Riconoscimento del lucro cessante in caso di illegittima aggiudicazione dell'appalto: assolvimento onere probatorio circa l'aliunde perceptum vel percipiendum

Davide Cicu
27 Settembre 2019

In caso di mancata illegittima aggiudicazione dell'appalto, se il danneggiato non dimostra l'immobilizzazione forzosa delle proprie risorse, assunta a criterio di quantificazione del danno rivendicato, deve presumersi che l'operatore economico abbia, secondo l'id quod plerumque accidit e, comunque, alla luce dell'onere di non aggravamento ex art. 1227 c.c., utilizzato diversamente personale, beni e capitali. Appare quindi lecito presumere che alcun utile può prospetticamente conseguire dall'appalto non aggiudicato, palesandosi non arbitrario argomentare l'integrale elisione, invece che la semplice decurtazione, del lucro ricavabile dall'esecuzione dell'appalto di causa.

Inquadramento generale: il riparto probatorio e l'istituto delle presunzioni. Con la decisione in esame – conseguente ad un'azione di risarcimento del danno per lucro cessante, connesso ad una illegittima mancata aggiudicazione di un appalto – è affrontata la problematica giuridica inerente alla ripartizione dell'onere probatorio rispetto al c.d. aliunde perceptum vel percipiendum, cioè ad un fatto impeditivo (in tutto o in parte) del diritto al risarcimento del danno.

Va premesso che, in applicazione delle coordinate generali di cui agli artt. 2727ss del c.c., la prova circa l'esistenza ontologica e la conseguente quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni, essendo sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità. Sennonché, le anzidette presunzioni possono operare anche in senso inverso, ovvero ai fini dell'accertamento dell'aliunde perceptum.

L'onere della prova circa il fatto impeditivo del risarcimento del danno. Nel caso in oggetto non è stato riconosciuto alcun risarcimento, con il conseguente rigetto della domanda giudiziale.

I Giudici di Palazzo Spada hanno statuito il principio secondo cui la riparazione del danno per lucro cessante «spetta nella misura integrale in caso di annullamento dell'aggiudicazione impugnata e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista della commessa». Nel settore di cui al Dlgs n. 50 del 2016 si presume, difatti, che l'operatore economico, specie se in forma societaria, quale soggetto che esercita professionalmente un'attività organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni alternative dalla cui esecuzione trae utili, riutilizzando i mezzi e la manodopera per altri lavori in precedenza destinati all'appalto mancato.

In altri termini, non risulta ragionevolmente predicabile la condotta dell'impresa che immobilizza le proprie risorse in attesa dell'aggiudicazione di una commessa o dell'esito del ricorso volto ad ottenere l'affidamento. Inoltre, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., non va trascurato che il danneggiato ha sempre un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, sicché il comportamento inerte dell'operatore può assumere rilievo anche per la negazione del risarcimento.

I presupposti per il riconoscimento del lucro cessante. Pertanto, secondo il Collegio Giudicante l'accoglimento dell'azione di risarcimento del lucro cessante, nel settore dei contratti pubblici, presuppone: «(a) l'assolvimento, in positivo, di un preciso onere probatorio, inteso a dimostrarne, anche per via indiziaria, la consistenza del danno avuto riguardo alle caratteristiche dell'appalto, al mercato di riferimento, alle condizioni operative dell'impresa, alle dimensioni organizzative, alle risorse reali e finanziarie disponibili, alle multiformi peculiarità della fattispecie; (b) la dimostrazione, in negativo, anche qui per via indiziaria – e, per esempio, mediante la non disagevole allegazione dei libri contabili – della mancata interinale utilizzazione delle proprie risorse reali e personali e della obiettiva ed involontaria immobilizzazione delle stesse, nonché della diligente condotta imprenditoriale, preordinata a non trascurare occasioni di utile impiego, nell'esclusivo e non commendevole intento di aggravare il danno da mancata aggiudicazione».

Gli anzidetti presupposti, per quanto potenzialmente penalizzanti, traggono giustificazione – pure nel contesto di un apprezzamento equitativo ex art. 1226 del c.c. – dal preciso e circostanziato onere gravante sugli operatori economici di dare analitico conto della specifica, ancorché eventuale, destinazione alternativa impressa ai fattori della produzione, la cui non espandibilità illimitata è ragione di riduzione o, in contesti dimensionali limitati, sterilizzazione di aspettative insuscettibili di serio e comprovato conseguimento. Ciò detto, del resto, consentirebbe di evitare che la sentenza satisfattiva per l'impresa vittoriosa diventi occasione e strumento di ingiusta locupletazione, che darebbe luogo ad una violazione dell'art. 2043 del c.c..

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