Inesistenza di un diritto soggettivo incondizionato a consumare cibi propri a scuola durante l'orario della mensa
18 Ottobre 2019
Massima
Un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all'autorefezione individuale nell'orario della mensa nei locali scolastici non è configurabile e, quindi, non può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario in favore degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado, i quali possono esercitare diritti procedimentali, al fine di influire sulle scelte riguardanti la modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all'autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi di buon andamento dell'amministrazione pubblica. Il caso
I genitori di alcuni alunni di scuole elementari e medie del Comune di Torino hanno convenuto in giudizio il suddetto Comune ed il Ministero dell'Istruzione e Ricerca per far accertare il loro diritto di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto portato da casa o confezionato autonomamente e, in particolare, di consumarlo all'interno dei locali scolastici destinati alla mensa e nell'orario della refezione (c.d. autorefezione). Il tribunale di Torino ha rigetto la domanda, rilevando l'insussistenza di un diritto soggettivo come quello azionato. Con sentenza del 21 giugno 2016, la corte d'Appello di Torino ha, invece, accolto parzialmente il gravame proposto dai genitori, riconoscendo il diritto degli alunni di portare il cibo da casa e di consumarlo a scuola nell'orario della mensa, ma si è astenuta dal dettare le concrete modalità attuative, non ritenendo possibile consentire indiscriminatamente agli alunni di consumare il pasto domestico nei locali adibiti alla refezione scolastica. Avverso la sentenza della corte d'appello di Torino, hanno proposto ricorso per cassazione il Comune di Torino e, in via incidentale, il Miur; le famiglie degli alunni si sono opposte con controricorso. Le Sezioni Unite sono state, così, investite dal Primo Presidente della Corte di Cassazione della soluzione della seguente questione di massima: se sia configurabile un diritto soggettivo perfetto dei genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, eventualmente quale espressione di una libertà personale inviolabile, il cui accertamento sia suscettibile di ottemperanza, di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica e il pasto portato da casa o confezionato autonomamente e di consumarlo nei locali della scuola e comunque nell'orario destinato alla refezione scolastica, alla luce della normativa di settore e dei principi costituzionali, in tema di diritto all'istruzione, all'educazione dei figli e all'autodeterminazione individuale, in relazione alle scelte alimentari (artt. 2 e 3 Cost., art. 30 Cost., comma 1, art. 32 Cost., art. 34 Cost., commi 1 e 2); se possa essere interpretata in senso ricognitivo di un simile diritto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5156 del 2018, confermativa di sentenza che ha annullato per eccesso di potere una delibera comunale che aveva vietato, nei locali in cui si svolge il servizio di refezione scolastica, il consumo, da parte degli alunni, di cibi diversi da quelli forniti dalla ditta appaltatrice del servizio. La questione
È configurabile in capo ai genitori degli alunni delle scuole elementari e medie il diritto soggettivo perfetto ed incondizionato di scegliere per i propri figli che frequentano il tempo pieno tra la refezione scolastica e il pasto portato da casa da consumare durante l'orario della mensa nei locali scolastici? Le soluzioni giuridiche
Nella parte motiva, la sentenza ripercorre in modo dettagliato e analitico le posizioni e le argomentazioni delle varie parti in causa. La posizione del Comune di Torino è riassumibile nei seguenti punti: - La mensa scolastica non deve essere intesa come generico consumo in ambito scolastico di cibo preparato individualmente, ma come un servizio pubblico organizzato dall'amministrazione comunale, a domanda individuale, mediante l'erogazione di pasti collettivi confezionati secondo regole predefinite. Di conseguenza, non esiste un obbligo delle amministrazioni di apprestare mezzi e risorse per consentire agli alunni che non si avvalgono del servizio mensa di consumare all'interno dei locali della scuola cibi non somministrati dal gestore del servizio mensa - Il tempo mensa non rientra nel tempo scuola e l'offerta formativa che la prevede è elaborata dalle scuole e condivisa dalle famiglie. La sua attuazione sarebbe pregiudicata se si ammettesse la possibilità di introdurre varianti individuali. - L'accertamento del diritto azionato comporterebbe un obbligo di facere in capo alla pubblica amministrazione e l'adozione di misure organizzative specifiche, interferendo nella libertà di autodeterminazione delle istituzioni scolastiche. - L'introduzione di differenziati pasti domestici nei locali scolastici inficerebbe il diritto degli alunni alla piena attuazione egualitaria del progetto formativo comprensivo del servizio mensa, con possibile violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche, oltre che del diritto alla salute.
Il ricorso incidentale del Miur era articolato in due complessi motivi: - Il tempo pieno costituisce solo un'opzione nella pluralità di modelli organizzativi idonei a garantire il diritto all'istruzione, che le istituzioni scolastiche hanno la facoltà di attivare (nella loro autonomia e compatibilmente con le disponibilità di organico e in presenza delle necessarie strutture) e le famiglie di scegliere. Ma, una volta operata la scelta, le famiglie hanno l'obbligo di aderire al progetto formativo prescelto, così come proposto e organizzato dalla scuola, incluso il tempo mensa. Quest'ultimo, pur compreso nel tempo scuola, è distinto dall'attività didattica e non è obbligatorio. La finalità educativa del tempo mensa può essere attuata dall'istituzione scolastica solo attraverso il servizio di refezione scolastica, in quanto sarebbe difficile coordinare le regole alimentari del servizio di ristorazione collettiva con le diverse e non conosciute regole indotte dal pasto domestico fornito dalle diverse famiglie. - L'autorefezione porrebbe questioni di ordine sanitario e la necessità di individuare il responsabile della sicurezza dei prodotti, esponendo il gestore del servizio a responsabilità per pericoli non direttamente gestiti. - L'autorefezione si risolverebbe in una prestazione gratuita per i beneficiari, ma onerosa per la collettività (per l'amministrazione che dovrebbe sostenere i relativi costi organizzativi e, in definitiva, per le famiglie che pagano il contributo per il servizio mensa di cui si avvalgono).
La diversa prospettazione delle famiglie era, invece, la seguente: - Il tempo mensa rientra nel tempo scuola, ma non coincide con il servizio di refezione scolastica. Non consentire la possibilità del consumo di pasti domestici equivale a comprimere il diritto all'istruzione, in quanto impedisce ingiustamente agli alunni di partecipare alle attività formative pomeridiane. - Il diritto all'autorefezione è espressione del diritto all'uguaglianza, di una incomprimibile libertà personale, del diritto all'autodeterminazione, del diritto alla salute e alla dignità degli alunni e delle famiglie in campo alimentare; costituisce, altresì, espressione dei principi di obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore, che verrebbero compromessi se un servizio facoltativo (quale è il servizio di mensa scolastica) diventasse obbligatorio e condizionante, con l'effetto di costringere gli alunni a rinunciare ai contenuti educativi dell'offerta formativa scolastica. Il diritto all'autorefezione è anche attinente ai diritti dei genitori-lavoratori, i quali, in assenza di un suo riconoscimento, sarebbero costretti ad accudire i figli durante e dopo la pausa pranzo (art. 35 Cost.). - Le parti private hanno indicato come ricognitiva del diritto azionato la sentenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. V, 3 settembre 2018, n. 5156) con cui è stata annullata la delibera del Comune di Benevento che vietava la permanenza nei locali scolastici, nel proprio territorio, agli alunni delle scuole materne ed elementari che intendevano consumare cibi portati da casa o acquistati autonomamente, non essendo loro consentito di consumare pasti diversi da quelli forniti dall'impresa appaltatrice del servizio.
Le Sezioni Unite hanno accolto i ricorsi del Comune di Torino e del Miur, ritenendo che, alla luce della vigente legislazione primaria e dei principi costituzionali, non sia configurabile un diritto soggettivo degli alunni che optano per il tempo pieno di consumare a scuola cibi propri durante l'orario della mensa. Gli Ermellini ritengono corretta la premessa dei genitori secondo cui il tempo mensa è compreso nel tempo scuola, ma non condividono la conclusione che le famiglie ne traggono. Che il tempo mensa rientri nel tempo scuola è confermato da diversi indici normativi (art. 6 d.lgs. 13 aprile 2017, n. 63; art. 130, comma 2, d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297; art. 5 d.P.R. 20 marzo 2009, n. 89; decreto interministeriale 6 luglio 2010, n. 55; d.m. 3 novembre 2011; circolare Miur n. 29 del 2004) ed è giustificato dalla circostanza che esso condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico, assolvendo alle funzioni di educazione all'alimentazione sana (d.l. 12 settembre 2013, n. 104 conv. in legge 8 novembre 2013, n. 128) e di socializzazione (d.lgs n. 59 del 2004, art. 9), tipica della consumazione del pasto in comunità condividendo i cibi forniti dalla scuola. Quello del pasto non è, infatti, un momento di incontro occasionale di consumatori di cibo, ma un momento di socializzazione e condivisione, in condizioni di uguaglianza, nell'ambito di un progetto formativo comune. Le suddette non possono essere assolte dall'autorefezione. L'affermazione di un diritto soggettivo perfetto all'autorefezione non trova sostegno sul piano normativo, né sotto il profilo del diritto di rango costituzionale all'istruzione (in considerazione delle finalità del tempo mensa appena citate), né sotto il profilo del principio di gratuità dell'istruzione inferiore, il quale non implica che si debba necessariamente assicurare la completa gratuità di tutte le ipotizzabili prestazioni che possano essere connesse all'esercizio del diritto allo studio. Sul punto, la legge prevede che negli istituti scolastici in cui è istituito il servizio mensa, esso è erogato «senza nuovi o maggiori oneri per gli enti pubblici interessati» e «in forma gratuita ovvero con contribuzione delle famiglie a copertura dei costi», previa individuazione delle fasce di reddito sino al limite della gratuità in taluni casi (d.lgs n. 63 del 2017, artt. 3 e 6). L'invocato diritto all'autorefezione, secondo le Sezioni Unite, non può essere considerato neanche espressione di una incomprimibile libertà personale (inteso come diritto di libertà), o del diritto all'autodeterminazione individuale o del diritto dei genitori di educare i propri figli in campo alimentare (artt. 2, 3, 13 e 30 Cost.) o, infine, del diritto dei genitori di non subire interferenze nell'adempimento dei loro doveri come lavoratori (art. 35 Cost.). Tale rappresentazione, infatti, trascura il contesto nel quale i suddetti diritti dovrebbero essere esercitati, ovverosia quello delle istituzioni scolastiche. Queste ultime, infatti, nell'ambito dell'autonomia organizzativa oltre che didattica loro riconosciuta (legge 15 marzo 1997, n. 59), possono istituire il servizio mensa, che è un servizio pubblico a domanda individuale (d.m. 31 dicembre 1983), prestato in favore degli alunni che hanno optato per il tempo pieno e che, quindi, hanno accettato l'offerta formativa comprendente la mensa. Scegliendo il tempo pieno, le famiglie esercitano una libertà di scelta educativa (legge 59 del 1997, art. 21), dalla quale scaturisce il loro diritto di partecipazione al procedimento amministrativo per influire sulle modalità di gestione del servizio di mensa (ai fini dell'individuazione dell'impresa che lo gestisce e dei cibi offerti), ma non il diritto sostanziale di performarlo secondo le proprie esigenze individuali. L'accertamento di un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all'autorefezione, rilevano le Sezioni Unite, comporterebbe una impropria ingerenza dei privati nella gestione di un servizio e imporrebbe alle istituzioni scolastiche un obbligo conformativo del servizio pubblico di mensa di immediata attuazione. In realtà, la questione in esame non attiene all'esercizio di una libertà personale, ma all'esercizio di diritto sociale (all'istruzione), condizionato e dipendente dalle scelte organizzative rimesse alle singole istituzioni scolastiche, sulle quali i beneficiari del servizio pubblico possono influire nell'ambito del procedimento amministrativo e con i consueti strumenti a tutela della legittimità dell'azione amministrativa. È proprio tale procedimento la sede nella quale effettuare le opportune valutazioni nella ricerca del più corretto bilanciamento degli interessi individuali di coloro che chiedono di consumare il cibo portato da casa con gli interessi pubblici potenzialmente confliggenti, tenuto conto delle risorse a disposizione dell'amministrazione. Ed infatti, come ricorda la sentenza in esame, l'istituzione scolastica non è un luogo in cui si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni o dove il rapporto con l'utenza è connotato in termini meramente negoziali, ma è piuttosto un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali (cfr. d.lgs n. 59 del 2004, art. 5) devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità, come interpretati dall'istituzione scolastica mediante regole di comportamento cogenti, tenendo conto dell'adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza. Sulla base di tutte queste argomentazioni, le Sezioni Unite negano che la sentenza del Consiglio di Stato Sez. V, n. 5156 del 2018 (secondo cui la scelta alimentare costituisce oggetto di una naturale facoltà dell'individuo - afferente alla sua libertà personale - che si esplica anche nelle scuole e a prescindere dalle determinazioni delle autorità scolastiche) possa considerarsi ricognitiva di un diritto soggettivo perfetto o incondizionato, suscettibile in quanto tale di accertamento in giudizio e di ottemperanza ad istanza degli interessati. Osservazioni
La sentenza in commento esamina, in un'articolata motivazione, diversi aspetti del complesso rapporto esistente tra istituzioni scolastiche e famiglie, affrontando temi quali il diritto di istruzione, il principio di gratuità della scuola primaria, la relazione tra il principio di autonomia scolastica e i diritti degli alunni. Si tratta di un rapporto che negli ultimi decenni ha vissuto un profondo mutamento e il coinvolgimento sempre maggiore delle famiglie nella formulazione di proposte, nelle scelte di talune attività formative e in altri aspetti che riguardano i percorsi educativi. Tuttavia, le Sezioni Unite non riconoscono ai genitori il preteso diritto perfetto e incondizionato a far consumare ai propri figli il pasto domestico a scuola nei locali scolastici durante l'orario di mensa. Tale diritto non è riconosciuto espressamente dall'ordinamento e non può essere neanche desunto quale espressione di diritti costituzionalmente rilevanti, quali il diritto all'istruzione, all'educazione dei figli e all'autodeterminazione individuale. Le Sezioni Unite riconoscono un importante ruolo educativo e formativo al momento della mensa, ma solo nella misura in cui esso si esplichi nella consumazione del pasto in “comunità” e condividendo i cibi forniti dalla scuola. Solo tali modalità giustificano l'appartenenza del tempo mensa al tempo scuola. Al contrario, la c.d. autorefezione non condivide le finalità educative del progetto formativo scolastico di educazione all'alimentazione sana e di socializzazione. Il preteso diritto all'autorefezione non è neanche espressione di un'inviolabile libertà personale, inteso come “libertà da”, in quanto postula in realtà non già l'astensione del terzo (istituzione scolastica), ma la sua attivazione. La Corte afferma che il riconoscimento del diritto azionato determinerebbe una impropria ingerenza dei privati nella gestione del servizio e ricorda che l'istituzione scolastica non è un luogo in cui si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni, né il rapporto con l'utenza è connotato in termini meramente negoziali. Alle famiglie è, tuttavia, riconosciuto il diritto di partecipare al procedimento amministrativo per influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all'autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi di buon andamento dell'amministrazione pubblica. Il procedimento amministrativo è la sede nella quale effettuare le opportune valutazioni e ricercare il più corretto bilanciamento degli interessi individuali di coloro che chiedono di consumare il cibo portato da casa con gli interessi pubblici potenzialmente confliggenti, tenuto conto delle risorse a disposizione dell'amministrazione. |