Le responsabilità dei genitori nell’epoca degli individualismi

Maria Grazia Domanico
05 Novembre 2019

Gli impetuosi cambiamenti sociali hanno portato alla ridefinizione del concetto di famiglia, passata da una visione monistica a una “plurale” e conseguentemente hanno rimodellato i ruoli che i genitori rivestono anche e soprattutto nel momento della rottura della coppia. Dopo un approfondito excursus sui mutamenti normativi, viene affronto, in maniera interdisciplinare, il delicato tema delle responsabilità genitoriali, come trasformatesi nel tempo e si interroga sul differente ruolo che gli avvocati, magistrati operatori psico-sociali sono chiamati a rivestire oggi per dare una risposta concreta alle difficoltà derivanti dai nuovi modelli di famiglia e dai diversi rapporti che si intrecciano all'interno di esse.
Il best interest of the child

Le norme che regolano il diritto di famiglia e minorile tessono la tela dei diritti e dei doverireciproci, il cui delicato bilanciamento, nei casi di conflitti, è demandato al giudice. C'è un faro per orientarsi: the best interest of the child, ovvero il migliore, superiore o preminente interesse del minore, che trova il suo fondamento normativo primigenio nell'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e nell'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989. Si tratta di una clausola generale che deve sempre essere tenuta in considerazione per dare attuazione ai diritti del minore. Ma il riferimento a tale clausola «…richiede che il giudice tenga conto non di un concetto astratto, riferito ai minori come categoria, ma del concreto interesse di quel bambino, inteso come persona, della unicità ed irripetibilità della sua vicenda esistenziale, del contesto personale, familiare, sociale ed economico in cui egli vive, ed in considerazione di ciò prenda la decisione che per lui, in quel momento e in quell'ambiente, meglio promuova i suoi diritti».(cosìFerrando G.).

* Il presente lavoro è frutto di una rielaborazione del contributo già apparso su MinoriGiustizia n. 4/2016, p. 27 e seg., Franco Angeli

Dalla “famiglia” alle famiglie

I mutamenti dei modelli di famiglia si rispecchiano nelle norme e nel lessico utilizzato dal legislatore, anche se questo è un settore in cui il diritto fatica a regolamentare la varietà e complessità delle relazioni umane e dove le norme appaiono sovente inadeguate per una società in continua evoluzione e che esige invece cambiamenti rapidi dei riferimenti normativi e giurisprudenziali.

Abbandonata tardivamente la patria potestà, altrettanto tardivamente è stata infine abbandonata lapotestà genitoriale. Si è passati dunque da un tipo di famiglia - delineata dal codice del 1942 - incentrata sulla figura autoritaria del capo-famiglia, che esercitava la patria potestàsui figli, ad una famiglia dove tutti i suoi membri hanno pari dignità e riconoscimento e dove la potestàveniva esercitata da entrambi i genitori - nuovo modello di famiglia che si impone con la riforma del 1975 - fino al riconoscimento via via sempre maggiore della centralità del minore e dei suoi diritti, Dopo questo lungo percorso normativo, dalla Convenzione di New York alla Carta di Nizza, dalla legge sull'affidamento condiviso (l. n. 54/2006) alla riforma della filiazione e dei rapporti genitori-figli (l. n. 219/2012 e d.lgs n.154/2013) si delinea sempre più il soggetto minore come persona dotata di autonomia, con sempre maggiori spazi di autodeterminazione, così ponendo in crisi il tradizionale concetto giuridico disoggetto incapace.

Parlare oggi, finalmente, di responsabilitàgenitoriali aiuta anche a riprendere il cammino della piena realizzazione dei diritti inviolabili sanciti dall'art. 2 Cost.: i diritti inviolabili del bambino «nella formazione sociale ove si svolge la sua personalità», cui corrisponde il dovere (e diritto) dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio, sancito dal successivo articolo 30. Alla famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio», riconosciuta dall'art. 29 Cost., si affiancano, dunque, altre formazioni sociali, già riconosciute dall'art. 2 della Carta costituzionale e oggi anche in parte regolamentate dalla l. n. 76/2016, c.d. Cirinnà.

Gli studiosi di scienze umane da tempo si interrogano su quale sia oggi il significato di famiglia e, comunque, sulla necessità di parlare di famigliecome «…espressione di scelte personali e della assunzione di responsabilità nella cura e negli affetti. Esito di vere e proprie “plastiche relazionali”, le famiglie contemporanee riflettono in primo luogo le spinte dei singoli verso forme di valorizzazione soggettiva e percorsi di vita sempre più individualizzati. L'impegno nella vita relazionale - nello stare in coppia come nell'essere genitore - è comunemente inteso da ognuno come l'esercizio di una scelta consapevole, che mira in primo luogo al completo sviluppo emotivo ed affettivo del soggetto…»(Grilli S.).

La complessità e varietà delle relazioni parentali e familiari nel mondo contemporaneo sta suscitando un rinnovato interesse di studio da parte della antropologia e sociologia, riflessioni e approfondimenti utili per il giurista e da cui, anzi, non si può prescindere se si intende utilizzare lo strumento del diritto con cautela, equilibrio e rispetto, per facilitare e non già per ostacolare la vita delle persone, anzitutto garantendo i diritti fondamentali.

La condivisa assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti dei figli minori appare dunque una impostazione concettuale maggiormente coerente con il riconoscimento delle diverse formazioni sociali che costituiscono, di fatto, famiglie.

È questo un settore in cui, per gli operatori del diritto, in particolare avvocati e magistrati, appare imprescindibile una formazione multidisciplinare, giacché la comprensione delle norme, così come il concreto operare, devono accompagnarsi alla consapevolezza che solo l'intreccio dei saperi può rendere cauto l'agire, incisiva la tutela dei diritti fondamentali della persona ed efficaci gli interventi in questo delicato settore, così pervaso anche da aspetti emotivi, sentimenti e diverse concezioni del modo di stare al mondo di ciascuno di noi.

Dalla potestà alle responsabilità genitoriali

Come si declinano, sul piano giuridico, le competenze e le capacità genitoriali? Può la legge aiutare a definire un buon genitore?

Spesso i tribunali richiedono a specialisti in scienze umane di fornire elementi di valutazione sulle competenze o capacitàgenitoriali. I quesiti che vengono posti ai consulenti tecnici di ufficio, nei giudizi di separazione, divorzio o relativi all'accertamento di un pregiudizio a danno di minori, sono sempre più articolati e la finestra temporale delle consulenze, che si affaccia in un determinato e limitato momento storico della vita di complesse relazioni intra-familiari, non può che fornire al giudice parziali fotografie. Compito dei tribunali è poi quello di formulare valutazioni prognostiche, tenuto conto anche di tutti gli elementi di fatto accertati nel caso concreto, al fine di adottare decisioni nell'interesse di quel determinato minore: la unicità del caso concreto comporta la impossibilità di standardizzare decisioni.

Una lettura sistematica della Costituzione e della normativa sovranazionale e nazionale consente di riempire di significati l'insieme dei doveri/diritti dei genitori.

Il fatto stesso che, inscindibilmente, si parli di doveri/diritti - che implicano anche interrogativi di ordine etico-morale in relazione al loro concreto contenuto - suggerisce che il punto di riferimento sia, piuttosto, quello dei diritti inviolabili del minore la cui realizzazione è consentita solo da una assunzione piena di responsabilitàda parte di chi ha il compito di proteggere e promuovere lo sviluppo della personalità del minore medesimo, nel rispetto dei suoi bisogni in relazione alle diverse tappe evolutive.

La assunzione, da parte degli adulti, di responsabilità nei confronti dei figli sollecita graduali assunzioni di responsabilità da parte di questi ultimi, fino all'età adulta, ove si raggiunge una consapevolezza piena di tutte le proprie responsabilità, che sono di varia natura, un passaggio che appare oggi faticoso perché dilatato nel tempo ben oltre la maggiore età.

Quanto più, negli anni, la famiglia si è mostrata fragile, tanto più forte si è sentita l'esigenza di una tutela incisiva dei diritti dei figli minori.

In questo nuovo assetto parlare di potestas, che evoca un potere -ancorché la sua definizione sia passata da “potestà sul figlio” a “potestà per il figlio” (così Andria P.) era divenuto anacronistico, neppure rispecchiando il mutamento intervenuto nei rapporti tra le generazioni. Poiché le parole hanno spesso anche un peso simbolico che supera il loro significato, può dirsi che per le fragili figure genitoriali l'essere titolari di potestas fosse paradossalmente divenuto un pesante fardello. La percepita fragilità del proprio ruolo di genitore sempre più spesso comporta la rinuncia ad affrontare il duro e faticoso confronto/scontro inter-generazionale con un prolungamento della propria giovinezza, rinuncia che causa, a sua volta, un ritardato ingresso dei figli nell'età adulta e, in definitiva, una mancata assunzione di responsabilità.

L'introduzione del termine responsabilitànella regolamentazione dei rapporti genitori/figli può invece aiutare a restituire forza e importanza al ruolo genitoriale e quindi a restituire anche autorevolezza, eliminando la residua ombra di qualsiasi autoritarismo che il termine potestà comunque richiamava. Liberati definitivamente dal peso della potestas, i genitori possono finalmente assumersi le loro responsabilità. Il concetto di responsabilità genitoriale riconosce anche rispetto reciproco e libertàall'interno della famiglia. La responsabilità rimette tutti al centro, anche i genitori, nel senso che li rimette fortemente in gioco non solo nel compito di cura, protezione, educazione dei figli ma anche di promozione della loro crescita armoniosa e quindi di garanzia delle loro libertà personali.

Ruota dunque l'asse dei rapporti di potere tra generazioni ma ruota anche il rapporto di genere; se «l'etica femminile della cura valorizza la responsabilità ma a senso unico….l'etica della responsabilità è invece reciproca: chiede che ciascuno, nell'ambito delle proprie capacità, risponda dei propri atti» (Vegetti S.).

Infatti ogni componente della formazione sociale “famiglia” - in qualsiasi modo si sia costituita - è investito di una nuova etica della responsabilità che promuove rispetto dell'altro e, quindi, libertà (Andria P); Inoltre la condivisione delle responsabilità tra i genitori, che permane in caso di separazione, è auspicabile che nel tempo agevoli un nuovo consapevole svolgimento del proprio ruolo genitoriale da parte del padre, a beneficio dei figli ma anche di un riequilibrio nel rapporto di coppia.

Una forte assunzione di responsabilità da parte dei genitori farà crescere dei figli responsabili e dei futuri genitori responsabili.

Responsabilità e rispetto: due facce della stessa medaglia

In questa nuova luce vanno rilette anche le norme che disciplinano i doveri dei figli, non più sottoposti ad un potere, ma persone titolari di diritti e, in quanto tali, anche investite, a loro volta, di responsabilità verso gli altri componenti del nucleo familiare. Così «…il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa» (art. 315-bis comma 4, c.c.); «il figlio sino alla maggiore età o alla emancipazione, non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la responsabilità genitoriale, né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare» (art. 318 c.c.). In caso di mancanza di genitori e di presenza di un tutore l'art. 358 disciplina i doveri del minorecon una formulazione leggermente diversa, giacché si prevede che «il minore deve rispetto e obbedienza al tutore. Egli non può abbandonare la casa o l'istituto al quale è stato destinato, senza il permesso del tutore. Qualora se ne allontani senza permesso, il tutore ha diritto di richiamarvelo, ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare». Curiosamente si è previsto un più pregnante dovere, ovvero anche il dovere di obbedienza, nel caso di rapporto del minore con il tutore e non nella norma che disciplina i doveri del figlio verso i genitori.

In ogni caso appare evidente come il rispettodovuto dai minori verso chi si è assunto responsabilità nei suoi confronti assuma oggi un diverso significato, ben lontano dalla antica soggezione. Le norme cambiano più lentamente della società, e vanno quindi reinterpretate, alla luce dei principi generali, costituzionali e sovranazionali.

Rispetto e responsabilità sono due facce della stessa medaglia eimplicano ascolto reciproco, riconoscimento dell'altro. Il rispetto è infatti anche un sentimento di attenzione e di riguardo verso qualcuno che si ama, che non induce a silenziosa sottomissione. Il rispetto implica considerazione e quindi attiene ad una relazione.

La violazione di doveri in ambito familiare non è altro che una mancata assunzione di responsabilità, con ricadute negative per tutto il nucleo familiare.

Certamente il concetto di responsabilità è ampio e complesso. Quando sia positivamente verificata, da parte della autorità giudiziaria, la assunzione di responsabilità - ovvero di decisioni responsabili - da parte dei genitori nell'interesse dei figli, allora può dirsi che si sia in presenza, dal punto di vista giuridico, di buoni genitori, o meglio, di genitori nei confronti dei quali non vanno assunti provvedimenti limitativi con riferimento alle diverse decisioni che essi assumono per i figli minori. Ciononostante, potrebbero però essere genitori che necessitano di sostegni, non avendo comunque evidenziato buone capacità e competenzegenitoriali o, più semplicemente, perché riconoscono proprie fragilità.

È bene quindi che tutti gli operatori tengano distinti questi concetti, giacché la formazione multidisciplinare serve anche a non compiere indebite invasioni di campo. Nella valutazione di questi diversi aspetti sta, ad esempio, la difficoltà dell'antico nodo dei complessi rapporti tra autorità giudiziaria e amministrativa, ovvero fra Tribunali e servizi psico-sociali preposti al sostegno delle famiglie.

Le competenze genitoriali

Il dibattito filosofico, scientifico e giuridico sul concetto di responsabilità è antico e ricchissimo ed appare evidente come detto termine non possa essere ricondotto ad un unico significato semantico (V. ad esempio le sei accezioni individuate da N.A. Vincent).

In cosa si sostanzia dunque la responsabilità genitoriale di cui parla il legislatore e in che misura ha a che fare con le capacità o competenzegenitoriali?

Nelle norme che disciplinano il diritto di famiglia e minorile la responsabilità sembra assumere una accezione limitata in quanto è relativa ai diritti e doveri delineati nelle norme medesime. Infatti i genitori hanno il dovere «di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni», come recita l'art. 147 c.c. che richiama lo speculare articolo 315- bis che, laddove disciplina i diritti dei figli, ripete che «il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni».

Il figlio ha inoltre diritto a mantenere i rapporti significativi con i parenti e, da ultimo, la l. n. 173/2015 ha anche tutelato la continuità delle positive relazioni affettive che il minore abbia consolidato durante periodi di affidamento eterofamiliare. Quella che è al centro è dunque la vita dei minori che hanno diritto di crescere in modo sereno ed equilibrato e, per questo, hanno “…diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere”, come prescrive l'art. 24 della Carta europea dei diritti fondamentali (Nizza 2000).

I genitori sono dunque responsabili nel senso che devono proteggere ma anche promuovere il benessere dei figli.

In definitiva, può dirsi che le responsabilità genitoriali si sostanziano nella volontà/capacità di promuovere la personalità del figlio e dunque di non ostacolarne un armonioso sviluppo, anteponendo propri desideri o aspettative a quelle di un soggetto in formazione e, per questo, fragile in quanto in divenire.

Per promuovere una serena e armoniosa crescita dei figli i genitori devono prestare particolare e profondo ascolto ai loro bisogni, alle loro paure, ai loro desideri.

È ancora l'art. 24 della Carta di Nizza che afferma che i bambini possono liberamene esprimere la loro opinione.

Ciò deve avvenire ancor più in caso di frattura della unità familiare; purtroppo invece l'esperienza insegna che, nei momenti del conflitto tra i genitori, la posizione del minore si fa ancor più fragile e vulnerabile e la sua voce più flebile. Né sembra che vadano nella direzione di una più incisiva difesa dei diritti dei minori progetti di riforma recentemente proposti (cfr. d.d.l. 735). Al contrario, la prospettiva appare del tutto adultocentrica, e la giusta finalità di garantire al minore la bigenitorialità rischia di sacrificare il figlio stesso, riducendolo al pari di un bene da spartire, in tempi uguali per legge, tra i due genitori. Appare evidente come una rigida predeterminazione per legge di tempi e modalità di regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli non corrisponda all'interesse reale dei minori, in quanto nel caso di frattura della unità familiare detta regolamentazione deve necessariamente essere il risultato di riflessione, ascolto reciproco, conoscenza di quel determinato bambino e contesto familiare, anche perché normalmente è anche variabile a seconda dell'età e delle tappe evolutive del minore, oltre che in base alle diverse e mutevoli condizioni di vita dei genitori. I tempi paritari di permanenza dei minori presso i due genitori in caso di frattura della unità familiare, per realizzare davvero l'interesse dei minori, devono presupporre una serena intesa raggiunta in tal senso tra i genitori e una assenza di conflitto. Inoltre, questa è una materia in cui ogni regolamentazione rigida e predeterminata per legge rischia anche di aumentare la invasività della istituzione statale nella vita privata e personale, con conseguente violazione del principio di non ingerenza sancito dalla normativa internazionale.

Dunque, le responsabilità genitoriali vanno intese anche come capacità di entrare in una relazione asimmetrica e di riconoscere pienamente l'alterità del figlio, senza far prevalere bisogni o desideri personali.

Il nuovo e differente ruolo degli avvocati, della magistratura e degli operatori psico- sociali

Non appena si voglia penetrare il senso delle parole, il significato della locuzione responsabilità genitoriale, apparentemente limitato dal legislatore, tende in realtà a riespandersi, inevitabilmente invadendo ambiti meta-giuridici. Peraltro la giurisdizione, che interviene nel momento in cui si è chiamati a bilanciare diritti ed interessi in conflitto, ha un preciso limite, rappresentato dal principio di non ingerenzaprevisto dall'art. 12 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo (1948), dall'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (1955) e dall'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (2000), principi che vengono sempre richiamati allorché si cerca di definire il concetto di “giurisdizione mite” in questa materia.

Una corretta valutazione delle responsabilità genitoriali non può pertanto essere penetrante al punto da violare il principio di non ingerenza laddove non necessario.«…Compito del giudice non è (non può essere) quello di sottoporre i genitori, nelle coppie in crisi, a valutazioni di confronto con modelli astratti ideali per il figlio, bensì quello di intervenire soltanto se i comportamenti dei genitori si risolvano in un pregiudizio per il figlio (sono contrari al suo interesse), e nella misura strettamente necessaria per impedire tale meccanismo di pregiudizio. Questo è, contemporaneamente, il fondamento, la giustificazione, ma anche la misura dell'intervento giudiziario in una relazione genitoriale» (Martinelli P.).

Il difficile lavoro in itinere dell'avvocato dovrebbe quindi essere orientato alla prospettazione al proprio assistito di sostegni, se necessari, con l'obiettivo di aprire canali di comunicazione con la parte contrapposta, finalizzati alla risoluzione stragiudiziale delle controversie, mentre l'obiettivo della decisione giurisdizionale, messo a fuoco l'interesse di quel determinato minore, non può che essere quella della attenuazione del danno che, inevitabilmente, l'approdo nei tribunale dei conflitti intra-familiari arreca a tutti i membri della famiglia.

Da un lato la nuova centralità del compito genitoriale, attraverso la assunzione condivisa delle relative responsabilità, e, dall'altro, una giurisdizione che si occupi delle relazioni e delle persone rispettando il principio di non ingerenza e favorendo pratiche conciliative e di mediazione, non possono che determinare anche un ripensamento degli interventi degli operatori psico-sociali che sul territorio lavorano per il superamento delle crisi delle relazioni intrafamiliari.

La costruzione di una relazione di aiuto e sostegno alle famiglie in difficoltà richiede infatti professionalità, specializzazione, risorse ma anche una piena consapevolezza del proprio ruolo e della autonomia amministrativa rispetto alla autorità giudiziaria, pur nell'ambito di un mandato dalla stessa ricevuto. In definitiva, richiede una piena assunzione di responsabilità anche da parte degli operatori psico-sociali.

La pubblica amministrazione e la rete dei servizi alla persona, anche del privato-sociale, appartengono a sistemi autonomi, che si occupano della protezione e della tutela delle fasce deboli, e tra questi i minori, con ruolo e funzioni proprie, non serventi rispetto alla autorità giudiziaria né da questa dipendenti.

Forse a questo punto appare più chiaro delineare l'intreccio del dialogo tra operatori psico-sociali, autorità giudiziaria, avvocati. Un dialogo che deve avvenire nel pieno rispetto delle diverse competenze e funzioni. Voler regolamentare in modo rigido e sulla falsariga delle consulenze tecniche di ufficio l'ingresso nel processo degli operatori psico-sociali, dei servizi specializzati e dei loro elaborati e relazioni, vuol dire aver compreso poco delle diverse prerogative e finalità della autorità giudiziaria e della autorità amministrativa. Il rispetto del principio del contraddittorio e la trasparenza delle complesse istruttorie che si svolgono nei procedimenti avanti alle autorità giudiziarie ordinaria e minorile richiede infatti ben altro, ovvero regole processuali chiare ma che tengano peraltro il più possibile lontana dal processo la pubblica amministrazione, che non è parte e il cui operato risponde a canoni, aspetti deontologici, finalità che non possono essere piegati ad altri fini dalle parti processuali come dalla autorità giudiziaria stessa.

Conclusioni

L'agire secondo il principio di beneficità appartiene infatti alla pubblica amministrazione e non alla autorità giudiziaria, così come l'agire in via preventiva, in questo caso preoccupandosi l'amministrazione, perché no, anche della buona qualità della vita delle persone. L'Autorità Giudiziaria interviene invece quando il danno è già provocato e quando è necessario assumere decisioni non giuste in astratto, ma riparative, a tutela di diritti ed interessi violati; in questo senso appare ancora astrattamente condivisibile l'osservazione svolta in dottrina, sul ruolo dell'Autorità Giudiziaria in questa materia: «Bisogna ridare al giudice la funzione che deve avere, di giudice dei diritti, e non di chi deve perdere tempo a mediare, a conciliare. sarebbe semplicemente antieconomico! …ma bisogna arrivare davanti a un giudice, con tutto quello che ciò comporta, per stabilire conciliazione?» (Resta E.)

Infatti è solo attraverso un dialogo corretto tra le diverse istituzioni e tra le parti che può prima di tutto essere focalizzato il nodo problematico del caso concreto, per poi mettere in campo le risorse più idonee, giudiziali in caso di fallimento degli interventi o stragiudiziali in caso di buon esito degli stessi, interventi tutti diretti al recupero pieno delle responsabilità o capacità o competenze genitoriali e che richiedono prima di tutto nuove politiche del welfare a favore di famiglie e di minori, oltre che mirati investimenti sul territorio.

Guida all'approfondimento

M.G. Domanico, I servizi nel processo: tutela, responsabilità e difesa tecnica, in A. Pè e A. Ruggiu(a cura di), Il giusto processo e la protezione del minore, Milano, 2011;

M.G. Domanico, Gli interventi d'urgenza disposti dal Tribunale per i Minorenni e l'affido all'ente: questioni aperte e criticità, in S. Galli e M. Tomè (a cura di), La tutela del minore: dal diritto agli interventi, Milano, 2008;

G. Ferrando, Diritto di Famiglia, Torino, 2017, 295;

S. Grilli, Antropologia delle Famiglie contemporanee, Roma, 2019;

E. Lamarque, Prima i bambini - Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016;

A. Lavazza, I tanti volti della responsabilità, in De Caro, Lavazza, Sartori (a cura di), Quanto siamo responsabili? Filosofia, neuroscienze e società, 2013;

F. Occhiogrosso, Manifesto per una giustizia minorile mite, Milano, 2009;

P. Martinelli, Per una giurisdizione minorile mite - la giurisdizione della non decisione, in Minorigiustizia 2/2008;

E. Resta, Un giudice nuovo per i minori, famiglia e persona, in Minorigiustizia n. 1/2008;

S. Vegetti Finzi, Non solo madri e padri: una proposta di genitorialità diffusa, in F. Mazzucchelli (a cura di), Il sostegno alla genitorialità - Professionalità diverse in particolari situazioni familiari, Milano, 2011;

G. Zagrebelsky, Senza adulti, Segrate, 2016;

G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Segrate, 1992;

L. Zoja, Il gesto di Ettore – Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, Torino, 2000.

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