Sull'esclusione di un operatore economico a capitale pubblico-privato dalla gara a doppio oggetto per la costituzione di una società mista

07 Ottobre 2019

Il TAR Lazio è stato chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento di esclusione sotto due distinte prospettive: quella della corretta interpretazione delle disposizioni in materia di società a partecipazione pubblica e quella della corretta interpretazione dei principi che presiedono allo svolgimento delle gare per l'affidamento di un contratto.
Massima

Nell'ambito di una gara per la scelta di un socio operativo per la costituzione di una nuova società a capitale misto (51% pubblico e il 49% privato) e il contestuale affidamento di servizi scolastici integrati, è legittima l'esclusione di un operatore economico nella cui compagine azionaria figuri un soggetto a sua volta partecipato dalla stazione appaltante. In tal caso rileva il dato sostanziale rappresentato dal perdurante coinvolgimento, seppur in via indiretta e di secondo grado, dell'ente comunale; quest'ultimo, viceversa, intendeva associarsi con un soggetto del tutto estraneo e non legato da rapporti societari, nemmeno indiretti, con la stessa stazione appaltante. In tali casi è infatti corretto, al fine di intendere la vera natura del concorrente/socio operativo, guardare “dietro” allo schermo della personalità giuridica, valorizzando il distinto criterio sostanzialistico che si incentra sulla “spendita dell'interesse” e sul coinvolgimento reale della stazione appaltante, seppur di secondo grado, nel capitale della compagine.

Il caso

La singolare vicenda trae origine dall'impugnativa del provvedimento di esclusione di un raggruppamento temporaneo di imprese dalla procedura “a doppio oggetto” indetta da Roma Capitale per l'affidamento dei servizi scolastici integrati sul territorio comunale e la costituzione di una nuova società mista, ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. n. 175 del 2016, con contestuale sottoscrizione del 49% delle azioni della nuova società da parte del socio operativo selezionato all'esito della gara e la maggioranza, il 51%, da parte della stessa stazione appaltante. L'esclusione è stata motivata in ragione del fatto che uno dei componenti il raggruppamento era, a sua volta, partecipato, da una società interamente controllata da Roma Capitale stessa, con l'effetto, secondo l'amministrazione, che la sua partecipazione alla futura newco, avrebbe alterato il rapporto tra quota pubblica-quota privata di capitale, prestabilito negli atti di gara.

La questione

Il TAR Lazio è stato chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento di esclusione essenzialmente sotto due distinte prospettive, vale a dire:

  • per un verso, quella “societaristica”, della corretta interpretazione delle disposizioni in materia di società a partecipazione pubblica di cui all'art. 17 del D.Lgs. n. 175/2016 nonché, di cui agli artt. 5, comma 9, 3 e 180 del D.Lgs. n. 50 del 2016, che fissano soltanto una misura minima del capitale privato, pari al 30% senza però estendere espressamente la verifica sulla natura della compagine azionaria anche ai soci indiretti e che, per le gare a doppio oggetto, consentono l'affidamento del contratto qualsiasi «operatore economico»;
  • per altro verso, sotto una prospettiva “appaltistica”, vale a dire alla luce dei principi che presiedono allo svolgimento delle gare per l'affidamento di un contratto e, quindi, dei principi di massima partecipazione, tassatività delle cause di esclusione e neutralità della natura giuridica dell'affidatario.
La soluzioni giuridiche

Il TAR del Lazio, nel risolvere le articolate questioni sottoposte alla sua attenzione, prende le mosse anzitutto dall'iter procedimentale e dal “retroterra” della gara in cui l'esclusione è stata disposta. Quella all'attenzione dei giudici, infatti, è la riedizione di una precedente gara annullata da parte del medesimo TAR con le sentenze nn. 1087, 1088 e 1089 del 2018 che avevano, in buona sostanza, sancito l'inutilizzabilità del modulo societario in relazione alla tipologia dei servizi così come disciplinati nella “vecchia” legge di gara, in quanto privi dell'elemento di rischio che appartiene al contratto di partenariato, per il quale soltanto è consentito dal TUSP e dal D.Lgs. n. 50 del 2016 il ricorso alla società mista. I giudici capitolini hanno evidenziato come amministrazione comunale abbia, in ragione di tali precedenti, appositamente rimodulato la gara “a doppio oggetto” delimitando il perimetro dell'affidamento in un unico ed omogeneo servizio qualificato “servizio di interesse generale” ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 comma 1 TUSP.

Da tale angolazione, la rigida delimitazione delle quote di partecipazione da parte della stazione appaltante, consistente nel fissare al 51% la partecipazione azionaria di Roma Capitale alla costituenda società mista ed al 49 % la partecipazione del socio privato, ad avviso del Collegio, ha costituito una decisione funzionalmente legata alla natura del nuovo affidamento, il quale è strutturato nelle forme del ricorso al partenariato pubblico-privato cd. istituzionale in funzione dell'utilizzo di un nuovo modulo negoziale qualificato come concessione di servizi, con accollo del rischio operativo tutto in capo al concessionario (il che è la cifra distintiva del modulo concessorio rispetto all'appalto).

Valorizzato, quindi, il dato storico-processuale della vicenda, le determinazioni amministrative (ed anche l'affidamento creato negli interlocutori privati) sono state dichiaratamente “lette” dal TAR attraverso «il prisma della continuità e della unitarietà dell'azione amministrativa» con la conclusione che «la disciplina di gara intendeva selezionare un socio privato che fosse “terzo” rispetto a Roma Capitale». In sostanza, ad avviso del TAR, la volontà del Comune era quella di delimitare inderogabilmente le quote di rischio tra amministrazione e socio operativo, non coinvolgendo l'ente, più di quanto determinato dallo stesso, nel rischio imprenditoriale, che potesse pur indirettamente gravare sul bilancio consolidato dell'ente stesso.

È sulla base di tale premessa che il TAR ha condotto la verifica sulla legittimità dell'esclusione e, quindi, se la relativa previsione del bando fosse legittima o in contrasto con la normativa ed i principi di riferimento in materia ritenendo che questa non impedisce all'ente di configurare la struttura della società mista nei sensi rigidamente definiti dalla legge di gara, non ravvisando alcun ostacolo né divieto in tal senso e rientrando anzi tale opzione nella piena facoltà (politica prima che giuridica) dell'amministrazione.

A fronte di tali premesse, che hanno condotto a ritenere legittimo il provvedimento, la pronuncia evidenzia la ‘plausibilità' di alcune tesi di parte ricorrente che tuttavia non depongono nel senso dell'annullabilità dell'esclusione. Ed invero, per il TAR, è «plausibile» la tesi per cui il socio operativo possa essere parzialmente partecipato da enti pubblici e non dubita che l'operatore economico che concorre alle gare pubbliche possa ricomprendere al suo interno anche amministrazioni pubbliche, essendo “neutra” la natura dei suoi azionisti, tuttavia, la legge di gara e «la causa associativa della costituenda società» conducevano a ritenere la gara diretta a selezionare una compagine imprenditoriale che fosse “altra” rispetto all'amministratore comunale e, soprattutto, che non vedesse il capitale di Roma Capitale in nessun modo (anche indiretto) coinvolto nel rischio connesso all'affidamento de quo, oltre una certa e definita misura.

La conseguenza che il dictum del TAR punta, in altre parole, a “scongiurare”, nel caso di aggiudicazione della gara in favore del ricorrente escluso, sarebbe tale da alterare le quote di partecipazione e soprattutto le quote di assunzione del rischio, le quali ricadrebbero in misura sproporzionata rispetto alla chiara volontà dell'amministrazione, posta a base dei provvedimenti impugnati.

L'argomento di carattere economico-contabile, da un lato, e politico-organizzativo, dall'altro, utilizzato dal TAR, vengono poi corroborati da una considerazione di stretto diritto, che costituisce l'architrave – si ritiene - dell'intera pronuncia, volta a superare la circostanza che, nella specie, pur avendo natura pubblicistica l'azionista dell'operatore economico escluso, quest'ultimo fosse, a tutti gli effetti un soggetto avente natura privatistica.

In proposito il TAR ritiene che tale circostanza non rilevi in quanto riguarda la semplice veste formale del socio privato e il rapporto diretto tra amministrazione e socio operativo, e che, ancora una volta, pur trattandosi di argomento “plausibile” non si confà alla fattispecie concreta. A tal fine viene richiamata la dicotomia tra “spendita del nome” e “spendita dell'interesse” e, quindi, tra criterio formale e sostanziale, evidenziando come solo in altri ambiti e ad altri fini valga il criterio formale che valorizza l'autonoma personalità giuridica della società e la “spendita del nome”. Anzi, per il TAR, è questo il regime ordinario che regola l'imputazione degli effetti degli atti e della conseguente responsabilità dei soggetti giuridici, secondo la regola posta, in germe, dall'art. 1705 c.c e valorizzata ad es. dalle note SS.UU. n. 26806/2009 in tema di danno erariale.

Sennonché a dire del TAR, rileva il dato sostanziale rappresentato dal perdurante coinvolgimento di un soggetto con azionariato avente natura pubblicistica e di conseguenza, seppur in via indiretta e di secondo grado, partecipato dallo stesso ente comunale; quando quest'ultimo, viceversa, intendeva associarsi con un soggetto del tutto estraneo rispetto al proprio patrimonio. Al fine di intendere la vera natura del concorrente/socio operativo, era corretto guardare “dietro” allo schermo della personalità giuridica, valorizzando il distinto criterio sostanzialistico che si incentra sulla “spendita dell'interesse” e sul coinvolgimento reale di Roma Capitale, seppur di secondo grado, nel capitale della compagine.

Venendo all'altra “prospettiva” della dedotta illegittimità dell'esclusione, ovvero quella “appaltistica” relativa alla censurata violazione del principio di tassatività delle clausole espulsive nonché della massima partecipazione e ‘neutralità' dell'azionariato degli operatori economici, il TAR ritiene che proprio la previsione del bando non poteva che essere letta nel senso anzidetto in applicazione del canone ermeneutico di buona fede ex art. 1362 c.c. (applicabile anche ai bandi di gara) il quale predica che occorre aver riguardo al significato che ciascuna parte, in base alle concrete circostanze, doveva ragionevolmente attribuire al negozio (in tal senso milita pure il canone di interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c., il quale impone che vada dato il significato imposto dalla causa concreta dell'operazione).

In quest'ottica i partecipanti alla gara non avrebbero potuto non essere consapevoli della volontà dell'amministrazione di non assumere un capitale di rischio, neppur indiretto, maggiore di quello prestabilito. Più in particolare, il TAR sancisce che l'esclusione non determina una discriminazione di disciplina rispetto al differente modulo dell'appalto (nel presupposto che se l'amministrazione avesse optato per l'esternalizzazione totale dell'affidamento l'operatore economico avrebbe potuto partecipare alla relativa gara): pur riconoscendo la correttezza di tale ultima affermazione il TAR ritiene che si tratti di situazioni non comparabili, in quanto nella procedura de quo è stata prescelta forma mista del partenariato pubblico-privato e nulla vieta all'amministrazione, nella spendita della sua discrezionalità e nel rispetto dei limiti segnati dalla normativa generale, di congegnare il modulo secondo le sue concrete esigenze, come dettate dal superiore interesse pubblico legato allo svolgimento del servizio e al contenimento del rischio di capitale.

La conclusione di tale excursus, pertanto, non può che essere nel senso della non violazione del principio di tassatività, posto che, in realtà l'operatore economico escluso avrebbe disatteso una espressa previsione della legge di gara, chiaramente evincibile dalla interpretazione letterale, funzionale e logico-sistematica della relativa disposizione, come pure sopra già esposto.

Osservazioni

La pronuncia del TAR appare estremamente significativa e complessa in quanto, proprio in ragione dell'assoluta peculiarità del caso di specie, impone di interrogarsi sui margini di cui disponga l'amministrazione nella strutturazione di una gara a doppio oggetto (e in particolare, in ordine ai limiti di partecipazione da parte di eventuali operatori economici dalla stessa, sia pur indirettamente, partecipati) e alla compatibilità di tali previsioni della legge di gara con le regole generali che presiedono all'affidamento dei contratti e che trovano pacifica applicazione anche nelle procedure aventi “doppio oggetto”.

In breve, la domanda di massima a cui la pronuncia in commento pare contribuire a rispondere è quale sia il rapporto tra previsioni di una gara a doppio oggetto e regole ordinarie in materia di appalti pubblici. La soluzione individuata dal TAR predilige, con tutta evidenza, le prime, in un'ottica di specialità derogatoria sulla disciplina applatistica, e, dunque, fa emergere la priorità dell'aspetto “organizzativo” sotteso alla decisione di costituire un nuovo soggetto. In tal modo il TAR pare tendere alla salvaguardia della discrezionalità dell'amministrazione nel fissare limiti partecipativi, consistenti nell'inammissibilità dell'offerta di un operatore economico, ancorché, sul piano formale, del tutto autonomo e distinto dalla stessa amministrazione, sostanzialmente legato, tramite una catena societaria, alla medesima amministrazione e, pertanto, teoricamente in grado di ‘alterare' la quota di capitale riferibile alla stessa amministrazione, oltre la quota ‘diretta', del 51% fissata nel bando.

I punti cardine di tale impostazione risiedono, per un verso, nella facoltà (che per il TAR è politico-giuridica) dell'amministrazione di stabilire il modulo organizzativo in concreto più adatto a garantire lo svolgimento del servizio da affidare - che nella specie avrebbe postulato un'assoluta terzietà dalla stessa stazione appaltante - e, per altro verso, da una dequotazione della veste giuridica formale, secondo il principio della “spendita dell'interesse”.

Occorre tuttavia interrogarsi se tale primazia (o semplice specialità derogatoria) riconosciuta alla lex specialis, di una gara a doppio oggetto sia effettivamente compatibile con i principi, anche eurounitari, delle gare ad “ad oggetto singolo”.

Ciò, in particolare, alla luce dei consolidati insegnamenti in base al quale “la compartecipazione societaria dell'amministrazione aggiudicatrice alla società concorrente non determina alcuna automatica violazione dei principi concorrenziali e di parità di trattamento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 settembre 2004, n. 6325; Cons. Giust. Amm., 24 dicembre 2002, n. 692)”, di talché, “in assenza di prove in ordine a specifiche violazione delle regole di evidenza pubblica, deve escludersi che la mera partecipazione dell'ente pubblico ad una società concorrente rappresenti un elemento tale da pregiudicare la regolarità della gara” (così Cons. St., Sez. V, 5 giugno 18, n. 3401, Cons. St., Sez. V 12 dicembre 2018 n. 7029, Cons. St.,Sez. VI, 11 luglio 2008, n. 3499, ivi cit.).

Nello stesso senso, in sede euro-unitaria la Corte di Giustizia - a conferma dell'alterità soggettiva e dell'autonomia decisionale tra stazione appaltante e il proprio organismo partecipato - ha affermato l'obbligo di gara “qualora un'amministrazione aggiudicatrice intenda concludere [un contratto d'appalto] con una società di diritto privato da essa giuridicamente distinta, nella quale detiene una partecipazione maggioritaria e sulla quale esercita un certo controllo” e ciò nel presupposto, che si rinviene anche nel caso per cui è lite che, la “società cosiddetta «mista pubblico privata», [fosse stata] costituita e funzionante in base alle norme privatistiche “ (CGUE, C-26/03, 11 gennaio 2005, Stadt Halle).

Si tratta di principi dei quali lo stesso TAR ha fatto applicazione anche con riferimento ai medesimi soggetti della controversia, ribadendo la piena ammissibilità della partecipazione di soggetti partecipati dlala stessa stazione appaltante (cfr. TAR Lazio n. 5356/2013, e id. 18980/2010, confermata da Cons. St. 3807/2011).

Il portato di tali insegnamenti condurrebbe a ritenere non derogabile, e non negoziabili in favore di una scelta organizzativa dell'amministrazione in ordine al rapporto tra le quote pubbliche privati, le libere scelte imprenditoriali dell'operatore economico partecipato dall'amministrazione.

A ciò si aggiunga, con riferimento al rapporto tra criterio formalistico e sostanzialistico dell'azionariato dell'operatore economico, che in realtà, “la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché l'Amministrazione ne possegga, in tutto o in parte, le azioni” secondo un'impostazione delle Sezioni Unite (da ultimo, v. Cass. civ., Sez. III, ord. m. 3566/2018; Cass. civ., SS.UU. n. 21299/2017; Cass. civ., ord. 24591/2016; Cass. civ., ord. n. 2505/2015; Cass. civ., ord. n. 1237/2015; Cass. civ., n. 17287/2006; Id., n. 7799/2005) e della stessa giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 655/2018; Tar Campania, Sez. I, 5774/2017; Tar Campania, Sez. I, n. 985/2017; Tar Calabria, Sez. II, n. 496/2018; Tar Lazio, Roma, Sez. II, n. 5263/2017; Tar Lazio, Roma, n. 6657/2015; Tar Lazio, Roma, Sez. III, n. 948/2015; Id., Sez. III, n. 13121/2014; Tar Lombardia, Brescia, n. 1727/2015).

Stando così le cose, allora, potrebbe obiettarsi che la libera ed autonoma decisione partecipativa dell'operatore economico – formalmente privato ma indirettamente partecipato dalla stessa amministrazione – non possa essere vanificata in ragione dell'asserita primazia delle decisione organizzative dell'ente. A ciò osterebbe la stessa primautè del diritto eurourounitario nonché l'estraneità di tali tipologie di limiti al sistema proprio dell'affidamento dei contratti (per le ragioni di cui si è detto).

Una tale ‘tacita' clausola espulsiva, nel senso cioè di non ammettere operatori aventi una partecipazione, anche risibile quantitativamente, e soltanto indiretta, ma già sufficiente ad alterare la ripartizione 51-49 a base gara, pone seri dubbi di compatibilità con il principio di tassatività delle clausole di esclusione, ove non opportunamente “evidenziata” negli atti di gara.

In difetto di un'espressa comminatoria di esclusione in tal senso - che quanto meno faccia propria l'impostazione sostanzialistica del TAR - l'esclusione discendente dalla sola fissazione del rapporto tra quota pubblica e privata fissata nella lex specialis costituirebbe in una lettura additiva, in senso sfavorevole alla massima partecipazione.

Venendo alla specifica materia degli appalti, occorrerebbe nondimeno interrogarsi sulla compatibilità di una tale tale clausola con l'art. 57 della Direttiva n. 24/2014/UE, che non individua tra i c.d. “motivi di esclusione” dalle procedure di evidenza pubblica una ipotesi di questo tipo nonché con gli enunciati dalla Corte di Giustizia secondo cui «principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all'esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente» (CGUE, 2 giugno 2016 in causa C-27/15 – Pippo Pizzo).

Guida all'approfondimento

C. Ibba, I. Demuro, Le società a partecipazione pubblica, Torino, 2018;

R. Garofoli, A. Zoppini (a cura di), Manuale delle società partecipazione pubblica, Roma, 2018; G. M. Caruso, Il socio pubblico, Napoli, 2016.

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