Incapacità a testimoniare della vittima del sinistro stradale: attualità dell'interesse ad intervenire

Massimiliano Stronati
09 Ottobre 2019

Nel giudizio risarcitorio tra conducente e terzo responsabile, la pacifica incapacità a testimoniare di un soggetto trasportato coinvolto nel sinistro stradale può in ogni caso continuare ad affermarsi sussistente qualora questi abbia già ottenuto risarcimento?
Massima

Un soggetto trasportato che ha subito danni in seguito ad un sinistro stradale è ritenuto sempre incapace a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., nel giudizio intercorrente tra il conducente e il terzo responsabile. La vittima chiamata a deporre, infatti, è in tal caso astrattamente titolare di un interesse giuridicamente rilevante all'esito della lite, tale da giustificarne l'intervento, quand'anche abbia già ottenuto il risarcimento.

Il caso

La vittima di un sinistro stradale conveniva in giudizio la società assicuratrice designata a indennizzare danni a carico del Fondo di garanzia per le vittime della strada, in quanto l'incidente era stato asseritamente causato da altro conducente che rimaneva tuttavia ignoto.

La contestazione della veridicità del fatto da parte dell'assicuratrice non venne accolta dal Giudice di pace, che condannava la stessa all'indennizzo.

La sentenza emessa venne appellata in via principale dell'assicurata, in ragione della sostenuta parzialità del ristoro ottenuto, mentre in via incidentale appellava la società assicuratrice, richiedendo il rigetto della pretesa.

Il Tribunale, in accoglimento dell'appello incidentale, rigettava la domanda, ritenendo non provata la ricostruzione dei fatti rappresentata dalla parte attrice. Infatti, il giudice di seconda istanza rilevava come l'unica testimone escussa, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., fosse incapace a deporre, in quanto soggetto trasportato e danneggiato nel sinistro, sebbene avesse già ottenuto risarcimento.

Il provvedimento è stato oggetto di impugnazione in Cassazione. La parte soccombente con ricorso ha dedotto due motivi di gravame. Con il primo si è lamentata la violazione degli artt. 2054, 2055 c.c., 246 c.p.c. e 141 d. lgs. 7 settembre 2005 n. 209; mentre col secondo viene censurata la mancata pronuncia in ordine alle spese stragiudiziali.

La questione

Nel giudizio risarcitorio tra conducente e terzo responsabile, la pacifica incapacità a testimoniare di un soggetto trasportato coinvolto nel sinistro stradale può in ogni caso continuare ad affermarsi sussistente qualora questi abbia già ottenuto risarcimento?

Le soluzioni giuridiche

I) La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ribadisce un principio di diritto relativo all'operatività dell'art. 246 c.p.c., rimasto inalterato dalla sentenza Cass. civ., sez. III, 1 giugno 1974, n. 1580, richiamata nella parte motiva dell'ordinanza in commento.

In particolare, viene sostenuto che debba accertarsi l'incapacità a testimoniare, in forza della suddetta disposizione, ogniqualvolta la vittima di un sinistro sia chiamata a deporre nel giudizio tra il responsabile e un'altra vittima, quand'anche tale soggetto abbia già ottenuto risarcimento.

Invero, l'incapacità si determina in capo al teste qualora venga rinvenuto un puntuale interesse giuridico rispetto all'esito della lite, nello svolgimento della quale la propria testimonianza verrà assunta. Con ciò si vuol significare che la capacità o la legittimazione (così C. Mandrioli, Diritto processuale civile, vol. II, Torino, 2014, p. 294) a deporre va esclusa qualora il testimone vanti un interesse personale, concreto ed attuale (Cass. civ., sez. III, 1 giugno 1974, n. 1580), ai sensi dell'art. 100 c.p.c. in combinato disposto con l'art. 105 c.p.c., cioè tale da rendere ammissibile un eventuale intervento del terzo nel giudizio in corso in qualunque veste (Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2004, n. 13585 configura l'ipotesi anche dell'intervento adesivo).

Inoltre, viene rilevato come l'incapacità a deporre debba essere oggetto di valutazione astratta ed ex ante.

I giudici di legittimità evidenziano, infatti, che tale interesse sia da riscontrare a prescindere dalle vicende modificative o estintive che abbiano interessato la posizione giuridica sottesa al medesimo e «che rappresentano un posterius rispetto alla configurabilità di quell'interesse».

In tal senso, si richiamano le esemplificazioni (offerte dalla richiamata sentenza capostipite Cass. civ., sez. III, 1 giugno 1974, n. 1580) di un diritto di cui sia stata accertata la prescrizione, o che sia stato rinunciato (quando possibile), nonché di una posizione di credito che sia stata adempiuta correttamente.

L'ordinanza in parola ha peraltro il merito di offrire una spiegazione più esauriente circa la consistenza di tale indagine aprioristica rispetto alle molte pronunce succedutesi sul tema.

L'incapacità a testimoniare di chi abbia già ottenuto ristoro dei propri danni, infatti, viene configurata in ragione dell'evenienza che il soggetto leso, benché già risarcito, possa pur sempre intervenire nel giudizio instaurato tra altro danneggiato e il responsabile al fine di pretendere il «risarcimento di danni a decorso occulto, o lungolatenti, o sopravvenuti all'adempimento e non prevedibili al momento del pagamento» (così l'ordinanza in motivazione).

Viene precisato, d'altronde, come tali peculiari conseguenze dannose non siano oggetto di decorso prescrizionale, in quanto l'ignoranza delle stesse non renderebbe possibile l'esercizio del relativo diritto al risarcimento (sul punto cfr. Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576). In applicazione della medesima logica, si aggiunge che rispetto ai suddetti danni-conseguenza, che emergono diacronicamente rispetto all'adempimento o alla rinuncia della pretesa risarcitoria già esistente, non si pone un limite all'esercizio e alla deducibilità in giudizio delle relative richieste risarcitorie, stante la non conoscibilità degli stessi.

II) Procedendo nell'approfondimento dell'argomento, la Cassazione ha censurato l'inesistenza di un asserito contrasto giurisprudenziale in materia. In particolare, non vi sarebbe alcuna contrapposizione tra un filone interpretativo che riterrebbe incapace il testimone in capo al quale sia riscontrabile un interesse concreto ed attuale ad intervenire ed un altro indirizzo per cui sarebbe sufficiente anche un interesse non attuale, ovvero in concreto estinto o potenziale.

Le difese del ricorrente, a parere della Cassazione, sarebbero inconsistenti. Infatti, viene assodato come tutte le pronunce richiamate a favore del primo formante interpretativo, in realtà richiamano la formula “interesse attuale e concreto” quale sinonimo di interesse giuridicamente rilevante, in antitesi ad un mero interesse di fatto.

Nella decisione oggetto di commento vengono, peraltro, sottoposte ad indagine rigorosa tutte le pronunce richiamate dalla ricorrente a proprio favore, limitatamente alla correttezza del principio espresso.

In conseguenza, viene ritenuto incapace il mandatario rispetto ad un giudizio avente ad oggetto il negozio gestorio, sebbene il mediatore del contratto avesse rinunciato nei confronti di questo a richiedere la provvigione (Cass. civ., Sez. III, 16 settembre 2013, n. 21106).

Ancora, viene invece ritenuto capace a testimoniare il mediatore qualora il giudizio in corso abbia ad oggetto non la provvigione, ma soltanto il pagamento del prezzo del negozio concluso tramite l'attività d'intermediazione del teste (Cass. civ., sez. II, 8 giugno 2012, n. 9353).

È stato ritenuto interesse di mero fatto anche quello relativo al lavoratore licenziato che sia stato escusso in procedimento avente ad oggetto il licenziamento di altro dipendente (Cass. civ., Sez. Lav., 12 maggio 2006 n. 11034); nonché quello del testimone in un giudizio pendente riguardante una causa identica in cui è parte uno dei soggetti del processo in cui è chiamato a deporre (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2005, n. 7677).

Da ultimo, si rileva come in un giudizio avente ad oggetto un rapporto tra assicurato e assicuratore si è ritenuta sussistente la capacità a testimoniare in capo a chi sia terzo proprietario di parte dei beni danneggiati e oggetto del contratto di assicurazione, essendo il soggetto estraneo al contratto di assicurazione.

III) Infine, viene sottolineato come il particolare regime di imputazione di responsabilità a favore del trasportato, ai sensi dell'art. 2054 c.c., nonché la peculiare forma di ristoro prevista dall'art. 141 cod. ass., non determinino il venir meno dell'interesse all'intervento nel giudizio avente ad oggetto il sinistro dal quale il danno è originato. Infatti, nel primo caso dato che non viene in gioco una responsabilità oggettiva, il trasportato avrà interesse a dimostrare la colpa del vettore, quanto quella del conducente del veicolo antagonista, nonché l'eventuale loro concorrenza. La vittima interveniente, infatti, vorrà ottenere da un lato il beneficio del cumulo di due massimali assicurativi, mentre, dall'altro vorrà accertare la corresponsabilità dei soggetti coinvolti, così da ottenere la maggiore solvibilità del proprio credito risarcitorio, stante la garanzia di due patrimoni distinti e del regime di solidarietà.

In secondo luogo, il terzo avrebbe senz'altro interesse all'accertamento dell'assenza di un evento fortuito, che invece varrebbe ad escludere tanto la responsabilità del vettore, per interruzione del nesso causale, quanto l'obbligo indennitario in capo all'impresa assicuratrice in forza dell'anzidetto art. 141 cod. ass.

Osservazioni

La pronuncia in commento prende in esame un istituto peculiare del processo civile italiano e da tempo oggetto di forte dibattito, tanto da condurre a sollevare anche una questione di legittimità costituzionale (Corte Cost., 23 luglio 1974, n. 248).

L'incapacità a testimoniare, infatti, non trova riferimenti analoghi in altri ordinamenti europei, che dimostrano di non condividerne l'opportunità.

L'art. 246 c.p.c. rinviene il proprio fondamento nel principio per cui nemo testis in causa propria: con tale brocardo intendendosi che la testimonianza non possa essere resa da chi riveste il ruolo di parte in senso formale nel giudizio già incardinato. Presupposto della veridicità della narrazione dei fatti di cui è causa, dunque, è l'imparzialità del soggetto che depone sugli stessi.

In tal senso, l'art. 246 c.p.c. prevede una presunzione legale di incapacità a deporre in capo al soggetto che risulti titolare formalmente ed astrattamente di un interesse giuridicamente rilevante rispetto alla lite in corso. L'incapacità ad essere escusso si giustifica, quindi, con la equiparazione legislativa fra parte in senso formale e parte in senso sostanziale, in cui è sussumibile la figura del terzo estraneo al processo (cfr. Corte Cost., 23 luglio 1974, n. 248).

In tal modo, il legislatore ha ritenuto di escludere la valutazione discrezionale del giudice in ordine all'attendibilità della testimonianza, indagine distinta e successiva a quella inerente la capacità del teste, tuttavia determinando così allo stesso tempo anche una minore possibilità di raggiungere la verità sostanziale.

Tale previsione codicistica è stata oggetto di una costante interpretazione formalistica da parte della giurisprudenza, che ne ha di fatto esteso l'operatività. Infatti, non si è mai avallata la possibilità di effettuare puntuali indagini circa la sussistenza in concreto di un interesse all'esito della lite altrui. Ad esempio, l'incapacità in esame potrebbe non riscontrarsi laddove il chiamato a testimoniare non abbia alcuna intenzione di intervenire o vi abbia rinunciato.

In particolar modo, per quanto qui d'interesse, le precedenti pronunce conformi a quella in esame hanno, di volta in volta, sostenuto l'incapacità a deporre di chi avesse aprioristicamente titolo all'intervento in giudizio, sulla base della posizione giuridica sostanziale accertabile incidenter in ragione della documentazione in atti (cfr. Cass. civ., Sez. II, 27 agosto 1990, n.8840). Ciò anche qualora il diritto sotteso alla legittimazione alla partecipazione fosse nel frattempo venuto meno, perché estinto, per decorso del tempo o volontà del titolare, o perché soddisfatto. Come si è dato conto, infatti, la giurisprudenza considera tali eventi soltanto un posterius rispetto alla configurabilità dell'interesse ad intervenire (Cass. civ., sez. III, 1 giugno 1974, n. 1580).

La decisione in parola mantiene l'impermeabilità ad un giudizio in concreto dell'interesse del teste all'esito della lite, ma sembra così scontare, come le precedenti decisioni sul tema, un'interpretazione dell'art. 246 c.p.c. non troppo rigorosa. Rigore che invece sarebbe richiesto in ragione della circostanza per cui l'art. 246 c.p.c. è una previsione che limita il diritto alla prova delle parti, sicché sarebbe non solo ragionevole, ma anche doveroso compierne un'applicazione quanto più aderente alla lettera.

Sicché, il riferimento contenuto nell'enunciazione del principio di diritto, affermato anche nella sentenza capostipite del 1974, all'interesse concreto ed attuale non dovrebbe rimanere una mera formula di stile.

Fuori da tale ottica, infatti, l'odierna ordinanza rileva che l'ipotizzabilità in astratto di una legittimazione a partecipare al giudizio, ancorché la situazione sostanziale sottesa sia venuta meno in concreto, determina automaticamente l'incapacità a testimoniare.

Con ciò ponendosi seri dubbi in ordine al carattere dell'attualità della legittimazione a partecipare, dovendosi intendere tale connotato quale non mera potenzialità o futuribilità dell'utilità che il terzo potrebbe ritrarre dal processo.

La pronuncia, infatti, riconnette l'esclusione della capacità a deporre alla sussistenza meramente teorica di un diritto (o comunque di una posizione giuridica favorevole) della stessa consistenza di quello già venuto meno, ma che potrebbe emergere soltanto in un momento successivo o non originarsi affatto.

La Corte di legittimità ha infatti ipotizzato delle fattispecie di predicabilità da parte del terzo di danni che potrebbero sopravvenire rispetto a quelli già oggetto di una prima richiesta risarcitoria.

L'assenza di un vaglio maggiormente circostanziato circa la configurabilità in astrattodi un interesse ad intervenire, non meramente potenziale, ma plausibile hic et nunc, appare peraltro tanto meno ragionevole, quanto più si constati che il sistema ammette invece la testimonianza di soggetti capaci ex art. 246 c.p.c., aventi tuttavia un evidente interesse rispetto al giudizio rispetto al quale sono estranei (sul punto cfr. C. Arrigoni, Interesse in causa ed incapacità a testimoniare: l'interpretazione lata della giurisprudenza, in Riv. Trim. dir. proc. civ. 2011, 1235 ss.).

In materia di circolazione stradale, la giurisprudenza di legittimità, ad esempio, non ha escluso in passato la capacità a testimoniare del conducente di un veicolo danneggiato nel giudizio fra il proprietario di questo e il guidatore danneggiante, in assenza da parte di quest'ultimo della proposizione di una domanda riconvenzionale contro il vettore (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1993, n.5858).

Nelle sue conseguenze pratiche, inoltre, un'applicazione restrittiva dell'art. 246 c.p.c., nei termini brevemente esposti, non sembrerebbe comportare un'inevitabile lesione delle ragioni della parti in giudizio nemmeno qualora si ipotizzi la sopravvenuta attualità dell'interesse ad intervenire in capo ad un testimone già escusso.

Atteso che il giudizio in ordine alla capacità a deporre va svolto al momento della presentazione dell'istanza probatoria, in seguito alla partecipazione del terzo il giudice sarebbe pur sempre tenuto in primo luogo ad indagare la sussistenza della legittimazione a tale intervento, nonché in ogni caso ad effettuare la valutazione discrezionale di attendibilità della deposizione.

Guida all'approfondimento

L. QUERZOLA, La capacità a testimoniare tra diritto sostanziale e diritto processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 1393 ss.;

M. TARUFFO, voce Prova testimoniale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, p. 729 ss.

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