provvedere alle spese dell'abitazione ( tra cui manutenzione, utenze, condominio e colf). IL padre ha richiesto la forfetizzazione delle spese nell'assegno, proponendo un importo mensile di € 3.500,00, mentre la madre ha chiesto, oltre all'assegno di € 3.500,00, la conferma della clausuola di rimborso delle spese per la casa. Il Tribunale ha accolto la domanda paterna, osservando che : i) nonostante l' ampliamento dei tempi di permanenza presso il genitore non collocatario potrebbe comportare, in linea di massima, una contrazione del quantum versato, è lo stesso ricorrente a proporre un assegno, aumentato, di € 3.500,00 che si ritiene congrua e tale da garantire un tenore di vita elevato; ii) in assenza di un espresso accordo tra le parti, il Tribunale non può confermare la clausola della separazione che aveva la sua radice nella volontà congiunta delle parti.
Assegno di divorzio negato. Il Tribunale respinge la domanda di assegno divorzile di € 1.500,00 mensili, formulata dalla moglie al fine di poter “condurre” una vita decorosa. Osserva il Tribunale che la donna, in ragione della sua età e formazione professionale, possiede quella capacità lavorativa necessaria per essere considerata autosufficiente. Inoltre il Tribunale sottolinea che alla luce dell'attuale orientamento delle Sezioni Unite (Cass. civ. sez. un. 18287/2018) “le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi non costituiscono più il punto di riferimento principale per l'attribuzione del diritto ad un assegno di mantenimento perché le stesse rilevano solo ove, eziologicamente connesse al contributo di ciascuno nel corso della vita matrimoniale”. Nel caso di specie, la donna, anche se in modalità part-time, ha prestato attività lavorativa e non ha provato in giudizio di aver irrimediabilmente compromesso la propria carriera a favore del marito o del nucleo familiare; parimenti, secondo il Tribunale, il sacrificio che la donna assume di aver sopportato non è connesso strutturalmente all'incremento del patrimonio comune e/o dell'altro coniuge e non le ha neppure impedito di maturare, dopo la separazione, redditi da lavoro via via crescenti. Per di più, il matrimonio, non di lunga durata (9 anni) è stato contratto dai coniugi in età matura, ovverosia quando entrambi erano nella condizione di realizzarsi professionalmente.
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