Alla Consulta il divieto di “scambio” di oggetti nel medesimo gruppo di socialità tra detenuti al 41-bis ord. pen.
28 Ottobre 2019
Con ordinanza n. 43436/2019, la Prima Sezione della Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f) ord. pen., in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui prevede che siano adottate tutte le necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di scambiare oggetti per i detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialità. Il ricorso trae origine dal caso di un detenuto, ristretto presso la Casa di Reclusione di Spoleto in regime di cui all'art. 41-bisord. pen., il quale aveva sottoposto reclamo, ex art. 35-bisord. pen., al Magistrato di sorveglianza di Spoleto per chiedere la disapplicazione dell'ordine di servizio del 15 marzo 2015, con cui la Direzione dell'istituto imponeva il divieto di scambio di oggetti di qualunque genere, quand'anche realizzato tra detenuti appartenenti al medesimo “gruppo di socialità” (in linea con la modifica apportata alla lett. f), n. 3 dell'art. 41-bis, comma 2-quater ord. pen., dalla novella legislativa del 2009). Avverso la decisione di inammissibilità, il Tribunale di sorveglianza di Perugia aveva, al contrario, ritenuto ammissibile e accolto il reclamo, affermando che la materia dello scambio di oggetti (e di generi alimentari in particolare, provenienti dai pacchi famiglia, dal sopravitto, dal cibo somministrato dalla stessa Amministrazione penitenziaria), riceve tutela in base al combinato disposto degli articoli 35-bis e 69, comma6, lett. b) ord. pen., essendo configurabile, quale estrinsecazione del più generale principio ex art. 1 ord. pen. sul trattamento rieducativo, il diritto soggettivo del detenuto a fruire di momenti di socialità tra persone ristrette. Diritto che deve essere riconosciuto anche ai detenuti sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bisord. pen., i quali, infatti, possono condividere la cd. “socialità” all'interno del relativo “gruppo”, quest'ultimo previsto dalla stessa lett. f) del comma 2-quater del medesimo articolo, oltre che dall'art. 3.1. della circolare DAP in data 2 ottobre 2017. In punto di merito, secondo il Collegio, inoltre, essendo lo scambio di oggetti comunque limitato, in base alla previsione generale dell'art. 15 reg. esec. ord. pen. a quelli di “modico valore”, con conseguente impossibilità di configurare alcuna “posizione di supremazia” tra i detenuti, il divieto assoluto di scambio tra soggetti del medesimo gruppo di socialità non può essere giustificato da ragioni di sicurezza, non rilevandosi alcuna congruità tra lo stesso e il fine perseguito dal regime differenziato, costituito dalla necessità di recidere i collegamenti tra il detenuto e l'associazione criminale di appartenenza. Avverso tale decisione, il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione, e, a fronte della requisitoria della Procura Generale diretta ad ottenere il rigetto, la Prima Sezione ha inteso ritenere d'ufficio la questione non manifestamente infondata e di rilevante interesse costituzionale, in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 27 Cost., atteso che anche tale divieto rischierebbe di esondare dalla ratio del regime differenziato: secondo pacifica giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, «non possono disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento. Mancando tale congruità, infatti, le misure in questione non risponderebbero più al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate deroghe all'ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale» (così, cfr. Corte cost., n. 351/1996; Corte cost., 376/1997; Corte cost., 143/2013; Corte cost., n. 186/2018). |