CGUE: il divieto, generalizzato e indiscriminato, di ricorrere al subappalto per oltre il 30% dell’importo complessivo viola il principio di proporzionalità

26 Settembre 2019

La direttiva 2014/24/UE deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che limita al 30% la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

Il rinvio pregiudiziale del TAR Lombardia (Milano, sez. I, 19 gennaio 2018, n. 148)

Nel mese di agosto 2016, Autostrade per l'Italia s.p.a. bandiva una gara per l'affidamento di lavori di ampliamento di alcune corsie autostradali. Una delle partecipanti veniva esclusa dalla gara per aver superato il 30% della quota subappaltabile, come stabilito dall'articolo 105 del Codice dei contratti. Il TAR Lombardia (Milano) dopo aver respinto i motivi di ricorso proposti dalla suddetta impresa avverso la propria esclusione, sospendeva il giudizio e, condividendo i dubbi sollevati dalla ricorrente, chiedeva, in via pregiudiziale, alla CGUE se il limite del 30%, previsto dal Codice dei contratti, è conforme agli articoli 49 e 56 TFUE, all'art. 71 della direttiva 2014/24/UE, nonché al principio di proporzionalità.

La difesa del governo italiano dinanzi alla CGUE

Nel corso del processo dinanzi alla CGUE, il governo italiano aveva difeso la normativa codicistica evidenziando, inter alia, che:

- la limitazione del ricorso al subappalto trova giustificazione nelle particolari circostanze, presenti in Italia, dove il subappalto ha da sempre costituito uno degli strumenti di attuazione di intenti criminosi. Limitando la parte dell'appalto che può essere subappaltata, la normativa nazionale renderebbe, infatti, gli affidamenti meno appetibili per le associazioni criminali;

- i controlli di verifica sui subappaltatori che l'amministrazione effettua in forza del diritto nazionale sono strumenti “inefficaci” per contrastare il suddetto fenomeno criminoso.

La soluzione della CGUE

La CGUE, evidenzia che, anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere una misura idonea a contrastare la criminalità, “una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”.

La sentenza precisa che i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di proporzionalità ostano ad unanormativa nazionale che vieti, in modo generale e astratto, il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell'appalto. Tale divieto, infatti, non solo si applica “indipendentemente dal settore economico interessato dall'appalto, dalla “natura dei lavori” o “dall'identità dei subappaltatori”, ma “non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell'ente aggiudicatore”.

Una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev'essere realizzata dall'offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell'appalto, “anche nel caso in cui l'ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell'ambito dell'appalto in questione”.

La Corte condivide l'argomento della Commissione secondo cui “misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l'obiettivo perseguito dal legislatore italiano”, d'altronde, come indicato dal giudice a quo, “il diritto italiano già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l'accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel paese”.

Tale conclusione non è messa in discussione dall'argomento dedotto dal governo italiano, secondo cui i controlli di verifica che l'amministrazione aggiudicatrice deve effettuare in forza del diritto nazionale sarebbero inefficaci in quanto “siffatta circostanza, che, come pare evincersi dalle osservazioni stesse di tale governo, risulta dalle modalità specifiche di tali controlli, nulla toglie al carattere restrittivo della misura nazionale”.

La sentenza precisa che il governo italiano non ha dimostrato che l'articolo 71 della direttiva 2014/24, laddove consente agli Stati membri di limitare il ricorso al subappalto, e l'articolo 57 di tale direttiva, e ai quali fa riferimento ai motivi di esclusione dei subpappaltatori, “non possano essere attuate in modo tale da raggiungere l'obiettivo perseguito dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale”.

In conclusione, la CGUE afferma che la direttiva 2014/24/UE deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che limita al 30% la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

Per un approfondimento sulle recenti modifiche normative e novità giurisprudenziali in materia di subappalto si v. il contributo di G.A. Giuffré, Le novità in materia di subappalto, nell'Officina Giuffré: “Contratti pubblici: cosa cambia?”, a cura di G.A. Giuffré, S. Tranquilli, 2019, 100.

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