Il risarcimento del danno all'immagine della PA dopo il d. lgs. n. 174/2016: la Corte costituzionale conferma la limitazione ai soli casi previsti ex lege

10 Ottobre 2019

La Procura erariale può esercitare l'azione di risarcimento del danno all'immagine della PA in caso di reati dolosi commessi da pubblici dipendenti che siano, da una parte, con sentenza passata in giudicato, dichiarati prescritti, dall'altra, pienamente accertati?
Massima

Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 51, commi 6 e 7, c.g.c., in relazione agli artt. 3, 76, 97 e 103 Cost., nella parte in cui esclude l'esercizio dell'azione del PM contabile per il risarcimento del danno all'immagine della PA conseguente a reati dolosi, commessi da pubblici dipendenti a danno delle stesse pubbliche amministrazioni, dichiarati prescritti con sentenza passata in giudicato pienamente accertativa della responsabilità dei fatti ai fini della condanna dell'imputato al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite, per inadeguata rappresentazione, da parte del Rimettente, del quadro normativo entro il quale la disposizione in argomento è ricompresa, ossia per non aver tenuto in alcuna considerazione l'art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78 del 2009, nella parte in cui prevede, pur a seguito della parziale sua abrogazione ad opera dell'art. 4 dell'Allegato 3 al d. lgs. n. 174 del 2016, la risarcibilità del danno all'immagine «nei soli casi» previsti dalla legge.

Il caso

La Procura regionale per la Regione Liguria della Corte dei conti (di qui, Procura) citava in giudizio Tizio, ufficiale della Polizia di Stato, per sentirlo condannare, in favore del Ministero dell'Interno, al risarcimento del danno patrimoniale e del danno (non patrimoniale) all'immagine a quest'ultimo indirettamente cagionato giusta sentenza del Tribunale di Genova, che aveva dichiarato Tizio colpevole del reato continuato di violenza privata aggravata, perché durante una manifestazione svoltasi a Genova nel luglio del 2001, in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo denominato “G8”, mediante violenza consistita nell'utilizzazione di una bomboletta di gas urticante, aveva costretto alcuni manifestanti ad allontanarsi dal luogo ove sostavano.

In seguito, la Corte distrettuale aveva dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Tizio in quanto il reato si era estinto per prescrizione, condannando tuttavia il medesimo, in solido con la PA, al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese in favore delle parti civili costituite; sentenza poi divenuta definitiva a seguito del rigetto del ricorso per Cassazione proposto dall'imputato.

Nell'ambito del giudizio di responsabilità amministrativa azionato dalla Procura, la Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria della Corte dei conti (di qui, Rimettente) sollevava la questione di legittimità costituzionale (di qui, q.l.c.) dell'art. 51, commi 6 e 7, del Codice di giustizia contabile (di qui, c.g.c.) nella parte in cui esclude l'esercizio dell'azione del PM contabile per il risarcimento del danno all'immagine della PA conseguente a reati dolosi commessi da pubblici dipendenti a danno delle stesse pubbliche amministrazioni, da una parte, con sentenza passata in giudicato, dichiarati prescritti, dall'altra, pienamente accertati, ai fini della condanna dell'imputato al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite.

La questione

Il punto è il seguente: la Procura erariale può esercitare l'azione di risarcimento del danno all'immagine della PA in caso di reati dolosi commessi da pubblici dipendenti che siano, da una parte, con sentenza passata in giudicato, dichiarati prescritti, dall'altra, pienamente accertati?

Le soluzioni giuridiche

Oggetto della sentenza in commento è l'indagine, a seguito dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 174 del 2016, degli attuali necessari presupposti perché il PM contabile possa legittimamente esperire l'azione di risarcimento del danno all'immagine della PA

Il provvedimento in discorso rappresenta l'ulteriore capitolo di una serie di pronunce che hanno concorso nel tempo a definire i limiti per l'esercizio dell'azione di responsabilità amministrativo-contabile nei confronti dei pubblici dipendenti colpevoli di aver cagionato un danno (non patrimoniale) all'immagine della PA, estendendosi le valutazioni del Giudice delle leggi alle innovazioni introdotte da tutti gli allegati al d. lgs. n. 174 del 2016, in quanto disciplina vigente al momento dell'instaurazione del giudizio principale.

La q.l.c. rappresentata dal Rimettente, infatti, prende le mosse da una sentenza che, da una parte, dichiara il non doversi procedere nei confronti dell'imputato per intervenuta prescrizione, dall'altra, lo condanna, in solido con la PA, al pagamento delle spese del giudizio e al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili costituite. Detta sentenza, pertanto, pur avendo pienamente accertato la responsabilità dei fatti di reato ascritti a Tizio, non consentiva l'esperibilità da parte della Procura contabile dell'azione risarcitoria per il danno all'immagine, stante il chiaro tenore dell'art. 51 c.g.c., che richiede una condanna in sede penale come «limite legislativo invalicabile e imprescindibile per l'interprete». Di qui, la rilevanza della questione.

In ordine alla non manifesta infondatezza della q.l.c., invece, il Rimettente assume anzitutto che le norme censurate violerebbero l'art. 3 Cost. giacché intrinsecamente irragionevoli laddove escludono l'esercizio dell'azione risarcitoria quando il danno consegue a reati dolosi dichiarati prescritti con una sentenza irrevocabile, che ha comunque accertato la responsabilità dei fatti ai fini della condanna dell'imputato al risarcimento dei danni alle parti civili. Tale scelta del Legislatore, infatti, pare al Rimettente contraria al «canone di conformità dell'ordinamento a valori di giustizia ed equità [...] ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica», poiché consente che la tutela dell'immagine della PA venga accordata o meno non già in base all'accertata sussistenza di fatti lesivi, bensì in forza di un diverso fattore, estraneo a tali profili.

Ad avviso del Rimettente, inoltre, dall'irragionevolezza delle norme impugnate deriverebbe una violazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97 Cost., giacché la restrizione dei confini della responsabilità per i danni causati alla PA entro il dato formale di una condanna penale irrevocabile, con esclusione dell'obbligo risarcitorio perché quest'ultima non è stata raggiunta per intervenuta prescrizione, dopo condanna nel merito, costituirebbe una misura eccessiva ed esuberante rispetto allo scopo di consentire «un esercizio dell'attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace e più efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti» (cfr. Corte cost., sent., 15 dicembre 2010, n. 355).

Da ultimo, il Rimettente deduce che le norme impugnate, nel ridurre l'area di proponibilità dell'azione risarcitoria, arrecherebbero un vulnus al principio di effettività della tutela in sede giudiziaria, contravvenendo in questo modo alla legge di delegazione della funzione legislativa (v. art. 20, comma 2, lett. b) l. n. 124 del 2015) a seguito della quale è stato adottato il d. lgs. n. 174 del 2016, giacché ivi, tra i principi generali e i criteri direttivi individuati dal Parlamento per la delega al Governo in materia di riorganizzazione delle pp.aa., s'indicavano i principi di concentrazione ed effettività della tutela giurisdizionale.

In senso opposto, l'Avvocatura dello Stato sosteneva che l'art. 51 c.g.c. non si riferisce in via generale al danno all'immagine, cui è specificamente dedicato il solo c. 6, ma attiene invero all'individuazione dei soli meri obblighi di trasmissione di sentenze irrevocabili per l'eventuale promozione di azioni a tutela dell'Erario. Il richiamo alla sentenza irrevocabile contenuto nel c. 7 sarebbe pertanto riconducibile all'acquisizione della notizia di danno, e non alle condizioni per la promovibilità dell'azione di risarcimento del danno all'immagine.

Nel merito, la difesa erariale, da una parte, deduceva l'infondatezza delle questioni richiamandosi ai precedenti arresti della Consulta sulla medesima questione oggetto della q.l.c., che avevano ricondotto i limiti all'esercizio dell'azione risarcitoria da parte del PM contabile ad una scelta discrezionale del Legislatore, non sindacabile se non per arbitrarietà od irragionevolezza, nella specie non sussistenti, dall'altra, evidenziava che, nel valutare i profili attinenti alla responsabilità amministrativa, il Legislatore deve necessariamente contemperare l'esigenza di una tutela risarcitoria con quella del buon andamento della PA, che potrebbe vedersi gravemente incisa da un'estensione dell'area della responsabilità dei suoi dipendenti.

Ebbene, alla luce delle argomentazioni dedotte nella proposta q.l.c., richiamando la propria giurisprudenza, la Corte costituzionale la dichiara inammissibile avendo il Rimettente omesso di rappresentare adeguatamente il quadro normativo entro il quale l'art. 51 c.g.c. è ricompreso, ossia per non aver tenuto in alcuna considerazione l'art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78 del 2009, il quale, a seguito della parziale sua abrogazione ex art. 4 dell'All.to 3 al d. lgs. n. 174 del 2016, ad oggi comunque prevede la risarcibilità del danno all'immagine «nei soli casi» previsti dalla legge.

Osservazioni

La sentenza in commento è particolarmente degna di nota per la puntuale ricostruzione dell'articolata serie di modificazioni conosciute dal parametro di legalità formale disciplinante l'azione risarcitoria del PM contabile in materia di danno non patrimoniale all'immagine della PA.

La risarcibilità del danno non patrimoniale all'immagine della PA ha infatti origine pretoria e fu inizialmente riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte dei conti senza alcun limite, né in ordine al fatto generatore di responsabilità, né, tantomeno, con riguardo alla necessità che tale fatto venisse preventivamente accertato in sede penale.

In siffatto contesto intervenne il Legislatore, con l'art. 17, comma 30-ter, d.l.n. 78del 2009, conv. in l. n. 102del 2009, che, con la chiara finalità di limitare la promovibilità di detta azione di danno, ne affermava l'esercizio «nei soli casi e modi previsti dall' [art. 7, l. n. 97 del 2001]». In breve, la risarcibilità del danno all'immagine era limitata all'ipotesi di condanna irrevocabile del pubblico dipendente per uno dei delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la PA.

Tale disciplina, da ultimo, ha subito una trasformazione per effetto della successiva entrata in vigore del d. lgs. n. 174 del 2016 e dei suoi allegati, tra i quali -per quanto qui interessa- il primo reca il c.g.c., mentre il terzo reca «Norme transitorie e abrogazioni».

Più nel dettaglio, l'All. n. 3, da una parte, pur abrogando il primo periodo dell'art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78 del 2009, ha lasciato invariato il secondo periodo, contenente la limitazione dell'azione per il risarcimento del danno all'immagine, dall'altra, ha abrogato l'art. 7 della l. n. 97 del 2001, cui tale previsione faceva rinvio nel delimitare i casi nei quali il PM contabile poteva promuovere l'azione risarcitoria. Dopo l'entrata in vigore del c.g.c., pertanto, è rimasta in vigore la norma che circoscrive la proponibilità della domanda a casi specifici, ma detta norma continua a fare rinvio ad una previsione che lo stesso codice ha contestualmente abrogato.

L'assenza di una adeguata valutazione da parte del Rimettente della persistenza nell'ordito normativo dell'art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, cit. ha condotto la Consulta nella sentenza in commento a dichiarare inammissibile la q.l.c. per come prospettata.

L'aver comunque sottolineato l'esigenza che il Rimettente motivi adeguatamente in ordine alla previsione normativa che comunque limita la promovibilità dell'azione risarcitoria per danno all'immagine ai soli casi previsti dalla legge non può non determinare un successo per quella parte della giurisprudenza contabile che aveva sostenuto un orientamento restrittivo circa le condizioni per l'esercizio dell'azione di responsabilità amministrativo diretto ad ottenere un risarcimento per il danno all'immagine della PA arrecato da delitti commessi da pubblici dipendenti.

Nel contesto sopra appena accennato, infatti, molte sono state le pronunce delle Sezioni giurisdizionali regionali e centrali d'appello della Corte dei conti che hanno variamente interpretato e, conseguentemente, applicato il frastagliato parametro di legalità formale disciplinante il danno all'immagine della PA.

Dopo un primo periodo di incerta applicazione, sono difatti emerse due teoriche poi consolidatesi in altrettanti filoni giurisprudenziali.

Secondo un primo orientamento, sarebbe stato nullo (rectius,inammissibile) l'atto di citazione contenente una domanda risarcitoria per danno all'immagine della PA, sull'assunto che una pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione:

a) non determina una condanna penale dell'imputato anche quando si accompagna (come nella specie) a valutazioni in concreto dei fatti illeciti al medesimo addebitati;

b) non determina in sede civile o comunque risarcitoria presso altre giurisdizioni gli effetti, propri solo della sentenza penale irrevocabile di condanna, di cui all'articolo 651 c.p.p.

Tale orientamento restrittivo (a ben vedere assolutamente prevalente, giacché sostenuto sia, a livello regionale, dalle Sezioni per le Regioni Campania, Lazio e Friuli Venezia-Giulia sia, a livello centrale, da tutte e tre le Sezioni d'appello) ha poi rimarcato, con riferimento alle sentenze penali di non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato per prescrizione e contenenti anche un previo accertamento nel merito dei fatti materiali addebitati all'imputato, che la stessa Corte di Cassazione già aveva avuto modo di ribadire il principio di diritto per cui «[…] alle sentenze di non doversi procedere perché il reato estinto per prescrizione per amnistia non va riconosciuta alcuna efficacia extra penale, benché, per giungere a tale conclusione, il giudice abbia accertato è valutato il fatto» (v. Cass. civ., Sez.Un., sent., 26 gennaio 2011, n. 1768).

Un diverso orientamento estensivo (sostenuto essenzialmentedalle Sezioni per le Regioni Lombardia e Liguria) ritiene, invece, sufficiente l'accertamento del reato con sentenza passata in giudicato, seppur non di condanna stricto iure, sulla base di argomentazioni giuridico-materiali: si considera, cioè, evidente come il danno all'immagine non venga meno sol perché il relativo reato viene dichiarato prescritto, rilevando, invero, la sola materiale sussistenza di una condotta, da accertarsi in entrambi i gradi di merito.

A sostegno di detta interpretazione, che certamente ha il pregio di anteporre la sostanza alla forma e mira, di tutta evidenza, ad assicurare una più pregnante ed efficace tutela del prestigio da ricondursi ad un rapporto di lavoro alle dipendenze di una PA, si cita la stessa Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che, nella nota sentenza “Rigolio”, non ha ritenuto confliggere con la Convenzione una condanna penale per danno all'immagine derivante dalla commissione di fatti di reato dichiarati estinti per prescrizione in sede penale.

Ad avviso di questo orientamento, infatti, la lettura logico-sistematica delle due norme (i.e. art. 51 c.g.c. e art. 17, comma 30-ter, d.l. 78/2009) preclude alla Corte dei conti di attivarsi solo e soltanto qualora ci sia una assoluzione del dipendente, e non già quando intervenga una statuizione di prescrizione che, notoriamente, non equivale ad assoluzione, essendo evidente e logico che una lesione alla immagini della PA derivi, sul piano causale, dalla materiale fattualità di comportamenti illeciti del dipendente, che solo una rituale assoluzione penale esclude sul piano materiale, logico e giuridico. A differenza dell'assoluzione, non solo una condanna penale, ma anche una statuizione di prescrizione che comunque contenga un accertamento del fatto illecito, non esclude la materialità della condotta lesiva della immagine della PA.

Un ulteriore motivazione fa poi perno sulla natura eccezionale e derogatoria (in quanto limitativa) dell'art. 17, comma 30-ter, cit.rispetto alla regola generale della piena giurisdizione contabile su ogni danno alle casse pubbliche: si afferma, cioè, che la stessa non può che essere interpretata in chiave restrittiva per non comprimere la generale giurisdizione contabile, non potendo che operare, in senso preclusivo ad iniziative delle Procure contabili, se non a fronte di previa assoluzioni penali, a cui non è riconducibile una mera sentenza di prescrizione.

Tale approdo ermeneutico si giustifica, inoltre, sul piano logico-sistematico, anche considerando che una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione non impedisce certo la perseguibilità di altre voci di danno diverse da quello dell'immagine, dovendosi, infine, aggiungersi, sempre sul piano sistematico, che il nostro Ordinamento anche in altri settori non preclude interventi punitivi dopo mere statuizioni penali di prescrizione: emblematico in tal senso il procedimento disciplinare che è notoriamente attivabile anche dopo una statuizione penale di prescrizione (ex pluribus, Cass. civ., sez. III, sent. 17 novembre 2011, n. 24082; Cass. civ., Sez. Lav., sent., 11 ottobre 2016, n. 20429).

Ebbene, pur non giudicando in modo tale da precludere ogni margine interpretativo a sostegno dell'orientamento estensivo, il Giudice delle leggi, valorizzandoil dato letterale dell'art. 17, c. 30-ter, cit., alla luce del frastagliato quadro che emerge all'esito del percorso di modificazioni e integrazioni del parametro di legalità formale oggi disciplinante il danno all'immagine della PA, esige, con la pronuncia in commento, che questo sia adeguatamente rappresentato, al fine di offrire una valutazione adeguata a sorreggere la motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità.

In conclusione, emerge oggi la necessità per gli interpreti di valutare in ogni caso la voce di danno non patrimoniale all'immagine della PA come una voce azionabile solo «nei casi previsti dalla legge», donde la non proponibilità dell'azione risarcitoria in via generale e la sua non applicabilità astratta ad ogni ipotesi di danno pubblico.

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