Istanza di fallimento ed insolvenza prospettica: ovvero le regole della crisi prima che entri in vigore la disciplina dell'allerta

18 Ottobre 2019

Una nota vicenda che vede contrapposti alcuni Fondi di investimento stranieri, portatori di obbligazioni, alla società emittente, una nota Compagnia di navigazione italiana, giunge ad un singolare sbocco “procedimentale”, su iniziativa dei Fondi.Questi, con grande anticipo sulla scadenza del prestito obbligazionario, infatti, prospettano...

Una nota vicenda che vede contrapposti alcuni Fondi di investimento stranieri, portatori di obbligazioni, alla società emittente, una nota Compagnia di navigazione italiana, giunge ad un singolare sbocco “procedimentale”, su iniziativa dei Fondi.

Questi, con grande anticipo sulla scadenza del prestito obbligazionario, infatti, prospettano (anche alla stregua di una serie di operazioni straordinarie di recente poste in essere dalla emittente) una prossima insolvenza di essa e ne chiedono la dichiarazione di fallimento: nel contempo, all'interno dell'istruttoria prefallimentare, richiedono, ai sensi dell'art. 15, comma 8, l. fall., l'adozione di provvedimenti cautelari particolarmente incisivi, diretti a conseguire la “sostituzione o inertizzazione degli amministratori della società per quanto riguarda le scelte imprenditoriali in genere e segnatamente le attività di esecuzione della compravendita di navi ed utilizzo dei ricavi promananti dalla stessa” (tutte le citazioni sono tratte dalla motivazione del provvedimento in commento).

Il Tribunale di Milano, nel rigettare entrambe le richieste (sia quella di dichiarazione di fallimento sia quella cautelare), coglie l'occasione per formulare una riflessione sul concetto di crisi e sul concetto di insolvenza prospettica, non mancando di sottolineare quali sarebbero le condotte da assumersi nella ricorrenza della fattispecie.

Prima di esaminare il nucleo centrale della riflessione suddetta, vanno formulate alcune considerazioni preliminari.

Come emerge anche dalla motivazione del provvedimento in commento, gli atti ed i documenti scambiati tra le parti nel procedimento di istruttoria prefallimentare risultavano di gran mole: chi scrive ha conoscenza soltanto del provvedimento del Tribunale e, dunque, una conoscenza assai limitata della vicenda. Dal che può scaturirne (anzi, inesorabilmente, ne consegue) una superficialità nelle valutazioni e nelle considerazioni di sintesi.

Anche per questo ci si soffermerà essenzialmente, se non esclusivamente sulle riflessioni di ordine giuridico generale che scaturiscono dalla lettura del provvedimento.

La prima considerazione è che - soprattutto in un contesto normativo in cui il Codice della Crisi e dell'Insolvenza non è ancora in vigore -, allo stato attuale della legislazione vigente, non pare vi siano spazi per attribuire rilevanza, in un procedimento di istruttoria prefallimentare, alla insolvenza prospettica: la legge fallimentare riconosce rilievo, ai fini della dichiarazione di fallimento, esclusivamente allo stato di insolvenza, che, per definizione, si connota di irreversibilità senza che se ne renda possibile un esame in funzione prospettica.

Di tanto sembrano essere state ben consapevoli tutte le parti del procedimento, tanto che il Tribunale non manca di sottolineare - per averlo evidentemente rilevato in corso di istruttoria - che l'istanza in questione paresse avere una finalità di pressione indiretta, quasi necessitata anche dall'impossibilità per i Fondi creditori di attivare il procedimento ex art. 2409 c.c., nella loro qualità di meri creditori e non di soci della società emittente; da qui, forse, potrebbe intuirsi che lo scopo effettivo dei Fondi istanti fosse, più che l'improbabile dichiarazione di fallimento di una società “non ancora insolvente” (tale deve ritenersi una società che potrebbe divenirlo solo “in prospettiva futura”), la finalità di conseguire un provvedimento cautelare che neutralizzasse l'operatività degli amministratori in carica.

Se così fosse, la scelta procedimentale però parrebbe in radice impropria, nella misura in cui le misure cautelari di cui all'art. 15, l. fall. hanno senso e possibilità di accoglimento solo in funzione di una istanza di fallimento fondata: e forse, allo stato attuale della legislazione, la sede più propria per un confronto processuale sarebbe stata quella civile/societaria e non quella fallimentare/concorsuale.

Con tutto quanto ne consegue in termini di pertinenza delle valutazioni conseguite all'esito del procedimento.

Quanto precede induce allora ad analizzare le (importanti) valutazioni espresse dal Tribunale di Milano, nella motivazione cui ha affidato il rigetto dell'istanza in questione, più su un piano astratto che su quello della questione concretamente sottoposta al suo esame.

Stante l'irrilevanza, in questa sede, delle questioni concernenti la legittimazione attiva dei fondi ricorrenti a richiedere la dichiarazione di fallimento della società emittente, il cuore del provvedimento è rappresentato certamente dalle tematiche in materia di crisi, di insolvenza e di prospettiva di insolvenza.

Questi i passaggi essenziali (estremamente schematizzati) su cui si fonda l'iter logico-giuridico seguito dal Giudice per giungere al rigetto dell'istanza:

  • come riconosciuto anche dal Pubblico ministero intervenuto, la società emittente non presenta segni esteriori di insolvenza: è in regola con le obbligazioni pendenti nei confronti dell'Erario, non risulta inadempiente con banche e con fornitori, non risulta avere subito iniziative esecutive o monitorie ed eroga regolarmente i propri servizi. Icasticamente, sempre secondo le parole del Tribunale, “non risulta incapace, allo stato, di far fronte alle obbligazioni scadute”;
  • gli stessi Fondi ricorrenti fanno riferimento ad una situazione di insolvenza prospettica che dovrebbe venire a determinarsi in un arco di tempo inferiore all'anno;
  • la situazione che giustifica la dichiarazione di fallimento è solo quella di insolvenza irreversibile;
  • ciò non di meno, anche in ambito comunitario, è emersa sempre più impellente l'esigenza e la rilevanza concreta di valutazioni prognostiche, in modo da far sì che la disciplina dell'insolvenza non sia soltanto un rimedio postumo, quando ormai l'irreversibilità della crisi è conclamata: tanto, “allo scopo di ridurre al minimo l'impatto della stessa ed il pregiudizio delle ragioni creditorie”;
  • in questa ottica assumono rilevanza i concetti di crisi e di insolvenza prospettica e, dunque, la necessità di definirli;
  • in particolare, l'insolvenza prospettica è nozione acquisita nel Codice della Crisi di prossima entrata in vigore: essa si fonda su una valutazione prognostica di breve termine (sei mesi) e non giustifica la dichiarazione di fallimento, bensì soltanto l'attivazione delle procedure di allerta;
  • gli elementi acquisiti al procedimento non consentirebbero neppure di ritenere con certezza che si versi in una fattispecie di insolvenza prospettica, nella misura in cui gli eventi societari prospettati dalle parti presentano sotto diversi aspetti profili di incertezza, anche in senso positivo, che potrebbero consentire alla società il definitivo superamento della crisi di qui a sei mesi;
  • nel contempo, molteplici elementi sono segnali di una situazione critica, che, ove non affrontata tempestivamente, potrebbe evolvere in forma irreversibile, sì che la società “avrebbe necessità di monitoraggio e di ricorrere a strumenti di superamento di una crisi che in prospettiva ha caratteristiche importanti e che potrebbero divenire molto gravi”;
  • di fronte all'impossibilità per i Fondi ricorrenti di attivare un procedimento ex art. 2409 c.c. ovvero un'azione di responsabilità ex art. 2394 c.c., essi paiono avere inteso “incentivare l'apertura di una procedura minore, che con la sua disclosure e sottoposizione a controllo dell'attività amministrativa, ovviamente indurrebbe la fiducia degli investitori e li rassicurerebbe sulla sorte dell'attività sociale”: il tutto, in una situazione in cui non è prevista oggi e non sarà possibile domani (salva solo la disciplina dell'allerta) l'attivazione di procedure minori su iniziativa di soggetti diversi dal debitore;
  • il tutto, comunque, avrebbe prodotto il risultato utile di responsabilizzare maggiormente la società ed i suoi organi, primo tra tutti il collegio sindacale, sulla situazione che la società vive.

Il provvedimento in esame sollecita alcuni spunti di riflessione potenzialmente di grande interesse concreto, oltre che dogmatico.

Ineccepibili appaiono i rilievi definitori sui concetti di crisi, di insolvenza e di insolvenza prospettica, così come ineccepibile appare la decisione finale di rigetto dell'istanza.

Qualche perplessità forse lascia lo sviluppo della motivazione, soprattutto di fronte alla perfetta comprensione, da parte del Tribunale, della finalità indiretta (e sotto certi profili forse surrettizia) che ispirava il ricorso proposto.

La questione ripropone l'annoso tema del rapporto tra ratio decidendi e obiter dictum: se si fosse soffermato soltanto a valutare e decidere la questione concretamente sottoposta al suo esame, infatti, il Tribunale avrebbe ben potuto limitarsi a valutare e chiarire se lo stato denunciato dai ricorrenti fosse o meno di insolvenza e, una volta accertata l'insussistenza attuale dello stato di insolvenza e ribadita l'irrilevanza dello stato di insolvenza prospettica ai fini della declaratoria di fallimento, rigettare l'istanza.

L'aver colto invece l'opportunità di una articolata riflessione (certamente utile sotto il profilo scientifico) su quel che sia lo stato attuale delle cose, lo ha indotto a segnare una strada quasi obbligata per il soggetto destinatario dell'istanza di fallimento ed a suggerire un percorso “procedimentale” quasi inevitabile.

Questo proprio era proprio lo scopo che (ad avviso dello stesso Tribunale) l'istanza di fallimento ritenuta infondata mirava a conseguire.

Il che sembra suggerire l'apertura possibile di una nuova stagione: quella in cui, pur in presenza di una crisi e non di una insolvenza, un creditore “forzi” la mano presentando un'istanza di fallimento verso il debitore, con l'auspicio che il giudice, pur rigettando l'istanza, finisca per “suggerire” caldamente al debitore di aprire un percorso di risanamento, provvedendo a sottolineare tutte le responsabilità cui, in caso contrario, andrebbe incontro.

È un tema che merita di essere ben meditato.