Traffico di influenze illeciteFonte: Cod. Pen Articolo 346 bis
26 Settembre 2019
Inquadramento
Il traffico di influenze illecite è fattispecie incriminatrice, di recente introduzione, che si inscrive in un trend di profonda rivisitazione, potenziamento e integrazione delle strategie di contrasto al fenomeno corruttivo, inaugurato dalla l. n. 190/2012. Quest'ultimo, genericamente riferito a un «incontro delle volontà tra un soggetto qualificato (c.d.intraneus) e un soggetto privato (c.d. extraneus) in forza del quale il secondo ‘compra' il favore del primo» (BENUSSI, I delitti contro la pubblica amministrazione. Tomo I. I delitti dei pubblici ufficiali, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da Marinucci-Dolcini, Padova, 2013, 587), pare aver progressivamente mutato conformazione, complessificandosi, da plurimi punti di vista. Anzitutto, si è assistito al superamento di forme elementari, episodiche, occasionali, inquadrabili in un modello c.d. “pulviscolare” di corruttela, che è andata assumendo carattere endemico e portata sistemica (MANNOZZI, Combattere la corruzione: tra criminologia e diritto penale, in Dir. pen. e proc., 2008, 775). Inoltre, alla tradizionale dualità del pactum sceleris sembrano affiancarsi moduli delittuosi spersonalizzati (Spena, Il “turpe mercato”. Teoria e riforma dei delitti di corruzione pubblica, Milano, 2003, 45), la cui complessa trama coinvolge una pluralità di soggetti: da un lato, infatti, spicca il ruolo di c.d. “centri di interesse”, “terminali delle tangenti pagate dagli imprenditori” (CINGARI, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica. Verso un modello di contrasto integrato, Torino, 2012, 31); dall'altro, emerge l'interposizione di “mediatori” o “faccendieri”, veri e propri “intermediari della fiducia” capaci di porre in contatto agenti interessati ad entrare in affari (VANNUCCI, Il mercato della corruzione. I meccanismi dello scambio occulto in Italia, Milano, 1997, 153 ss.), cui spetta la “signoria del fatto” corruttivo (PADOVANI, Il problema “Tangentopoli” tra normalità dell'emergenza ed emergenza della normalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 459). Infine, a trasformarsi sembra essere anche il contenuto del sinallagma criminale: la prestazione del corruttore, infatti, tende sempre più a “liquefarsi”, dalla tradizionale tangente a qualsiasi vantaggio (anche non patrimoniale) oggettivamente apprezzabile, capace di assumere forme disparate (DOLCINI, Appunti su corruzione e legge anti-corruzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 553); il contegno del corrotto, parimenti, si de-materializza, avendo sempre più spesso ad oggetto (non già un determinato atto, bensì) l'asservimento di generiche funzioni o qualità di cui è titolare il pubblico agente, ovvero un'attività di influenza sul soggetto competente ad emanare l'atto (CINGARI, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica. Verso un modello di contrasto integrato, Torino, 2012, 32). In quest'ultimo caso, pare delinearsi una “triangolazione sofisticata” (BENUSSI, I delitti contro la pubblica amministrazione. Tomo I. I delitti dei pubblici ufficiali, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da Marinucci-Dolcini, Padova, 2013, 639), dai confini piuttosto incerti rispetto alla lecita attività di lobbying, la cui essenza è la “tensione a influenzare” i processi decisionali pubblici (ALAGNA, Lobbying e diritto penale. Interessi privati e decisioni pubbliche tra libertà e reato, Torino, 2018, 3), tramite “dinamiche di pressione-persuasione (..) nei confronti dei decision-makers” (VENEZIANI, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2016, 4, 1294). Proprio in tale intersezione fenomenologica si colloca l'art. 346-bis c.p., rubricato “traffico di influenze illecite”, introdotto originariamentedalla l. n. 190/2012, in ossequio ad obblighi sovra-nazionali (sulla cui stessa esistenza si dibatte: v. di Martino, Le sollecitazioni extranazionali alla riforma dei delitti di corruzione, in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, a cura di Mattarella-Pelissero, Torino, 2013, 378), che troverebbero fonte nella Convenzione ONU contro la corruzione del 31 ottobre 2003 (c.d. Convenzione di Merida, ratificata con l. n. 116/2009) e nella Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa del 27 gennaio 1999 (c.d. Convenzione di Strasburgo, attuata con l. n. 110/2012). La disposizione richiamata, originariamente collocata a fianco del delitto di millantato credito, è stata oggetto di una “radicale modifica”ad opera della l. n. 3/2019 (c.d. “spazza-corrotti”), che ha esteso la fattispecie del traffico d'influenze illecite, «con riassorbimento nell(a) stess(a) delle condotte di millantato credito e contestuale abrogazione dell'art. 346 c.p.» (Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 15). Ne emerge un micro-sistema di contrasto alla corruzione, «in armonica progressione criminosa», capace di coprire «tutti i passaggi attraverso cui si snoda la genesi del contratto illecito», a partire dal trading in influence, che punisce il «pre-accordo d'intercessione illecita» (così, già VALENTINI, Dentro lo scrigno del legislatore penale. Alcune disincantate osservazioni sulla recente legislazione anticorruzione, in Diritto penale contemporaneo-Rivista trimestrale, 2013, 2, 120), ovvero addirittura le degenerazioni del «puro contatto tra funzione pubblica e interessi privati» (PALAZZO, Le norme penali contro la corruzione tra presupposti criminologici e finalità etico-sociali, in La corruzione a due anni dalla “Riforma Severino”, a cura di Borsari, Padova, 2015, 72). Interesse tutelato
L'individuazione dell'interesse giuridico tutelato dal delitto di traffico di influenze illecite non pare poter prescindere dall'analisi di alcuni aspetti: anzitutto, sullo sfondo, il dibattito circa l'oggettività giuridica protetta dai delitti contro la pubblica amministrazione; ancora, l'essere - l'incriminazione di cui all'art. 346-bis c.p. - una componente di un complesso sistema integrato di lotta al fenomeno corruttivo; infine, la contiguità topografica, venuta meno soltanto di recente, con la “millanteria”, indice di una prossimità fenomenica tra il “venditore di fumo” ed il “venditore di arrosto”, secondo l'icastica etichetta diffusasi in dottrina (TAGLIARINI, voce Millantato credito, in Enc. dir., 1976, 316). Prima della novella ad opera della l. n. 3/2019, in dottrina e giurisprudenza pareva darsi una certa concordia: «il delitto di traffico di influenze illecite rappresenta uno strumento di tutela anticipata dell'imparzialità e della legalità», nonché del buon andamento, cui deve ispirarsi l'azione della pubblica amministrazione (MAIELLO V., Il delitto di traffico di influenze indebite, in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, a cura di Mattarella-Pelissero, 2013, 431); congegno che intercetta comportamenti di interposizione ove «la distorsione della funzione pubblica (…) resta comunque solo in potenza (o comunque non risulta provata)» (MANES, Corruzione senza tipicità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 3, 1135), di modo che “rimang(a)no irrilevanti sia l'effettivo esercizio dell'influenza sia, a fortiori, il raggiungimento dell'esito voluto dall'istigatore iniziale (in giurisprudenza, ad es., Cass. pen., Sez. VI, 23 novembre 2017, n. 53332). Di qui, la qualificazione in termini di reato (non già di danno, bensì) di mero pericolo, specificamente astratto, di cui da più parti si evidenzia il contenuto di disvalore particolarmente de-materializzato (PALAZZO, Concussione, corruzione e dintorni: una strana vicenda, in Diritto penale contemporaneo - Rivista trimestrale, 2012, 1, 229). In tale quadro si colloca la riforma c.d. “spazza-corrotti” (l. n. 3/2019), tramite la quale il legislatore, sganciando l'art. 346-bis c.p. «dal requisito implicito della necessaria idoneità dell'influenza venduta ad incidere effettivamente sul pubblico agente» (CINGARI, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 749), si prefigge il permanere della penale rilevanza (ad altro titolo di reato) delle condotte prima inquadrabili nell'alveo dell'abrogato millantato credito (Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 17). Così riformulata la fattispecie, pare farsi meno piana la ricognizione degli interessi protetti (adesivamente, MONGILLO, La legge spazzacorrotti: ultimo approdo del diritto penale emergenziale nel cantiere permanente dell'anticorruzione, in Diritto penale contemporaneo, 2019, 5, 302); operazione che rischia di mutuare le incertezze relative alla definizione dell'oggettività giuridica del millantato credito, ambito elettivo di ricostruzioni in chiave pluri-offensiva. Proprio sviluppando tali considerazioni, non stupirebbe affatto la diffusione di prospettazioni del rinnovato art. 346-bis c.p. che valorizzino, accanto al buon andamento, ulteriori interessi protetti, tra cui, ad es., il patrimonio di colui che indebitamente dà o promette denaro o altra utilità, ora punito dall'art. 346-bis, II comma c.p., ovvero il “prestigio della pubblica amministrazione”, la cui scarsa capacità euristica - tuttavia - è da tempo evidenziata [STILE, voce Amministrazione pubblica (delitti contro la), in Digesto discipline penalistiche, 1987, 132]. Nemmeno sarebbe fuor d'opera prospettare una “oggettività giuridica composita” (così, in relazione all'allora vigente millantato credito, Pagliaro-Parodi Giusino, Principi di diritto penale. Parte speciale. I. Delitti contro la pubblica amministrazione, 2008, 468), capace di diversamente declinarsi a seconda della natura reale ovvero meramente asserita della relazione di cui s'intenda abusare. Nel primo caso, si darebbe effettivamente una tutela anticipata contro il mercimonio della pubblica funzione; nel secondo, invece, l'intrinseca inefficienza eziologica rispetto all'offesa al bene giuridico “buon andamento ed imparzialità della p.a.” potrebbe suggerire di “ripiegare” sul bene-prestigio della P.A. che, come tradizionalmente si afferma, subirebbe danno dal mercanteggiare pretese influenze presso funzionari pubblici, facendoli falsamente apparire come corruttibili ovvero avvicinabili (RICCIO, voce Millantato credito, in Novissimo digesto italiano, 1964, 695).
Profili strutturali: soggetti attivi. Proiezione soggettiva del piano criminoso
Come visto, l'art. 346-bis c.p. intercetta vicende concrete che coinvolgono una pluralità di soggetti; di qui, l'esigenza di ricostruire la struttura soggettiva dell'incriminazione. Vista la natura di “delitto-ostacolo” rispetto alle fattispecie corruttive (RAMPIONI, I reati dei pubblici ufficiali contro la p.a., in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, a cura di Fiorella, Torino, 2016, 844), cogliendo spunti dal dibattito diffusosi intorno alla dicotomia corruzione attiva vs. passiva (v. BENUSSI, I delitti contro la pubblica amministrazione. Tomo I. I delitti dei pubblici ufficiali, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da Marinucci-Dolcini, Padova, 2013, 595 ss.), sipotrebbe prospettare una disarticolazione del tipo criminoso in due distinte fattispecie astratte, monosoggettive: da un lato, quella di cui all'art. 346-bis, I comma c.p., che punirebbe il trader in influence; dall'altro, quella di cui al comma II del medesimo disposto che espressamente punisce, invece, il “cliente”, che dà o promette denaro o altra utilità.
Sempre ponendo mente alla vicenda reale, è possibile che l'intermediario sia, indifferentemente, un privato, ovvero un soggetto attributario di qualifica pubblicistica. A fronte di questo multiforme atteggiarsi della fattispecie concreta, cui è sotteso un disvalore eterogeneo, il legislatore ha predisposto una strategia sanzionatoria composita, differenziata: da un lato, ha configurato il traffico di influenze di cui all'art. 346-bis come reato comune (CINGARI, sub art. 346-bis, in Codice penale, a cura di Padovani, 2014, 2124), integrabile da qualsiasi soggetto a prescindere da qualità peculiari; dall'altro, ha delineato, al comma III, una fattispecie circostanziale, aggravante, speciale, ad effetto comune, per il caso in cui il trafiquant d'influence rivesta la qualifica di pubblico ufficiale ovvero di incaricato di pubblico servizio. Si tratta di una scelta in linea con la più intensa carica di offesa insita nella commissione del fatto da parte di un soggetto avente una relazione qualificata con la pubblica amministrazione, circa la cui effettività, tuttavia, si dibatte, potendo l'inasprimento sanzionatorio essere neutralizzato dal giudizio di bilanciamento con altre fattispecie circostanziali [GROSSI, Il delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis), in Reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia, a cura di Catenacci, in Trattato teorico/pratico di diritto penale, diretto da Palazzo-Paliero, Torino, 2016, 253]. Profilo differente è quello della ricognizione dei soggetti verso cui è diretta l'influenza, che risente della novella ad opera della l. n. 3/2019. Infatti, il raggio d'azione della fattispecie astratta è stato ampliato rispetto alla formulazione originaria inserendo, tra i destinatari dell'influenza, accanto al pubblico ufficiale e all'incaricato di servizio pubblico, anche i pubblici agenti internazionali indicati dall'art. 322-bis c.p. (CINGARI, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 751). Dal punto di vista oggettivo, l'art. 346-bis c.p. delinea una fattispecie piuttosto complessa, di cui criticamente si valorizza la “tassatività debole” (MANES, Corruzione senza tipicità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 3, 1138), se non addirittura la natura di “delitto omnibus, di labile spessore contenutistico” (MONGILLO, La legge spazzacorrotti: ultimo approdo del diritto penale emergenziale nel cantiere permanente dell'anticorruzione, in Diritto penale contemporaneo, 2019, 5, 301). Si tratta di un tipo criminoso a forma vincolata, a condotte alternative, che merita di essere analizzato distinguendone le varie componenti, senza obliterare una prospettiva diacronica, necessaria alla luce della più volte richiamata novella del 2019. Giova muovere dalla ricognizione dei presupposti del pactum sceleris, vero e proprio basamento dell'incriminazione, su cui, fin dall'introduzione della figura criminosa, si sono scaricate le esigenze di differenziazione rispetto al contiguo millantato credito. In particolare, seguendo l'originaria formulazione, «presupposto della condotta è rappresentato dall'effettiva esistenza di relazioni tra il ‘trafficante' e il pubblico ufficiale/incaricato di un pubblico servizio» (Veneziani, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2016, 4, 1300), dotate di una consistenza tale da essere “concretamente idonee a condizionarne i poteri o il servizio” (Cass. pen., sez. VI, 23 novembre 2017, n. 53332). Secondo l'impostazione invalsa, per “relazioni esistenti”, vero elemento discretivo rispetto al delitto di millantato credito, si sarebbe dovuto intendere «amicizie, conoscenze, contatti che il mediatore possiede in (presso) un ambiente della p.a. e sfrutta per farsi dare o promettere denaro o altro vantaggio» (ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche. Artt. 336-360 cod. pen. Commentario sistematico, Milano, 2015, 165); ciò a prescindere dal fatto che si tratti di rapporti sporadici, stabili, duraturi, consuetudinari (ANDREAZZA-PISTORELLI, Novità legislative: l. n. 6 novembre 2012, n. 190 recante prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, 15 novembre 2012, in cortedicassazione.it, 12) Proprio su tale presupposto è intervenuta la l. n. 3/2019, che si propone di «soddisfare appieno gli obblighi internazionali sottoscritti, che impongono la punibilità di entrambi i soggetti», senza distinguere tra «l'ipotesi in cui chi riceva la promessa o la dazione già disponga, al momento del fatto, delle relazioni ‘giuste' ovvero semplicemente le millanti» (Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 16). L'attuale formulazione pare aver dato luogo a una «(mini-)macro-fattispecie incriminatrice» dal contenuto, anche di disvalore, disomogeneo (CINGARI, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 751). Da un lato, infatti, vi rientrano sicuramente le ipotesi di traffico di influenze ‘effettivo', ove il patto illecito poggia su di una relazione realmente esistente, idonea a condizionare effettivamente l'agente pubblico; dall'altro, parimenti, l'art. 346-bis c.p. intercetta la negoziazione di influenze “potenziale”, basata su rapporti meramente asseriti, attualmente insussistenti, espressiva di disvalore meno nitido (Cingari, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 752). Maggiormente problematica, invero, la questione della penale rilevanza del mercanteggiamento di influenze “putativo/impossibile” in cui il “faccendiere”, privo di qualsiasi possibilità (anche futura) di avvicinamento dell'agente pubblico, ingannando il committente, si faccia dare o promettere utilità. Secondo una prima impostazione, tale vicenda integrerebbe la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 346-bis c.p. A sostegno, anzitutto, l'argomento normativo: l'espressione vantando relazioni asserite sarebbe in grado di “coprire” anche rapporti (non soltanto attualmente inesistenti, ma anche) impossibili. Ancora, la ratio legis, in uno con l'argomento sistematico (riferito alle normative sovranazionali), assicurerebbero la punizione anche ove si dia un “eventuale inganno di una parte ai danni dell'altra” (Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 16). Ad avviso di una differente prospettazione, invece, i principi di offensività e materialità del reato osterebbero alla penale rilevanza, ex art. 346-bis c.p., dell'abuso di relazioni impossibili, privo di reale consistenza materiale ed espressivo di una mera intenzione riprovevole, senza alcun pericolo per il buon andamento di cui all'art. 97 cost. (Cingari, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 752). Tale vicenda, piuttosto, sarebbe sussumibile nel delitto di truffa, «che - dopo l'abrogazione/riformulazione degli artt. 346 e 346-bisc.p. - si è riespanso così da abbracciare quelle tipologie di accadimenti che prima erano punite tramite il delitto di millantato credito» (GAMBARDELLA, Il grande assente nella nuova “legge spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen.,2019, 1, 72). Da più parti definito quale reato-contratto [MARRA, voce Traffico di influenze (delitto di), in Digesto discipline penalistiche, 2018, 878), nella struttura del traffico di influenze l'accordo delle parti “svolge un ruolo di primo piano” (SEMERARO, Fatto tipico e traffico di influenze illecite, in Archivio penale, 2018, 1, 3). L'analisi del sinallagma merita di essere condotta distinguendo, da un lato, la prestazione del cliente e, dall'altro, quella cui è tenuto l'influence peddler. La novella del 2019, intercettando l'evoluzione degli scambi lato sensu corruttivi, a contropartita de-materializzata, ed assicurando una ideale linea di continuità con la struttura delle altre figure criminose contro la pubblica amministrazione, ha esteso l'oggetto della prestazione da parte del cliente: non più soltanto l'indebita dazione o promessa in favore del trader in influence o di terzi (purché diversi dal soggetto-bersaglio, versandosi altrimenti in ipotesi di corruzione: v. VENEZIANI, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2016, 4, 1300) di denaro o altro vantaggio patrimoniale; bensì anche di ogni “altra utilità” (MAIELLO N.M., L'abrogazione del millantato credito e la riformulazione del traffico di influenze illecite: barlumi di ragionevolezza nel buio della riforma, in Archivio penale, 2019, 1, 14).
Più complessa pare la posizione del mediatore o faccendiere, che merita di essere esaminata distinguendo due condotte alternative: da un lato, la c.d. mediazione gratuita; dall'altro quella “onerosa”. Si tratta di comportamenti che, pur condividendo la centralità del concetto di “mediazione”, differiscono in ordine alla causale della promessa o della dazione conseguente.
Invero, il contegno di ciascuna delle parti del pactum si pone lungo una seriazione di accadimenti, emergente chiaramente dalla stessa formulazione, a forma vincolata, dell'art. 346-bis c.p.
Come sottolineato dalla dottrina, componente centrale, verso cui è “inarcato” il “baricentro” della dinamica pre-corruttiva, è la proiezione teleologica del sinallagma (Manes, Corruzione senza tipicità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 3, 1136), intorno a cui paiono riannodarsi le esigenze selettive del tipo criminoso. Nella sua formulazione originaria, l'art. 346-bis c.p. recava la proposizione «in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio»: veniva formalizzata, in tal modo, una specificazione finalistica, di cui non v'era traccia nelle fonti internazionali (BENUSSI, sub art. 346-bis, in Codice penale commentato. Tomo II. Artt. 314-592, fondato da Dolcini-Marinucci, diretto da Dolcini-Gatta, Milano, 2015, 870), ma volta a contrastare eccessi di anticipazione della tutela dovuti ad una “smaterializzazione della fattispecie” (MERENDA, Il traffico di influenze illecite: nuova fattispecie e nuovi interrogativi, in Diritto penale contemporaneo - Rivista trimestrale, 2013, 2, 91). Invero, proprio l'interpretazione di tale espressione aveva impegnato dottrina e giurisprudenza: ad avviso di taluni, tale inciso avrebbe dovuto essere riferito esclusivamente alle ipotesi di “mediazione gratuita”, ossia in cui l'erogazione al faccendiere fosse stata effettuata “per remunerare” (non già l'intermediario, bensì) il pubblico agente (MAIELLO V., Il delitto di traffico di influenze indebite, in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, a cura di Mattarella-Pelissero, 2013, 425). Di qui, una serie di corollari, dalla portata tranchante. Anzitutto, la disarticolazione tra le condotte alternative descritte dal legislatore, con conseguente rimodulazione del nucleo di disvalore dell'incriminazione: da un lato, l'intercessione gratuita pareva in re ipsa illecita, perché preordinata al condizionamento del soggetto pubblico, ponendosi quale “mera ipotesi anticipatoria del concorso in corruzione” (Mongillo, Profili penali della rappresentanza di interessi: il traffico di influenze illecite nell'ordinamento italiano, in Percorsi costituzionali, 2016, 1-2, 96). Dall'altro lato, l'intermediazione prezzolata, in cui non si puniva un accordo prodromico alla corruttela ed il cui disvalore si sarebbe dovuto rintracciare tutto nella natura “illecita” dell'attività del trader in influence. Ancora, proprio in quest'ultimo caso, la necessità di perimetrare il significato di “mediazione illecita”, al fine di scongiurarne una (troppo estesa) denotazione in contrasto con principi fondamentali dell'illecito penale. Secondo la condivisibile impostazione prevalente, invece, la proiezione teleologica del pactum sceleris verso la corruzione propria avrebbe dovuto essere intesa come riferita ad entrambe le condotte descritte dall'art. 346-bisc.p. (MERENDA, Il traffico di influenze illecite: nuova fattispecie e nuovi interrogativi, in Diritto penale contemporaneo - Rivista trimestrale, 2013, 2, 91). A sostegno di tale asserto plurime considerazioni: dal punto di vista letterale, «il riferimento al prezzo della mediazione ovvero alla remunerazione (era) compreso tra due virgole, che ne rimarca(va)no l'alternatività», di modo che il prosieguo avrebbe dovuto essere riferito ad entrambe le ipotesi (VENEZIANI, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2016, 4, 1301). Ancora, in tal senso avrebbe militato l'argomento sistematico interno alla disposizione richiamata, in uno con esigenze di simmetria rispetto alla clausola di sussidiarietà espressa. Infine, l'argomento apagogico: l'adozione della ricostruzione avversa avrebbe condotto ad una irragionevole assimilazione (quanto a disvalore riflesso nell'identica cornice edittale predisposta dal legislatore) tra mediazioni onerose illecite tout court ed interposizioni funzionali ad una corruzione propria (MONGILLO, Profili penali della rappresentanza di interessi: il traffico di influenze illecite nell'ordinamento italiano, in Percorsi costituzionali, 2016, 1-2, 98). Così ricostruita la fattispecie, come sottolineato dalla dottrina, «molto, se non tutto, si concentra su scopi e moventi che finiscono per fissare nel foro interno il confine tra ‘il traffico innocente' e quello ‘corruttivo'» (Manes, Corruzione senza tipicità, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 3, 1136), con quanto ne segua, di problematico, dal punto di vista probatorio. Il legislatore nel 2019 è intervenuto anche su tale profilo, prefiggendosi l'obiettivo, coerente con le fonti sovranazionali, di un più effettivo contrasto al fenomeno corruttivo: da un lato, viene eliminato il riferimento al «compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio», sostituito dall'espressione «in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri»; dall'altro, la remunerazione dell'agente pubblico in relazione ad una corruzione propria, ritenuta dotata di maggior disvalore, costituisce, ora, fattispecie circostanziale, aggravante, di delitto. Tale novella, lungi dal porsi quale mero ampliamento della direzione finalistica del mercanteggiamento, pare dare luogo ad una vera e propria metamorfosi nelle scelte di incriminazione, non priva di criticità (MONGILLO, La legge spazzacorrotti: ultimo approdo del diritto penale emergenziale nel cantiere permanente dell'anticorruzione, in Diritto penale contemporaneo, 2019, 5, 301). Anzitutto, il legislatore pare aver modificato la sintassi della proposizione descrittiva della fattispecie astratta: nella formulazione attuale, infatti, ad essere compresa tra due virgole è l'espressione “ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio di funzioni o dei suoi poteri”; inciso che, nell'includere dentro di sé, la (nuova) proiezione teleologica del mercanteggiamento criminoso, pare marcare la divaricazione dalla proposizione antecedente. Proprio tali considerazioni potrebbero intensificare il dibattito sopra richiamato, dando la stura ad impostazioni, prima minoritarie, che propongano (nuovamente) di distinguere la condotta di mediazione gratuita da quella onerosa anche dal punto di vista teleologico: la prima penalmente rilevante soltanto ove strumentale ad una corruzione funzionale; la seconda, invece, illecita tout court, con quanto ne segua - di problematico - circa l'individuazione dei confini delle intercessioni penalmente rilevanti. A sostegno, non soltanto l'argomento letterale, bensì anche quello sistematico, interno all'art. 346-bis c.p.: infatti, nel costruire la fattispecie circostanziale, di cui al IV comma, il legislatore pare comminare l'aggravamento di pena soltanto per l'ipotesi di mediazione gratuita prodromica ad una corruzione propria; scelta che perderebbe di razionalità ove la fattispecie-base fosse da ricostruire riferendo la direzione teleologica del pactum ad entrambe le species di mercanteggiamento. Il legislatore, nel delineare il fatto tipico, utilizza due espressioni: indebitamente, avverbio riferito alla erogazione di denaro o altra utilità; nonché l'aggettivo illecita, qualificazione dell'attività di mercanteggiamento dell'influenza da parte del mediatore. Si è innanzi ad elementi normativi, specificamente giuridici, della fattispecie, volti - nelle intenzioni del legislatore - a tratteggiare i confini del penalmente rilevante, in ossequio ad esigenze di calcolabilità delle conseguenze penali dell'agire (VENEZIANI, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2016, 4, 1301). Invero, proprio circa l'individuazione del ruolo di tali clausole nella descrizione del tipo delittuoso si è dibattuto; operazione strettamente correlata all'interpretazione di altre porzioni della fattispecie astratta, da cui discendono precise conseguenze in punto di allocazione del disvalore sotteso alla vicenda incriminata. Secondo una prima tendenza (sicuramente maggioritaria nella vigenza della formulazione originaria dell'art. 346-bis c.p. e tutt'ora generalmente condivisa) i requisiti “indebitamente” e “illecita” intercetterebbero il tema giuridico della “ridondanza”, dando luogo ad un “pleonasmo”, mera iterazione di contenuto informativo traibile aliunde. A sostegno, precise premesse: la natura dell'art. 346-bis c.p., quale reato-ostacolo rispetto alla corruzione; nonché l'unificazione della direzione teleologica della mediazione, capace di far emergere sufficientemente, ex se, il disvalore sotteso all'incriminazione. Di qui, la conclusione necessitata: i requisiti richiamati “non fondano un'illiceità speciale, poiché nulla aggiungono ai contenuti di illiceità che connotano il modello legale, a prescindere da quell'avverbio e da quell'aggettivo” (Veneziani, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2016, 4, 1301). Una differente impostazione, invece, attribuisce un ruolo centrale alle espressioni menzionate: sarebbero clausole di illiceità speciale, vere e proprie chiavi di volta nello sceverare le mediazioni lecite da quelle penalmente rilevanti (Andreazza-Pistorelli, Novità legislative: l. n. 6 novembre 2012, n. 190 recante prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, 15 novembre 2012, in www.cortedicassazione.it, 13 s.) In particolare, lungi dal poter essere considerato mera superfetazione, l'avverbio “indebitamente”, da un lato, rimanderebbe «a espressioni utilizzate dal legislatore in altre norme del codice penale per rappresentare che una prestazione sia indebita quando non dovuta secondo l'ordinamento”; dall'altro, consisterebbe in un “ammonimento rivolto al giudice affinché questi valuti con particolare attenzione la sussistenza dell'antigiuridicità della seconda parte della condotta» [DI GIUSEPPE, La nuova fattispecie di traffico di influenze (art. 346-bis), in Trattato di diritto penale. Parte generale e speciale. Riforme 2008-2015, a cura di Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 2015, Milano, 268]. Parimenti, rilievo fondamentale avrebbe l'illiceità della mediazione. Infatti, muovendo dalla peculiare premessa secondo cui la proiezione teleologica del sinallagma sarebbe da riferire soltanto all'intermediazione gratuita, si afferma che la selezione delle attività penalmente rilevanti dipenderebbe (secondo taluni integralmente: Brunelli, Le disposizioni penali nella legge contro la corruzione: un primo commento, in federalismi.it, 2012, 20) dalla capacità evocativa del termine “illecita”. Quest'ultima, tuttavia, pare dipendere da parametri di qualificazione non rintracciabili nell'ordinamento (MERENDA, Il traffico di influenze illecite: nuova fattispecie e nuovi interrogativi, in Diritto penale contemporaneo - Rivista trimestrale, 2013, 2, 92), in ragione dell'assenza, da più parti denunciata (SCAROINA, Lobbying e rischio penale, in Dir. pen. e proc.,2016, 6, 824), di una disciplina dell'attività di lobbying. Proponendosi di evitare il rischio di over-criminalization in contrasto con la Carta costituzionale, si è tentato di fornire interpretazioni tassativizzanti, capaci di irrobustire i profili di materialità, offensività e ragionevolezza dell'incriminazione. Ad avviso di taluni, che ricostruiscono la questione in ottica civilistica, dovrebbe essere considerata illecita l'intercessione basata su «aderenze personali, sulle relazioni di parentela o di amicizia o di natura politica presenti tra il mediatore ed il pubblico ufficiale, ovvero sul possesso di incarichi pubblici da parte del mediatore» (SEMERARO, Fatto tipico e traffico di influenze illecite, in Archivio penale, 2018, 1, 5). Secondo una differente tendenza interpretativa, invece, al fine di evitare che l'incriminazione del mercimonio sia ancorata ad una sua generica contrarietà al diritto, che «farebbe scivolare la fattispecie verso il dominio delle clausole generali», occorrerebbe interpretare l'aggettivo “illecita” come riferita ad una intermediazione diretta alla commissione di un fatto penalmente rilevante (MAIELLO V., Il delitto di traffico di influenze indebite, in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, a cura di Mattarella-Pelissero, 2013, 426). All'interno di tale linea esegetica, invero, nel vigore della formulazione originaria dell'art. 346-bis c.p., non v'era uniformità di vedute. Secondo una prima opzione, che non pare poter resistere all'interpolazione ad opera della l. n. 3/2019, occorrerebbe valorizzare le indicazioni derivanti dalla clausola di riserva dell'art. 346-bis c.p. (formulazione originaria), nonché la centralità dell'atto contrario ai doveri d'ufficio nella perimetrazione del tipo criminoso; e concludere che per “mediazione illecita” dovrebbe intendersi quella strumentale alla commissione di delitti, il cui baricentro ruoti intorno all'adozione di un atto contrario ai doveri d'ufficio ovvero o all'omissione o al ritardo di un atto d'ufficio (Cingari, Sul traffico di influenze illecite, in Dir. pen. e proc., 2015, 4, 483). Secondo una differente ricostruzione, che - invece - pare argomentabile anche alla luce dell'art. 346-bis, I comma c.p., attualmente vigente, rileverebbero soltanto mediazioni strumentali all'integrazione di fattispecie incriminatrici “produttive di indebiti vantaggi in favore dell'istigatore iniziale dell'atto e coautore dell'accordo” (Pulitanò, Legge anticorruzione, in Cass. pen., 2012, suppl. n. 11, 14). In ragione della dinamica che pare legare le singole componenti della fattispecie descritta dal legislatore, si è dibattuto circa una tema “classico” nell'alveo del micro-sistema di contrasto alla corruzione: la possibilità di configurare, sul piano morfologico, accanto ad un traffico di influenze “antecedente”, anche una forma c.d. “susseguente”.
Elemento oggettivo
L'individuazione dell'elemento subiettivo del traffico d'influenze illecite è operazione soltanto apparentemente piana, finendo per dipendere dalla premessa ricognizione della morfologia dell'incriminazione.
Le vicende della consumazione
L'art. 346-bis c.p. delinea un reato-contratto, di evento, che si «consuma con la ricezione o l'accettazione della promessa del denaro o altro vantaggio» (Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche. Artt. 336-360 cod. pen. Commentario sistematico, Milano, 2015, 171), non assumendo rilevanza “né l'esercizio dell'influenza illecita da parte del mediatore, né il comportamento del pubblico agente influenzato (CINGARI, sub art. 346-bis, in Codice penale, a cura di Padovani, 2014, 2127). Spicca la particolare conformazione della porzione oggettiva dell'incriminazione: si tratta di una “norma a più fattispecie” (VALENTINi, Dentro lo scrigno del legislatore penale. Alcune disincantate osservazioni sulla recente legislazione anticorruzione, in Diritto penale contemporaneo-Rivista trimestrale, 2013, 2, 123), che pare ricalcare la struttura propria dei delitti di corruzione, mutuandone le questioni topiche.
Superata l'impostazione che pretenderebbe di rintracciare due reati, autonomi, avvinti dal vincolo della continuazione, v'è una certa concordia nel ricostruire in chiave unitaria la vicenda in cui alla promessa segua la dazione di denaro o altra utilità da parte del cliente. Tuttavia, si dibatte circa i rapporti tra i due schemi di perfezionamento sopra richiamati.
Strettamente connessa è la questione della individuazione del momento consumativo nel caso in cui il versamento di denaro o altra utilità non avvenga in un'unica soluzione: ad avviso di taluni, l'offesa tipica, istantanea, si consumerebbe tutta nel versamento della prima rata, a nulla rilevando le ulteriori erogazioni, costituenti post-fatto non punibile. Opinano diversamente, coloro i quali, valorizzando l'approfondimento dell'offesa al bene giuridico protetto, propongono di qualificare la fattispecie come a consumazione prolungata, con quanto ne segua in punto di individuazione del momento consumativo, nonché di fissazione del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, da rintracciare in corrispondenza con il versamento dell'ultima rata. Discusso è altresì il tema della configurabilità del tentativo, resa problematica dalla natura di reato-ostacolo riconosciuta al delitto di cui all'art. 346-bis c.p., che si caratterizza per la marcata anticipazione della tutela.
Apparato sanzionatorio
L'analisi dell'apparato sanzionatorio predisposto dal legislatore merita di essere condotta, non obliterando una prospettiva diacronica, lungo il solco della distinzione tra pene principali ed accessorie. Nella sua formulazione attuale, l'art. 346-bis, I° e II° comma,c.p. punisce il traffico di influenze con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. Si tratta della cornice edittale risultante dalla novella del 2019, che ha inasprito la pena detentiva principale, prefiggendosi l'obiettivo di restituire razionalità rispetto alla più grave risposta sanzionatoria che veniva prevista per la meno grave figura del millantato credito, di cui all'art. 346 c.p. (Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 17). Invero, permangono profili di irrazionalità: nonostante l'assorbimento delle condotte prima punite ex art. 346 c.p. nell'alveo della descrizione del tipo legale di traffico di influenze illecite, sensibilmente divergente pare il disvalore sotteso ai diversi contegni; eppure, all'integrazione di fattispecie così dissimili consegue lo stesso trattamento sanzionatorio (MONGILLO, La legge spazzacorrotti: ultimo approdo del diritto penale emergenziale nel cantiere permanente dell'anticorruzione, in Diritto penale contemporaneo, 2019, 5, 301). Di particolare interesse è altresì la modulazione del regime delle pene accessorie, utilizzate quale strumento ulteriore di contrasto, a tutt'oltranza, a fatti di corruzione e strettamente inerenti. Un primo elemento di novità può essere rintracciato nell'inclusione dell'art. 346-bis c.p. nel novero dei reati al cui accertamento, tramite statuizione di condanna, consegue l'interdizione dai pubblici uffici e l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio); sanzioni accessorie che avranno durata perpetua ovvero temporanea di (non più cinque, bensì) sette anni, a seconda che la condanna sia o meno superiore ai due anni di reclusione. Fa da pendant a tale previsione l'introduzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione quale misura cautelare, specificamente interdittiva, applicabile prima della condanna, a prescindere dai limiti di pena previsti dall'art. 287, I comma c.p.p. Peraltro, in caso di condanna per il delitto di cui all'art. 346-bis c.p., la riabilitazione non produce effetti sulla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici e su quella dell'incapacità a contrattare in perpetuo con la pubblica amministrazione; ma, trascorso un periodo non inferiore a 12 anni dalla riabilitazione, la pena accessoria è dichiarata estinta qualora il condannato abbia dato prove effettive e costanti di “buona condotta” (v. art. 179, ultimo comma c.p.). Due ulteriori previsioni, introdotte dalla riforma del 2019, meritano una menzione: l'inclusione del delitto in esame nell'alveo dei reati ostativi alla concessione dei benefici previsti dalla l. n.354/1975; nonché nell'ambito dei reati-presupposto dell'insorgenza della responsabilità da reato dell'ente, cui è ricollegata espressamente la sanzione pecuniaria fino a duecento quote (v. art. 25, I comma D.lgs. 231/2001). Fattispecie circostanziali
Il legislatore, al fine di cogliere a pieno le sfumature offensive della vicenda concreta, ha predisposto plurime fattispecie circostanziali, sia aggravanti, che attenuanti. Anzitutto, spicca la circostanza prevista dall'art. 346-bis, III comma, c.p., speciale, avente natura soggettiva, ad effetto comune, dando luogo ad un incremento di pena fino ad un terzo nell'ipotesi in cui l'intermediario rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Centrale pare anche la già richiamata (in parte qua) fattispecie prevista dall'art. 346-bis, IV comma c.p., che delinea un'aggravante speciale, ad effetto comune, dal carattere oggettivo, che opera al ricorrere di due differenti ipotesi: da un lato, la funzionalizzazione del pactum sceleris all'esercizio di attività giudiziarie, da intendere come riferito ad un ambito più esteso rispetto a quello “coperto” dal delitto di corruzione in atti giudiziari; dall'altro, la proiezione del sinallagma verso l'adozione di uno specifico atto contrario ai doveri d'ufficio o l'omissione o il ritardo di un atto dell'ufficio. Diversamente, l'ultimo comma dell'art. 346-bis c.p. prevede una fattispecie circostanziale attenuante, indefinita, oggettiva, ad effetto comune, chiamata ad addolcire la risposta sanzionatoria nel caso di una complessiva modestia della vicenda quando, per le modalità con le quali si è svolta, essa risulti di impatto particolarmente tenue (ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche. Artt. 336-360 cod. pen. Commentario sistematico, Milano, 2015, 174). La ricognizione dei rapporti con altre, contigue, figure criminose merita di essere condotta muovendo dalla valorizzazione della clausola di riserva contenuta nell'art. 346-bis, I comma c.p., che, secondo taluni, parrebbe volta a «sottolineare una sussidiarietà rispetto a ritagliate e determinate fattispecie» [DI GIUSEPPE, La nuova fattispecie di traffico di influenze (art. 346-bis), in Trattato di diritto penale. Parte generale e speciale. Riforme 2008-2015, a cura di Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 2015, Milano, 266]; secondo altri, invece, individuerebbe un presupposto del fatto costruito negativamente, espressione del principio del ne bis in idem sostanziale, che rivelerebbe la volontà del legislatore di «conferire alla nuova incriminazione una funzione residuale di ‘chiusura del sistema'» (ANDREAZZA-PISTORELLI, Novità legislative: l. n. 6 novembre 2012, n. 190 recante prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, 15 novembre 2012, in cortedicassazione.it, 13). A fronte delle criticità da più parti sollevate, la novella del 2019 ha ampliato il novero dei reati menzionati dalla clausola di sussidiarietà, includendovi - accanto alla corruzione “propria” ed in atti giudiziari - anche i delitti di cui all'art. 322-bis c.p. nonché la corruzione per l'esercizio della funzione, di cui all'art. 318 c.p. Giova muovere dall'analisi delle interferenze tra il delitto di traffico di influenze illecite e le fattispecie di corruzione propria e di corruzione in atti giudiziari menzionate, già nella formulazione originaria, dall'incipit dell'art. 346-bis, I comma c.p.
Meno piana pare la ricostruzione dei rapporti tra l'art. 346-bis c.p. e le ipotesi di istigazione alla corruzione propria ed in atti giudiziari.
La ricognizione dei rapporti tra il traffico di influenze illecite e la corruzione per l'esercizio della funzione deve essere effettuata non obliterando una prospettiva diacronica. Come noto, dal novero dei reati menzionati dalla clausola di riserva, prevista dall'art. 346-bis c.p. nella sua formulazione originaria, era stato escluso l'art. 318 c.p. Di qui, plurime prospettive ricostruttive: ad avviso di taluni, il mancato riferimento all'art. 318 c.p. si sarebbe potuto spiegare in ragione della penale irrilevanza del contegno delle parti di un pactum sceleris preordinato ad una corruzione per l'esercizio della funzione (Valentini, Dentro lo scrigno del legislatore penale. Alcune disincantate osservazioni sulla recente legislazione anticorruzione, in Diritto penale contemporaneo-Rivista trimestrale, 2013, 2, 121); secondo altri, invece, tra le fattispecie richiamate si sarebbe dato concorso (non già reale, bensì) apparente di norme, da risolvere, tramite il criterio dell'assorbimento, in favore del delitto di corruzione per l'esercizio della funzione (Brunelli, Le disposizioni penali nella legge contro la corruzione: un primo commento, in federalismi.it, 2012, 18). L'impostazione probabilmente preferibile, invero, non senza criticare le scelte del legislatore, opinava nel senso della configurabilità di un concorso reale di norme (e di reati) (ANDREAZZA-PISTORELLI, Novità legislative: l. n. 6 novembre 2012, n. 190 recante prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, 15 novembre 2012, in www.cortedicassazione.it, 14). In tale complesso quadro interpretativo, è intervenuta la novella ad opera della l. n. 3/2019, che ha espressamente incluso la corruzione funzionale (e le ipotesi di cui all'art. 322-bis c.p.) nel novero delle fattispecie richiamate dalla clausola di sussidiarietà espressa dell'art. 346-bis, I comma, c.p. In tal modo, «si esclude la configurabilità del concorso (reale) con tali reati nel caso in cui successivamente al traffico di influenze illecite tali delitti si perfezionino» (CINGARI, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 749); e ne consegue che «se la mediazione va a buon fine - se cioè il trafficante si opera effettivamente presso il pubblico funzionario o presso l'incaricato di pubblico servizio e questi accettano la promessa o la dazione di denaro - si realizza un concorso ‘trilaterale' nel più grave reato di cui all'art. 318 c.p., che assorbe tutto il disvalore del fatto ed esclude la punibilità autonoma ai sensi dell'art. 346-bis c.p.»(Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 16). Peraltro, ricondotto l'art. 318 c.p. entro la seriazione di accadimenti presi in considerazione dalla clausola di riserva, si apre la questione dei rapporti tra l'art. 346-bis c.p. e l'istigazione alla corruzione per l'esercizio della funzione; tematica che può essere affrontata seguendo le medesime linee ricostruttive già richiamate per le diverse ipotesi di istigazione alla corruzione (v. supra). Meno problematico pare l'esame dei rapporti tra il traffico di influenze illecite ed i reati di concussione ed induzione indebita, non compresi nella clausola di riserva di cui all'art. 346-bis, I comma c.p. Assolutamente consolidata, infatti, è l'affermazione secondo cui «il delitto di traffico di influenze, di cui all'art. 346-bis c.p., è una fattispecie che punisce un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione e non è, quindi, ipotizzabile quando sia già stato accertato un rapporto, alterato e non partitario, fra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato» (Cass. pen., Sez. VI, 12 marzo 2013, n. 11808), come accade nei casi di cui all'art. 317 e 319-quater c.p. Il tema dei rapporti tra millantato credito e traffico di influenze ha da sempre interessato dottrina e giurisprudenza: inizialmente, in ragione dell'assenza di una specifica previsione incriminatrice dell'abuso di relazioni esistenti preordinate al contatto con un pubblico agente; successivamente, per effetto della (attesa, ma contestata) riforma “anticorruzione” del 2012, che, introducendo l'art. 346-bis c.p., ha reso necessario indirizzare lo sforzo esegetico verso l'individuazione di profili distintivi rispetto alla contigua figura di millantato credito; da ultimo, l'entrata in vigore della l. n. 3/2019, che abrogando l'art. 346 c.p., ha imposto l'indagine (oltre che dei profili intertemporali, anche) dei limiti interni ed esterni del nuovo art. 346-bis c.p. Sullo sfondo, due differenti tendenze, che hanno da sempre accompagnato l'analisi dei rapporti tra le fattispecie richiamate: da un lato, ricostruzioni volte a rendere possibile un avvicinamento tra vicende di abuso di relazioni atteggiantesi in diverse guise; dall'altro, opinioni convinte dell'irriducibilità delle differenze. Giova ricostruire il dibattito pluridecennale valorizzando una prospettiva diacronica, specificamente distinguendo tre cornici temporali: una prima, anteriore alla riforma del 2012; la seconda, coincidente con la giustapposizione degli artt. 346 e 346-bis c.p., contemporaneamente vigenti; l'ultima, che prende le mosse dalla riforma ad opera della l. n. 3/2019. Fino alla novella del 2012 il tema dei rapporti tra millantato credito e traffico di influenze illecite, lungi dal porsi quale questione afferente ad un eventuale concorso di norme, si articolava principalmente intorno alla perimetrazione dei confini del tipo criminoso descritto dall'art. 346c.p. Con specifico riferimento alla fattispecie descritta dal I comma, secondo una prima tesi, il millantato credito sarebbe consistito in una “vendita di fumo”; affermazione derivabile dalla valorizzazione del verbo “millantare”, che “semanticamente comprende un'esagerazione e che quindi denotaunvantarsinon corrispondente alla realtà (Cass. pen., Sez. VI, 4 maggio 2001, n. 20105). Ad avviso di una differente ricostruzione, diffusasi inizialmente in dottrina e, progressivamente, recepita dalla giurisprudenza allora maggioritaria, accanto alla venditio fumi, l'art. 346 c.p. avrebbe potuto assicurare l'incriminazione anche di relazioni esistenti. Infatti - si diceva - il verbo millantare avrebbe dovuto essere inteso quale sinonimo di “vantare”, espressione capace di sottendere realtà eterogenee: «(i) nessun reale rapporto; (ii) l'esistenza di un qualche effettivo rapporto (però assai meno significativo rispetto a come millantato); (iii) la reale esistenza di un rapporto nei termini di cui si fa vanto (o addirittura ancora più forti)” (VENEZIANI, Lobbismo e diritto penale. Il traffico di influenze illecite, in Cass. pen., 2016, 4, 1301 s.). Alcuni tra i fautori di tale opzione, peraltro, muovendo dalla minimizzazione, da più parti criticata (Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei privati. Le qualifiche soggettive pubblicistiche. Artt. 336-360 cod. pen. Commentario sistematico, Milano, 2015, 147) del chiaro riferimento alla deceptio ivi contenuto, giungevano ad intendere l'art. 346, II comma c.p., in ottica unificante, quale ipotesi di millantato credito inesistente o di vantato credito reale, connotata in ogni caso da un inganno circa la destinazione finale del denaro o altra utilità (già LEVI, I delitti contro la pubblica amministrazione, in Trattato di diritto penale, coordinato da Florian, Milano, 1935, 446). In tale frastagliato quadro ermeneutico, è intervenuta la l. n. 190/2012, che ha scelto non già di estendere l'ambito di operatività della tradizionale fattispecie di millantato credito, bensì di giustapporle il nuovo tipo criminoso, di cui all'art. 346-bis c.p., costruito sulla falsa-riga della sotto-fattispecie di “traffico di influenze indebite” che il diritto vivente aveva ritenuto di poter ricondurre entro l'alveo dell'art. 346 c.p., sia pure estensivamente interpretato (GAMBARDELLA, Corruzione, millantato credito e traffico di influenze nel caso “Tempa rossa”: una debole tutela legislativa, in Cass. pen., 2016, 10, 3603). Tale innovazione ha imposto, da un lato, l'identificazione di profili discretivi tra le fattispecie, contestualmente vigenti, volte ad incriminare l'abuso di relazioni preordinate ad un contatto con un agente pubblico; dall'altro, l'analisi dei complessi profili intertemporali. Quanto al primo aspetto, ricorrente era l'affermazione secondo cui «il delitto di millantato credito si differenzia da quello di traffico di influenze, di cui all' art. 346-bis c.p. in quanto presuppone che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l'influenza; il traffico di influenze postula, invece, una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale» (Cass. pen., Sez. VI, 23 novembre 2017, n. 53332). L'esame dei profili intertemporali, invece, pare maggiormente problematico: dalla ricognizione (anche, per così dire, retrospettiva) degli elementi costitutivi del millantato credito e del tipo criminoso ex art. 346-bis c.p., discendevano precise conseguenze circa la predicabilità o meno di una relazione logico-formale capace di assicurare una continuità normativa tra le due fattispecie astratte. Sul punto, si erano registrati disorientamenti: una prima impostazione predicava la sussistenza di un fenomeno di c.d. specialità sincronica sopravvenuta, che avrebbe assicurato una continuità tra norma generale e speciale; precisamente, si affermava che «le condotte di colui che, vantando un'influenza effettiva verso il pubblico ufficiale, si fa dare o promettere denaro o altra utilità come prezzo della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore del pubblico ufficiale, riconducibili, prima della legge n. 190 del 2012, al reato di millantato credito, devono essere sussunte dopo l'entrata in vigore di detta legge, ai sensi dell'art. 2, comma quarto, cod. pen., nella fattispecie di cui all'art. 346-bis cod. pen., che punisce il fatto con pena più mite, atteso il rapporto di continuità tra norma generale e quella speciale» (Cass. pen., Sez. VI, 11 dicembre 2014, n. 51688). In senso diametralmente opposto, muovendo dalla valorizzazione della «evidente eterogeneità di contenuto e di struttura tra la figura del millantato credito e quella nuova del traffico di influenze» (GAMBARDELLA, Corruzione, millantato credito e traffico di influenze nel caso “Tempa rossa”: una debole tutela legislativa, in Cass. pen., 2016, 10, 3605), si giungeva ad affermare (in un noto arresto giurisprudenziale, relativo alla vicenda “Tempa rossa”), che: «il delitto di traffico di influenze illecite costituisce una nuova incriminazione che, ai sensi dell'art. 2, I comma c.p., non si applica ai fatti anteriori all'entrata in vigore della l. n. n. 190 del 2012» (Cass. pen., Sez. VI, 6 giugno 2016, n. 23355). Consapevole che la scelta di regolazione operata nel 2012 aveva «posto una serie di problemi interpretativi e di coordinamento non facilmente risolvibili, sui quali la stessa giurisprudenza di legittimità ha fornito risposte disomogenee», il legislatore è intervenuto con l. n. 3/2019, più volte richiamata, prefiggendosi l'assorbimento, tramite la riformulazione dell'art. 346-bis c.p., di tutte le condotte di millantato credito punite dall'abrogato art. 346 c.p. (Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 16). Tale opzione legislativa impone di affrontare i profili inter-temporali della riformulazione del traffico di influenze illecite. Secondo una prima opzione ermeneutica, suggerita dalla stessa Relazione illustrativa della riforma, si sarebbe innanzi ad una abrogatio della disposizione ex art. 346 c.p., sine abolitione dell'incriminazione delle vicende concrete ivi inquadrabili secondo la previgente disciplina, ora punite dall'art. 346-bis c.p. Precisamente, con riferimento alla posizione del “venditore” d'influenza illecita, “pur a fronte della sopravvenuta punibilità del privato che dà o promette utilità per acquistare l'influenza illecita” si darebbe continuità normativa tra l'abrogato art. 346 c.p. e l'attuale art. 346-bis c.p.
Diversamente, invece, sarebbe a dirsi per l'acquirente di una relazione d'influenza soltanto vantata, ma in realtà inesistente, la cui condotta, penalmente irrilevante sotto il vigore dell'art. 346 c.p., ora è fatta oggetto di nuova incriminazione, inapplicabile ai fatti pregressi (Relazione illustrativa del disegno di legge n. 1189, Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, presentato alla Camera il 24 settembre 2018, 17-18), in ossequio al principio di irretroattività sfavorevole. Pur condividendo tale ultimo assunto, una differente impostazione rintraccia alcune ipotesi in cui, ad onta delle intenzioni del legislatore, non si darebbe continuità normativa. La vicenda problematica riguarda il c.d. “traffico di influenze illecite putativo o impossibile”, la cui stessa riconducibilità nell'alveo della nuova incriminazione ex art. 346-bis c.p. è dibattuta. In particolare, aderendo alla tesi secondo cui questa fattispecie concreta esulerebbe dalla “sfera applicativa del riformato delitto di traffico di influenze illecite, l'abrogazione dell'art. 346 c.p. determinerebbe, per il passato, una vera e propria abolitio criminis (Cingari, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 754), con quanto ne segua in punto di operatività dell'art. 673 c.p.p. Per il futuro, invece, potrebbe darsi sussunzione nel delitto di truffa, che si riespanderebbe fino a coprire nuovamente quelle tipologie di accadimenti che prima erano punite tramite il delitto di millantato credito (GAMBARDELLA, Il grande assente nella nuova “legge spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen., 2019, 1, 73). Diversamente, qualora si ritenesse che il traffico di influenze putativo/impossibile sia riconducibile entro il nuovo art. 346-bis c.p., occorrerebbe distinguere: con specifico riferimento alla condotta del mediatore, assorbita nell'alveo dell'art. 346-bis c.p., si darebbe una successione meramente modificativa, con conseguente applicazione dell'art. 2, IV comma c.p., ai fatti inveratisi anteriormente all'entrata in vigore della novella del 2019; invece, in virtù del principio di irretroattività sfavorevole, il committente non potrà rispondere ex art. 346-bis c.p., che introduce una nuova incriminazione (Cingari, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l'incerto destino del millantato credito, in Dir. pen. e proc., 2019, 6, 754). Profili processuali
Il delitto di cui all'art. 346-bis c.p., in attuazione dell'art. 50, II comma c.p.p., è procedibile d'ufficio. La competenza, ai sensi dell'art. 33-ter c.p.p., spetta al tribunale monocratico, innanzi al quale, a differenza di quanto previsto dal regime anteriore alla novella 2019, non si perviene tramite citazione diretta a giudizio. Quanto alla tutela pre-cautelare e cautelare tout court: da un lato, non è consentito il fermo, a differenza dell'arresto in flagranza, facoltativo; dall'altro è consentita l'applicazione delle misure cautelari personali, con esclusione della custodia in carcere. Con specifico riferimento alla fase di indagini, spiccano due aspetti rilevanti. Anzitutto, nonostante l'inasprimento sanzionatorio tramite la l. n. 3/2019, la cornice edittale del delitto di cui all'art. 346-bis c.p. non consente l'utilizzo di intercettazioni [arg. ex art. 266, I comma, lett. b) c.p.p.]; scelta fortemente criticata dalla dottrina (MONGILLO, La legge spazzacorrotti: ultimo approdo del diritto penale emergenziale nel cantiere permanente dell'anticorruzione, in Diritto penale contemporaneo, 2019, 5, 302). Ancora, emerge la possibilità di avvalersi di operazioni sotto copertura, quale speciale tecnica investigativa prevista dall'art. 9 l. n. 146/2006, il cui spettro applicativo è stato ampliato dalla l. n. 3/2019, ricomprendendovi anche le indagini relative al delitto di traffico di influenze illecite.
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