Domanda di riparazione per ingiusta detenzione a mezzo PEC

Luigi Giordano
17 Ottobre 2019

La domanda di riparazione per ingiusta detenzione non può essere presentata a mezzo PEC, dovendo essere depositata ex art. 315 e 645 c.p.p. nella cancelleria della Corte di appello che ha pronunciato la sentenza.
Massima

La domanda di riparazione per ingiusta detenzione non può essere presentata a mezzo PEC, dovendo essere depositata ex art. 315 e 645 c.p.p. nella cancelleria della Corte di appello che ha pronunciato la sentenza.

Il caso

La Corte di appello ha dichiarato inammissibile, perché proposta tardivamente, la domanda con la quale l'interessato aveva richiesto la riparazione per la custodia cautelare sofferta nell'ambito di un procedimento penale per un reato in materia di stupefacenti dal quale era stato assolto con sentenza passata in giudicato. In particolare, secondo il collegio, la domanda era stata depositata in cancelleria oltre il termine di due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento è divenuta irrevocabile previsto dall'art. 315, comma 1, c.p.p..

Avverso questa ordinanza, l'interessato ha proposto ricorso per cassazione, osservando che la domanda, sottoscritta in modo digitale, era stata tempestivamente inoltrata a mezzo di PEC. Solo in un secondo momento, poi, era stata depositata anche in forma cartacea presso la cancelleria della Corte di appello. In ogni caso, ai fini del rispetto del termine, doveva riconoscersi il rilievo dell'invio telematico della domanda.

La questione

La sentenza ha affrontato una questione, invero inedita, rappresentata dalla possibilità di presentare la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione cautelare a mezzo PEC, piuttosto che depositando la stessa in forma cartacea nella cancelleria della Corte di appello competente come prescritto dagli art. 315 e 645 c.p.p..

L'impiego di una modalità di trasmissione che esula da quelle contemplate dal codice di rito determina l'irricevibilità della domanda? Più specificamente, con riferimento al caso di specie, è stato chiesto alla Corte di valutare se l'anticipazione a mezzo PEC della domanda, poi comunque depositata nella forma cartacea, possa valere garantire la tempestività della sua proposizione.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha ritenuto che la domanda di riparazione per ingiusta detenzione non possa essere presentata a mezzo PEC, dovendo, invece, essere depositato un atto scritto, ex art. 315 e 645 c.p.p., nella cancelleria della Corte di appello che ha pronunciato la sentenza.

In particolare, la Corte ha osservato che al procedimento per ingiusta detenzione, sebbene riguardi l'esistenza di una obbligazione pecuniaria nei confronti del soggetto colpito da custodia cautelare, si applicano le norme del codice di rito penale (Cass. n. 26370 del 25 marzo 2014). È generalmente riconosciuto, infatti, che tale procedimento, pur avendo sostanzialmente natura civile, perché relativo a controversia sull'attribuzione di una somma pecuniaria, è regolato dal rito penale, in quanto la controversia origina da una sentenza di proscioglimento penale a favore di un imputato colpito da misura di custodia cautelare (cfr. Cass., Sez. U, n. 34535 del 27 giugno 2001; Cass. n. 45409 del 16 ottobre 2013; Cass. n. 48484 del 22 ottobre 2003). Ne consegue che l'istanza deve essere proposta nelle forme e nei termini previsti dalle norme processuali penali in precedenza richiamate.

Tanto premesso, la Corte ha rilevato che la giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso che, nel processo penale, non è consentito alla parte privata l'uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti, né per il deposito degli stessi presso gli uffici, perché l'utilizzo di tale mezzo informatico, ai sensi dell'art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni ai difensori disposte dall'autorità giudiziaria (Cass. n. 21056 del 23 gennaio 2018; Cass. n. 48911 del 1° ottobre 2018; Cass. n. 31314 del 16 maggio 2017).

In applicazione di tale principio, ad esempio, è stata considerata inammissibile l'opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di PEC, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell'assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale il deposito di atti in via telematica, e nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno (Cass. n. 21056 del 23 gennaio 2018).

Ne consegue che, nel caso in disamina, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto tardiva l'istanza di riparazione proposta dal ricorrente. Infatti, l'istanza cartacea è stata depositata in cancelleria oltre il termine di due anni previsto dall'art. 315, comma 1, c.p.p., a nulla rilevando, per contro, il precedente inoltro a mezzo PEC della stessa domanda di riparazione, trattandosi di modalità non consentita dalla legge.

Osservazioni

1. La sentenza applica al procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione l'indirizzo giurisprudenziale consolidato che esclude la possibilità del ricorso alla PEC per la presentazione dell'atto di impugnazione, sulla base di una serie di argomenti costituiti:

a) dalla tassatività delle modalità di presentazione e di spedizione dell'impugnazione, disciplinate dall'art. 583 c.p.p., che permettono soltanto la possibilità di spedizione dell'atto mediante lettera raccomandata o telegramma, in alternativa alla presentazione in cancelleria ex art. 582 c.p.p.;

b) dal fatto che nessuna norma prevede la trasmissione mediante PEC dell'atto di impugnazione;

c) dal fatto che l'art. 16, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 consente l'utilizzo della PEC alla sola cancelleria e per le sole notificazioni a persone diverse dall'imputato;

d) dalla considerazione che, non essendo stato istituito un fascicolo telematico, mancherebbe lo strumento di ricezione – il contenitore – dell'atto, che potrebbe ricevere l'atto e renderlo fruibile al giudice ed alle altre parti del processo.

È stato ritenuto inammissibile, pertanto, il ricorso per cassazione proposto mediante l'uso della posta elettronica certificata (Cass. n. 55444 del 5 dicembre 2017; Cass. n. 18823 del 30 marzo 2016); l'opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di posta elettronica certificata (Cass. n. 50932 del 11 luglio 2017). In termini analoghi si è orientata la giurisprudenza in tema di opposizione all'archiviazione, materia diversa dall'impugnazione, ma per molti versi affine alla stessa (Cass. n. 12264 dell'8 febbraio 2018).

Tra questi argomenti appare particolarmente significativo il riferimento alla mancata istituzione del fascicolo telematico, perché coglie un profilo pratico molto importante: ove pure si ritenesse ammissibile l'invio dell'impugnazione tramite PEC, non potrebbe non prendersi atto che mancherebbe lo strumento di ricezione dell'atto, in modo da poterlo porre a disposizione del giudice e delle altre parti del processo. La cancelleria, inoltre, sarebbe onerata di compiti, come la stampa e la copia degli atti inviati dalle parti, che non le sono attribuiti dalle norme vigenti.

2. L'indirizzo giurisprudenziale prevalente, più in generale, afferma che, nel processo penale, l'invio di istanze a mezzo posta elettronica certificata (c.d. PEC) non è consentito alle parti private. L'istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa dal difensore per mezzo dello strumento elettronico, in particolare, è irricevibile (cfr., con specifico riferimento ad un'istanza di rinvio per legittimo impedimento, Cass. n. 7058/2014; si veda anche Cass. n. 51665/2017; Cass. n. 18235/2015, relativa ad una domanda di rimessione in termini).

Questo orientamento si fonda sull'art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, norma che, disciplinando le notificazioni, circoscrive l'uso della PEC alla sola cancelleria, limitandone l'impiego ai soli adempimenti rivolti a persone diverse dall'imputato. Questa disposizione, infatti, stabilisce che « Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma dell'art. 148 c.p.p., comma 2-bis, 149 e 150 e art. 151 c.p.p., comma 2».

La medesima norma, inoltre, nella sua parte finale, statuendo che «La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria», sembra ribadire che l'utilizzo del mezzo elettronico è riservato al solo ufficio di cancelleria e non anche alle parti private. Non sono indicate, infatti, le forme nelle quali dovrebbero essere redatte le relazioni delle notificazioni eseguite dalle parti private. Anche se la PEC fosse adoperata non per effettuare una notificazione, ma solo per trasmettere un'istanza, infatti, sarebbe determinante la necessità di documentare l'attività compiuta e dovrebbe prendersi atto della sua mancata regolamentazione.

Un diverso orientamento, invece, in tema di istanza di rinvio per legittimo impedimento, si mostra più aperto all'uso del mezzo elettronico in esame: la trasmissione di un'istanza in modo elettronico è da reputarsi solo irregolare e non irricevibile o inammissibile, con la conseguenza che, qualora il giudice ne abbia preso tempestiva conoscenza, il giudice è tenuto a valutarla (Cass. n. 56392/2017; Cass. n. 47427/2014).

Questa impostazione estende all'uso della posta elettronica certificata nel processo penale l'elaborazione giurisprudenziale formatosi in tema di richiesta inviata a mezzo telefax. Quest'ultimo è uno strumento largamente usato negli uffici giudiziari perché ritenuto idoneo a dare certezza della trasmissione di un atto. Il suo utilizzo, tuttavia, deve ritenersi irregolare, perché l'art. 121 c.p.p. prevede per le parti l'obbligo di presentare le memorie e le richieste indirizzate al giudice mediante deposito in cancelleria. L'irregolarità della trasmissione, peraltro, non esime il giudice, che abbia ricevuto l'istanza tempestivamente, dal vagliarla, non essendo essa affetta da vizi che ne hanno determinato l'inammissibilità o l'irricevibilità.

Questo principio, affermato per la comunicazione a mezzo telefax, è applicato anche alla comunicazione per posta elettronica, sul presupposto che l'efficacia dello strumento di trasmissione sia analogo. Il fax restituisce all'utilizzatore un rapporto di consegna da cui si può desumere l'arrivo al dispositivo ricevente (“OK”), che può essere stampato anche sul foglio inoltrato al fine di precostituire la prova che sia stato mandato proprio quel determinato documento; il sistema della PEC genera una certificazione dell'avvenuto inoltro della comunicazione al computer ricevente che prova la correttezza dell'invio. In entrambi i casi, residua il profilo della tempestiva lettura del documento trasmesso da parte del destinatario: la cancelleria potrebbe non controllare la casella di posta elettronica in tempo utile per portare a conoscenza del giudice l'istanza così come potrebbe non leggere il fax ricevuto, magari per un mero disguido (come, banalmente, potrebbe capitare nel caso in cui fosse semplicemente finita la carta nell'apparecchio o il toner per la sua stampa e il documento rimanesse nella memoria del dispositivo per qualche tempo).

Per tali ragioni, l'indirizzo più incline a permettere l'impiego di forma di trasmissione di istanza alla cancelleria diverse dal deposito previsto dall'art. 121 c.p.p. precisa comunque che, in ragione dell'irregolarità di detta trasmissione, incombe sulla parte il rischio della mancata tempestiva consegna dell'atto al giudice. Avendo scelto volontariamente un mezzo irregolare di trasmissione dell'istanza, si è assunta il rischio che il giudicante non ne abbia cognizione. Per essere legittimata a proporre doglianze inerenti all'omessa valutazione dell'istanza, pertanto, la parte interessata ha l'onere di verificare che sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente a valutarla e sia stata portata all'attenzione di quest'ultimo per tempo (cfr. Cass. n. 9030/2013; Cass. n. 28244/2013; Cass. n. 7706/2014, dep. 2015; Cass. n. 24515/2015; Cass. n. 1904/2017; in senso contrario, si veda, Cass. n. 535/2016).

L'utilizzo di una modalità di trasmissione irregolare, in conclusione, comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della e-mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all'attenzione del giudice procedente (Cass. n. 47427/2014; per l'applicazione del medesimo principio nel caso di trasmissione a mezzo PEC dell'istanza di impedimento dell'imputato, si veda Cass. n. 923/2018).