Fondo patrimoniale: lecita la clausola dell'atto costitutivo che esclude l'autorizzazione del G.t. per gli atti di straordinaria amministrazione
04 Novembre 2019
Massima
Con riferimento agli atti di straordinaria amministrazione che abbiano a oggetto beni vincolati nel fondo patrimoniale, quali ad esemplo vendita o concessione in ipoteca, il figlio di coniugi che hanno costituito il fondo patrimoniale è legittimato ad agire in giudizio per contestarli, qualora ne abbia le ragioni. Inoltre, è legittima la clausola dell'atto istitutivo del fondo patrimoniale che, in presenza di figli minori, esclude l'autorizzazione del giudice tutelare per il loro compimento. Il caso
I coniugi Tizio e Caia costituivano un fondo patrimoniale, destinandovi l'immobile adibito a casa familiare e l'immobile adibito a studio professionale. Nell'atto di costituzione del fondo veniva inserita la clausola secondo la quale era espressamente convenuto che i beni costituiti in fondo patrimoniale potevano «essere alienati, ipotecati e dati in pegno o comunque vincolati con il solo consenso di entrambi i coniugi, senza necessità di alcuna autorizzazione giudiziale». Dopo alcuni anni, i coniugi stipulavano un contratto di mutuo con concessione di garanzia ipotecaria sui beni immobili vincolati, senza richiedere l'autorizzazione del Giudice Tutelare, in forza della clausola contenuta nell'atto costitutivo del fondo. Successivamente, i coniugi stipulavano un nuovo contratto di mutuo destinato ad assorbire il precedente finanziamento, anch'esso garantito con la concessione di garanzia ipotecaria sui medesimi beni, sempre senza richiedere autorizzazione del Giudice Tutelare. Con atto di citazione il figlio minorenne Sempronio, rappresentato dai genitori Tizio e Caia, conveniva in giudizio la Banca per far accertare l'invalidità della clausola contenuta nell'atto costituivo del fondo patrimoniale, nella parte in cui escludeva che il compimento di atti di disposizione dei beni del fondo fosse subordinato alla preventiva autorizzazione del Giudice Tutelare, in presenza di beneficiario minore di età e, quindi, per far accertare l'invalidità della garanzia ipotecaria rilasciata senza previa autorizzazione giudiziale. In primo grado la domanda era dichiarata inammissibile perché formulata direttamente contro la Banca, mentre, secondo il Tribunale, avrebbe dovuto essere proposta nei confronti dei genitori, previa autorizzazione del Giudice Tutelare e nomina di un curatore speciale. La Corte di appello ha confermato la prima decisione con diversa motivazione. In primis ha affermato che i figli minori sono legittimati a dedurre l'invalidità degli atti di disposizione del fondo patrimoniale, in quanto titolari di una posizione giuridicamente tutelata attesa la configurabilità di uno specifico interesse degli stessi ad interloquire sulle operazioni effettuate dai titolari del diritto di proprietà dei beni costituiti nel fondo patrimoniale in ragione delle possibili conseguenze degli stessi sulla consistenza del patrimonio istituzionalmente destinato esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, senza che ciò sia inciso dalla facoltà espressamente riconosciuta ai coniugi dal legislatore di derogare convenzionalmente al previsto divieto di alienazione dei beni del fondo, stabilito in via generale dall'art.169, comma 1, c.c. Ha quindi ravvisato tale legittimazione ad agire in capo a Sempronio riconoscendola nei confronti della Banca, in relazione alla domanda principale volta ad ottenere la dichiarazione di invalidità dell'atto costitutivo dell'ipoteca, ritenendo che la valutazione della legittimità della clausola di esonero dalla necessità di previa autorizzazione giudiziale, introdotta dai genitori nell'atto di costituzione del fondo, costituiva oggetto di un esame incidentale. Passando, quindi, all'esame della clausola derogatoria dell'autorizzazione giudiziale in questione, ne ha ravvisato la legittimità, sulla base dell'interpretazione dell'art. 169, comma 1, c.c. Sul punto ha affermato che l'espressa previsione normativa non può certo leggersi in forma dicotomica, per cui la deroga all'autorizzazione può valere solo per evitare la necessità di ottenere il consenso di entrambi i coniugi la fine di rendere validi gli atti di disposizione del fondo, ma non per rendere possibili gli atti di disposizione posti in essere in presenza di figli minori e ne ha tratto la conclusione che il legislatore ha riservato alla volontà dei costituenti la facoltà di limitare il potere dispositivo sui beni del fondo. Tizio, Caia e Sempronio propongono ricorso per Cassazione. La Banca replica con controricorso e ricorso incidentale condizionato. La questione
È legittima la clausola inserita nell'atto istitutivo del fondo patrimoniale che, in presenza di figli minori, esclude l'autorizzazione del giudice tutelare per il compimento di atti di straordinaria amministrazione dei beni vincolati? Le soluzioni giuridiche
La costituzione del fondo patrimoniale (art. 167 c.c.) è funzionale a far fronte ai bisogni della famiglia, intesi come esigenze di vita dei suoi componenti considerate anche con una certa ampiezza, ricomprendendo in esse, oltre alle esigenze primarie attinenti alla vita della famiglia (mantenimento, abitazione, educazione della prole e dei componenti il nucleo, cure mediche, ecc.), in conformità con il potere di indirizzo della vita familiare in capo ai coniugi, anche i bisogni relativi allo sviluppo stesso della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa. La norma non si riferisce alla cosiddetta famiglia parentale bensì alla famiglia nucleare: in essa sono compresi i figli minori e maggiorenni ancora a carico dei genitori e non autonomi patrimonialmente, nonché, secondo la dottrina, gli affiliati ed i minori in affidamento temporaneo. Dunque, la Cassazione puntualizza che la ragione ispiratrice dell'istituto è individuabile nell'obiettivo di assicurare un sostegno patrimoniale alla famiglia e di realizzare una situazione di vantaggio per tutti i suoi diversi componenti. La presenza di figli minori incide sulla disciplina del fondo patrimoniale in maniera significativa con la previsione di una serie di misure di sostegno in favore di coloro che sono da considerarsi i componenti più deboli. In primo luogo, in loro presenza il potere di disposizione da parte dei coniugi viene fortemente limitato, stabilendosi che se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente. In secondo luogo, il legislatore ha previsto un rafforzamento del vincolo di destinazione per cui se vi sono figli minori la destinazione del fondo non termina a seguito dell'annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio ma dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l'amministrazione del fondo. Inoltre, considerate le condizioni economiche dei genitori e dei figli e ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo (art. 171 c.c.). Con la sentenza in commento, la Suprema Corte afferma il principio secondo cui l'istituzione del fondo patrimoniale determina un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia (e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli minori). Il citato vincolo, dunque, diventa di «interesse» anche dei componenti «deboli» della famiglia, quali appunto i figli. Conseguentemente, va ravvisata in capo ai figli minori una posizione giuridicamente tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo. Da ciò consegue che il figlio è anche legittimato ad agire in giudizio per far valere un proprio interesse in relazione agli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, atteso che per i componenti del nucleo familiare non è certamente irrilevante la consistenza del patrimonio vincolato al soddisfacimento dei relativi bisogni. Ciò vale - precisa la Cassazione - anche per il figlio maggiorenne: il fatto che il figlio abbia raggiunto la maggiore età non impedisce che possa continuare ad essere beneficiato dal fondo patrimoniale ancora in essere, a maggior ragione se non sia emerso alcun elemento da cui desumere che lo stesso sia economicamente autosufficiente ed autonomo rispetto alla famiglia di origine. La Cassazione afferma dunque il principio secondo il quale «I figli, quali beneficiari del fondo patrimoniale, sono legittimati ad agire in giudizio in relazione agli atti dispositivi eccedenti l'ordinaria amministrazione che incidano sulla destinazione dei beni del fondo». I giudici di legittimità passano dunque all'esame del ricorso principale, nel quale si sostiene la nullità della clausola dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale che consente di omettere il controllo giudiziale sugli atti di disposizione di beni del fondo pur in presenza di figli minori. La Cassazione ritiene il ricorso infondato. Infatti, la disciplina legale sancita dall'art. 169 c.c. si rende applicabile solo in mancanza di deroga prevista nell'atto di costituzione del fondo patrimoniale. Dunque – concludono gli Ermellini – in presenza di figli minori l'autorizzazione del giudice per alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare i beni è necessaria solo nel caso in cui l'atto costitutivo del fondo non la esclude espressamente. Osservazioni
La Cassazione nella pronuncia in commento enuncia due principi: a) i figli possono contestare gli atti di straordinaria ordinaria amministrazione relativi ai beni del fondo; b) è valida la clausola dell'atto costitutivo del fondo che esclude la necessità dell'autorizzazione giudiziale per ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare i beni del fondo patrimoniale anche in presenza di figli minori. Quanto al punto a), la Cassazione ribadisce il principio già enunciato in una nota pronuncia (Cass. civ. 8 agosto 2014, n. 17811), secondo cui la costituzione di un fondo patrimoniale determina un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli minori. Non sembra dunque contestabile l'astratta configurabilità di uno specifico interesse di questi ultimi ad interloquire sulle opzioni operative effettuate dai titolari del diritto di proprietà dei beni facenti parte del fondo, atteso che per i componenti del nucleo familiare non è certamente irrilevante la consistenza del patrimonio istituzionalmente destinato all'esclusivo soddisfacimento dei relativi bisogni. Non incide sulla detta conclusione né la natura gratuita del conferimento né la facoltà, espressamente riconosciuta ai coniugi dal legislatore, di derogare convenzionalmente alla previsione del divieto di alienazione dei beni del fondo, disposta in via generale (art. 169, comma 1, c.c.). Alla luce delle esposte considerazioni, dunque, va ravvisata in capo ai figli minori una posizione giuridicamente tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo. La Cass. civ. 8 agosto 2014, n. 17811 si spinge anche oltre laddove afferma che, poiché il nostro ordinamento riconosce espressamente al concepito la possibilità di divenire titolare di diritti (art. 1, comma 2, c.c.), deve essere riconosciuta anche al nascituro la legittimazione sostanziale in relazione ad atti di disposizione del fondo. In merito a tale ultima asserzione, la dottrina si è espressa in senso critico, evidenziando che «ai sensi dell'art. 1, comma 1, c.c., la capacità giuridica si acquista con la nascita; nonostante questo, altre norme attribuiscono al concepito alcuni diritti patrimoniali, i quali, però, sono subordinati all'evento della nascita, come stabilito dal citato art. 1, comma 2. Per questa ragione, è ampiamente discusso se il concepito sia provvisto di capacità giuridica, sia pure speciale o condizionata, ovvero di una qualche forma di soggettività. Ad ogni modo, anche volendo risolvere il quesito in senso affermativo, la sentenza in commento ha il torto di compiere un'eccessiva generalizzazione, poiché, oltre a riconoscere la soggettività del concepito, essa vi ha ravvisato, anziché un attributo speciale e parziale, una qualità di carattere generale, sussistente pure al di fuori dei confini tracciati dal legislatore, come, appunto, in materia di fondo patrimoniale, dove la legge non prevede espressamente, a vantaggio della prole ventura, l'attribuzione e la conservazione di diritti patrimoniali in attesa della nascita. Se è vero, infatti, che l'elaborazione recente mostra la tendenza ad ampliare la tutela del concepito, questa tendenza si riferisce ai diritti inviolabili della persona, come quello alla vita, e si fonda su specifici dati normativi, come quelli contenuti nella l. 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita). Sarebbe, quindi, azzardato sostenere che, per assecondare le direttive emerse nell'ordinamento, tale tutela debba abbracciare anche le situazioni giuridiche di ordine patrimoniale, soprattutto in mancanza di sicure basi legislative in tal senso e con conseguente equiparazione, sotto ogni profilo, del concepito al soggetto già nato» (L. Ballerini). In sostanza, continua l'Autore, «poiché il concepito non ha bisogni attuali, come quelli legati al mantenimento della prole esistente, o un tenore di vita parametrato a quello della famiglia, questa impostazione mal si concilia con le ragioni solitamente ravvisate a fondamento delle norme che tutelano l'interesse dei figli minori alla conservazione del patrimonio separato, costituite dalla necessità di garantire il duraturo rispetto di tale tenore. Né vale obiettare che l'attesa di un figlio comporta, di per sé, un bisogno della famiglia da soddisfare con le utilità ritraibili dal fondo: trattandosi, infatti, di un'esigenza riferibile ai coniugi e non al concepito in quanto tale, i primi sono liberi di farvi fronte nel modo ritenuto più opportuno» (L. Ballerini). Nella sentenza in commento si precisa – ed è questo a nostro avviso l'elemento di novità più interessante - ciò vale anche per i figli maggiorenni: il fatto che i figli abbiano raggiunto la maggiore età non impedisce infatti che possano continuare ad essere beneficiati dal fondo patrimoniale ancora in essere, laddove essi siano ancora a carico dei genitori e non economicamente autosufficienti. La Cassazione riconosce dunque oggi ai figli un generale diritto di opposizione in merito agli atti di disposizione relativi ai beni vincolati in fondo patrimoniale. In passato la giurisprudenza si è occupata del problema della tutela dei figli (minori) esclusivamente in relazione all'ipotesi di scioglimento consensuale del fondo, con orientamenti difformi. Infatti, secondo alcune pronunce, è ammissibile la cessazione volontaria del fondo patrimoniale per mutuo consenso dei coniugi pur in presenza di figli minorenni, senza necessità di autorizzazione da parte della autorità giudiziaria. L'autorizzazione è richiesta dall'articolo 169 c.c. soltanto per la alienazione dei beni facenti parte del fondo nei soli casi di necessità o utilità evidente; alla revocabilità per mutuo consenso del fondo patrimoniale non può porsi un controllo giudiziario non previsto da alcuna norma di legge, del quale mancherebbero i parametri di valutazione e che si porrebbe in contrasto con l'esigenza di salvaguardia della autonomia privata dei coniugi/genitori (Trib. Roma 9 marzo 2016; Trib. Milano 6 marzo 2013; Trib. Padova 5 maggio 2006; Trib. min. Venezia 7 febbraio 2001). Secondo un diverso orientamento, la convenzione di scioglimento del fondo patrimoniale in presenza di figli minori deve essere autorizzata dal giudice (Cass. civ., 18 luglio 2013, n. 17621; Trib. min. Venezia 17 novembre 1997). Quanto al punto b), la Cassazione con la pronuncia in commento aderisce all'orientamento prevalente della giurisprudenza secondo cui in materia di fondo patrimoniale, la clausola contenuta nell'atto costitutivo alla cui stregua i coniugi convengono che i beni appartenenti al fondo stesso potranno essere alienati, ipotecati o comunque vincolati sulla base del loro mero consenso, pur in presenza di figli minori, rende superflua ogni autorizzazione giudiziale (Trib. Milano 29 aprile 2010. In senso conforme Trib. Verona 30 maggio 2000; Trib. Brindisi 12 marzo 2001; Trib. Milano 17 gennaio 2006; Trib. Brescia 9 giugno 2006; Trib. Pisa 9 novembre 2005). In altri termini, dall'esame della disposizione contenuta nell'art. 169 c.c., interpretata ai sensi dell'art. 12 preleggi, risulta che l'autorizzazione per alienare beni facenti parte del fondo patrimoniale è prevista solo nel caso in cui nell'atto costitutivo non sia espressamente consentita l'alienabilità dei beni e, per di più, vi siano figli minori, da ciò ricavandosi che se nell'atto costitutivo è consentita l'alienabilità, viene meno uno dei due presupposti previsti perché sia necessaria l'autorizzazione del Tribunale (Trib. Lodi, 6 marzo 2009). In senso analogo il Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie ha autorevolmente affermato nei propri Orientamenti Civilistici che «si ritiene possibile prevedere nell'atto costitutivo del fondo (ma anche in un atto modificativo della disciplina dello stesso) la facoltà dei coniugi di alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare i beni del fondo senza necessità di autorizzazione giudiziale ai sensi dell'art. 169 c.c., in presenza di figli minori. (…) La regola generale in presenza di figli minori è quella dell'alienazione con il consenso congiunto dei coniugi, previa autorizzazione del Tribunale, nei soli casi di necessità ed utilità evidente. L'orientamento della dottrina maggioritaria e di gran parte della giurisprudenza è per la piena derogabilità della norma, nel senso della legittimità della clausola che preveda la possibilità di disporre dei beni costituiti in fondo patrimoniale, in presenza di figli minori, senza necessità di autorizzazione giudiziale. Detta possibilità si ricava da: - una puntuale esegesi della struttura della norma stessa: - dal fatto che la deroga all'intervento dell'autorità giudiziaria non è eccezionale ma è prevista anche in altre ipotesi, quali, ad esempio, quelle di cui all'art. 356 comma 2, c.c. in materia di curatore speciale, nonché in materia di esecutore testamentario, che potrebbe essere dispensato dalle autorizzazioni ex artt. 703 c.c. e 747 c.p.c.; e - dai principi generali in materia di autonomia privata. Con detta deroga, infatti, viene ripristinato il principio generale secondo il quale i genitori sono liberi di decidere ciò che essi ritengono il meglio per la realizzazione dei bisogni della famiglia. Il legislatore affida, infatti, ai coniugi il potere di autoregolamentarsi sulla base dell'accordo. Il nostro ordinamento non impone, in linea generale, un controllo giudiziario sugli atti compiuti da genitori aventi ad oggetto i beni personali o comuni, anche se gli stessi possono avere effetti dirompenti sulla situazione economica della famiglia». Tuttavia - precisano i Notai del Triveneto - «la deroga alla necessità dell'autorizzazione giudiziale non implica l'instaurarsi di un regime di libera commerciabilità per i beni costituiti in fondo: gli atti di disposizione, in ogni caso, possono essere compiuti dai coniugi nei soli casi di necessità o utilità evidente». La mancanza di un controllo preventivo lascia, pertanto, impregiudicato il dovere dei coniugi di compiere atti non contrastanti con l'interesse dei figli, pena l'applicabilità delle sanzioni previste in caso di cattiva amministrazione. I figli, infatti, con i mezzi di rappresentanza in conflitto con i genitori, potrebbero impugnare l'atto fino a far sostituire i genitori nell'amministrazione. Si ribadisce, pertanto, che a seguito della deroga, l'individuazione dei bisogni della famiglia spetta esclusivamente ai coniugi, senza che il Notaio abbia alcun potere di controllo sulla valutazione degli stessi. In questo caso non si fa altro che ripristinare il principio generale, costituzionalmente garantito, dell'autonomia della famiglia, in linea generale immune da ogni forma di ingerenza o controllo esterno, ritenendosi il controllo del giudice circoscritto ad ipotesi eccezionali e patologiche». Risultano così superabili le perplessità manifestate da parte della dottrina secondo cui «sembra preferibile concordare con quanti affermano il carattere inderogabile della necessaria autorizzazione del tribunale, poiché appare quantomeno insolito che il ricorso all'autorità giudiziaria posto a tutela di interessi preminenti e costituzionalmente tutelati quali quelli facenti capo ai minori e al nucleo familiare nel suo complesso, possa essere escluso in via convenzionale dai coniugi» (M. Baldini). Non va sottaciuto che la stessa giurisprudenza favorevole alla clausola di esclusione dell'autorizzazione del tribunale, sembra talvolta nutrire qualche incertezza che viene stemperata con la precisazione che a seguito della alienazione del bene il controvalore è automaticamente destinato a fondo patrimoniale (Trib. Milano 23 febbraio 2000). L.Ballerini, Autonomia dei coniugi e limiti allo scioglimento consensuale del fondo patrimoniale, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2015, 33-34. M. Baldini, Alienazione dei beni del fondo patrimoniale e autorizzazione del giudice. Considerazioni sull'art. 169 c.c., in Famiglia e diritto, 2011, 58-59. |