La violenza intrafamiliare e la violenza assistita, una lettura interdisciplinare

12 Novembre 2019

Negli ultimi anni si è elaborata, in dottrina e in giurisprudenza, una nozione ampia e complessa di “violenza endofamiliare”, comprensiva di molteplici condotte non limitate al conflitto fra coniugi o conviventi e alle dinamiche fisicamente e/o psicologicamente abusive della relazione di coppia, ma estese a qualsiasi comportamento di aggressione fisica, verbale, gestuale, psicologica cui assistano i minori, pur non essendone i diretti destinatari, che li espone, se non ad un conclamato pregiudizio dello sviluppo personologico, ad una condizione di sofferenza, ansia, insicurezza, disorientamento.
La nozione di violenza domestica

Le tematiche connesse alla violenza domestica o endofamiliare sono state oggetto di particolare approfondimento a seguito del moltiplicarsi dei casi di denuncia da parte delle vittime e della contestuale evoluzione della normativa sovranazionale e nazionale: in primis l'alveo segnato dalla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25/10/2012 - recante norme in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato - e dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011, ratificata dall'Italia con l. 27 giugno 2013, n. 77, con norme incentrate sull' esigenza di garantire partecipazione, assistenza, informazione e protezione a particolari categorie di vittime.

Rilevano, poi, la l. n. 119 del 2013, che ha disposto profonde modifiche processuali a tutela della vittima riconducibili essenzialmente a tre filoni (quello informativo, quello delle misure cautelari e quello riferibile a modalità di assunzione delle dichiarazioni della persona offesa), e il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, entrato in vigore il 20 gennaio 2016, che detta norme in materia di diritti all'assistenza, all'informazione, interpretazione e traduzione nonchè protezione nei confronti di tutte le vittime di reato, senza distinzione collegata al tipo di criminalità e alla qualità della vittima.

Le novità di natura processual-penalistica sono molteplici, attengono a misure pre-cautelari e cautelari, incidente probatorio, termine delle indagini preliminari, richiesta di archiviazione, avviso di conclusione delle indagini preliminari, esame testimoniale delle vittime vulnerabili, priorità di trattazione dei procedimenti, gratuito patrocinio.

Da ultimo, la legge n. 69 del 2019 ha nuovamente disciplinato i tempi delle indagini ( prevedendo che la polizia giudiziaria è tenuta a comunicare al Pubblico Ministero le notizie di reato immediatamente, anche in forma orale, che il Pubblico Ministero è obbligato a sentirele vittime entro tre giorni, e che il termine per proporre denuncia-querela è innalzato a 12 mesi) , ha introdotto il cd codice rosso al Pronto Soccorso e l'obbligo di indossare il braccialetto elettronico per gli uomini destinatari di un ordine di allontanamento e divieto di avvicinamento. In particolare, per quel che concerne il reato di cui all'art. 572 c.p. e l'argomento oggetto del presente approfondimento, è previsto un inasprimento delle pene: l'attuale pena della reclusione da due a sei anni è modificata nella pena della reclusione da tre a sette anni, ed è aumentata fino alla metà per alcune ipotesi aggravate (se la violenza è avvenuta in presenza o a danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità o se il fatto è commesso con armi). È previsto un inasprimento delle pene per i reati di violenza sessuale, e per gli atti sessuali con minorenni la procedibilità del reato è sempre d'ufficio; è previsto un inasprimento delle pene per il reato di stalking, la cui cornice edittale passa “da sei mesi a cinque anni" di reclusione al range «da uno a sei anni e sei mesi». È stato inoltre introdotto l'art. 612-ter c.p. («Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti»), c.d. reato di revenge porn, che punisce chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda foto o video a contenuto sessualmente esplicito di una persona senza il suo consenso; esso è punito con la pena da 1 a sei anni di reclusione e da 5mila a 15mila euro di multa. Sono inoltre previste circostanze aggravanti per l'ex partner che agisca via social. Preme dunque ribadire in questa sede che, nel tempo, la nozione di violenza alle persone, secondo la Convenzione di Istanbul e secondo la Direttiva 2012/29 UE, è stata significativamente ampliata; nell'art. 3 della Convenzione si delineano, infatti, le seguenti tipologie di aggressione: a) con l'espressione violenza nei confronti delle donne si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;

b) l'espressione violenza domestica designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima;

c) con il termine genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini;

d) l'espressione violenza contro le donne basata sul genere designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato; e) per vittima si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b". Ferme restando le norme incriminatrici anche recenti ( maltrattamenti in famiglia, lesioni, abuso sessuale, stalking) è certa, dunque, la completa parificazione tra violenza fisica e psicologica all'interno del più generale concetto di violenza domestica, da cui, conseguentemente, discende una nozione di vittima riferita a qualsiasi persona fisica che subisce tali forme di violenza, ivi compresa la violenza psicologica che si sostanzia in denigrazioni, intimidazioni, minacce, vessazioni, umiliazioni anche subdole e logoranti in grado di minare la personalità delle vittime, abbattendone l'autostima, la fiducia, l'equilibrio.Centrale, sul punto, è stato l'intervento della Suprema Corte ( cfr. Cass. sez. un., 16 marzo 2016, n.10959) che , nell'ambito di un'ampia disamina delle principali novità normative, ha evidenziato come dalla lettura delle fonti sovranazionali emerga una nozione di violenza alla persona intesa in senso ampio, «comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche. Si tratta di indicazioni che costituiscono un fondamentale riferimento per addivenire ad una interpretazione delle norme interne conforme al diritto europeo». In tempi più recenti (Cass. pen. sez. I, 14 gennaio 2019, n.1526) la Corte, nel vagliare nuovamente la portata della nozione di violenza alla persona ( in merito, in particolare, all'applicazione dell'art. 299 c.p.p.in relazione al parallelo disposto di cui all'art. 408 c.p.p., comma 3-bis) ha persuasivamente concluso ritenendo che oggi l'espressione violenza alla persona in rapporto alla nozione adottata in ambito internazionale e comunitario, sia comprensiva non soltanto delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche e più ampia di quella positivamente disciplinata dal codice penale interno, sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza nell'ambito delle relazioni affettive.

Ciò comporta, come si vedrà, che la presenza di condotte di violenza domestica così intesa, agite sia in via diretta che assistita, rileva ai fini dell'adozione degli strumenti di tutela in sede civile anche a prescindere dalla sussistenza degli elementi tipici del reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.

La cd violenza assistita

La nozione di "violenza assistita" è, in primo luogo, frutto dell' elaborazione della scienza psicologica e medica, e poi della stessa elaborazione giurisprudenziale in materia di maltrattamenti in famiglia, sino ad essere positivizzata nell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11 quinquies e nell'art. 572 c.p. nei seguenti termini:

- Art. 61 n.11 -quinquies -c.p. (Circostanze aggravanti): «l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale e contro la libertà personale, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza»;

- Art. 572 c.p. (Maltrattamenti contro familiari e conviventi): “«Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni .La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'art. 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni. Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato».

In linea concettuale, la nozione di violenza assistita richiama le sicure conseguenze negative, spesso indelebili, e le sofferenze patite dai minori quando, nel consorzio familiare di appartenenza, un genitore commetta maltrattamenti in danno dell'altro genitore, per la naturale sofferenza del minore nell'assistere ad atti di reiterata violenza fisica e/o verbale contro il genitore direttamente vittima della condotta maltrattante.

Si considera oggi persona offesa dal reato anche il minore che assiste ad una condotta violenta. Inoltre, la nuova circostanza aggravante comune prevista all'art. 61, n. 11-quinquies, c.p. e la nuova formulazione dell'art. 572 c.p. estendono l'ambito della tutela penale: l'offesa che le disposizioni intendono prevenire consiste nelle ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo sui minori costretti alla percezione di atti di violenza sia nei confronti di altri componenti del nucleo familiare, sia di terzi.

È dunque ormai pacifico che nel delitto previsto e punito dall'art. 572 c.p., lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime può derivare anche dal clima generalmente instaurato all'interno di una comunità, come conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto agente ( v. Cass. pen . sez. V, 22 ottobre 2010, n. 41142, n. 248904; in senso conforme, Cass.pen., sez. VI, 21 dicembre 2009, n. 8952).

Ciò premesso, la giurisprudenza ha conseguentemente riconosciuto la piena legittimazione del minore a costituirsi parte civile nel processo penale ( Cass.pen. sez. III, 17 maggio 2016, n. 45403), come attualmente consacrata dall'ultimo comma dell'art. 572 c.p.

Del resto, la Suprema Corte ( Cass. pen. sez. VI, 23 febbraio 2018, n.18833) ha affermato che «non è revocabile in dubbio che il delitto di maltrattamenti possa essere configurato anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano (solo) indirettamente quali involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri fra i genitori che si svolgano all'interno delle mura domestiche, cioè allorquando essi siano vittime di c.d. violenza assistita. La condotta di chi costringa minore, suo malgrado, a presenziare - quale mero testimone - alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, è certamente suscettibile di realizzare un'offesa al bene tutelato dalla norma (la famiglia), potendo comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata».

Ma vi è di più: nella decisione appena richiamata si è fatto esplicito riferimento ad un interessante approdo della scienza psicologica secondo il quale «anche bambini molto piccoli, persino i feti ancora nel grembo materno, sono in grado di percepire quanto avvenga nell'ambiente in cui si sviluppano e, dunque, di comprendere e di assorbire gli avvenimenti violenti che ivi si svolgano, in particolare le violenze subite dalla madre, con ferite psicologiche indelebili ed inevitabili riverberi negativi per lo sviluppo della loro personalità».

È pur vero, tuttavia, che, secondo i giudici di legittimità, il delitto di maltrattamenti scaturente da una condotta riportabile alla c.d. violenza assistita, proprio perchè fondato su di una relazione non diretta, ma indiretta fra il comportamento dell'agente e la vittima «postula una prova rigorosa che l'agire - in ipotesi - illecito, per un verso, sia connotato dalla c.d. abitualità; per altro verso, sia idoneo ad offendere il bene giuridico protetto dall'incriminazione, id est abbia cagionato secondo un rapporto di causa-effetto - uno stato di sofferenza di natura psicofisica nei minori spettatori passivi».

Si tratta di una prova particolarmente insidiosa dove, tuttavia, possono assumere rilievo, quali eventi dannosi del reato, compromissioni della sfera psicologica dei minori che si manifestino con aspetti anche solo “sintomatici” ( disturbi del sonno, difficoltà alimentari, scolastiche, problemi di socialità), non necessariamente riconducibili a psicopatologie in senso stretto.

Interessante a questo proposito è il riconoscimento, nell'ambito di un procedimento per maltrattamenti in famiglia, dell' ipotesi di violenza cd assistita in danno del minore laddove quest'ultimo, testimone di numerosi litigi fra i genitori, abbia con evidenza manifestato mutamenti caratteriali, passando dall'essere “un bambino vivace” ad avere “ problemi nel rapportarsi all'adulto”, ad “ un bambino che fa spesso ricorso all'uso di parolacce e a toni e frasi non consoni alla sua età e che sono specchio del contesto familiare in cui sin dalla nascita si è trovato” (Trib Milano, sez. IX pen., 22 aprile 2015, est. Canevini, inedita).

Sotto diverso aspetto, deve sottolinearsi che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza civile i maltrattamenti inflitti da un coniuge all'altro in presenza dei figli possono condurre alla dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale o a forti limitazioni della medesima, per le inevitabili ripercussioni negative sull'equilibrio fisiopsichico della prole e sulla serenità dell'ambiente familiare e poichè, ancora, denotano la mancanza di quel minimo di disponibilità affettiva e pedagogica richiesto in chi esercita il ruolo di genitore.

Recenti decisioni di merito hanno individuato nei comportamenti della coppia genitoriale, quali l'agire violento di un genitore nei confronti dell'altro cui il minore abbia assistito, un elemento di per sé idoneo a disporre l'affidamento esclusivo all'altro genitore: Trib. Roma , sez. I , 27 gennaio 2015 , n. 1821 e Trib. Roma, sez. I, 11 ottobre 2018. In quest'ultimo caso, pronunciandosi sull'adozione di un provvedimento di affidamento esclusivo alla madre, i giudici hanno richiamato proprio l'art. 31 dellaConvenzione di Istanbul, secondo il quale«al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione medesima». Cionondimeno, va sottolineata la necessità, in questi casi, di un'attenta verifica della capacità genitoriale anche del genitore-vittima, laddove può legittimamente dubitarsi, in presenza di una situazione di acuta vittimizzazione derivata, ad esempio, da una prolungata esposizione a maltrattamenti, dell' idoneità dello stesso genitore maltrattato allorchè sia stato scarsamente reattivo alla situazione di abuso e per ciò solo non tutelante rispetto al benessere del minore.

Evoluzione degli strumenti di tutela nel settore penale e nel settore civile: misure cautelari e ordini di protezione

In linea con le più recenti interpretazioni in materia di violenza domestica deve sottolinearsi l'ampia applicazione degli strumenti di tutela introdotti con la l. n. 154/2001, in particolare degli ordini di protezione contro gli abusi familiari disciplinati dagli artt. 342- bis e ter c.c.

Va, in particolare, ricordato che gli ordini di protezione in sede civile ( allontanamento dalla casa familiare e divieto di avvicinarsi a determinati luoghi), pur presentando le medesime caratteristiche tipiche della misura cautelare personale coercitiva di cui all'art. 282- bis c.p.p. e limitando in modo considerevole alcuni diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, quali la libertà personale e la libertà di circolazione, non richiedono, per la loro applicazione, i medesimi presupposti indicati dal diritto processuale penale, ossia i gravi indizi della fattispecie di reato e le condizioni tipiche di applicabilità delle misure cautelari ( le esigenze di cui all'art. 274 c.p.p.) .

La tutela civilistica presuppone, infatti, la sussistenza di un grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro convivente, senza necessità che detta condotta debba integrare gli estremi di condotte penalmente rilevanti, il che consente di ampliare lo spettro delle situazioni tutelabili in via d'urgenza e di incidere sulle condotte di abuso anche quando le stesse siano prive di quelle connotazioni di serialità e di abitudinarietà proprie dei maltrattamenti ( cfr. Trib. Milano sez IX, 3 ottobre 2018,)

Ciò non implica che condotte inosservanti degli obblighi di assistenza morale, materiale, di lealtà, collaborazione familiare possano di per sé integrare i presupposti richiesti dagli art. 342-bis e ter c.c. per l'adozione dell'ordine di protezione contro gli abusi, dovendo ricorrere in ogni caso un contenuto essenziale e indefettibile costituito quanto meno dal "grave pregiudizio all'integrità morale" di un convivente o alla sua libertà, concetto che postula un "vulnus" alla dignità dell'individuo di entità non comune, o per la particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, o per le modalità dell'offesa arrecata ( cfr. Trib. Milano. sez IX, 15 novembre 2018 est. Amato, inedita).

La voluta ampiezza dei concetti richiamati dal legislatore ha fatto sì che dai giudici di merito la misura sia stata applicata, oltre alle ipotesi di illeciti di chiara connotazione lesiva ( percosse, minacce, maltrattamenti, lesioni, con una sostanziale sovrapposizione all'area di tutela penale), anche ad ipotesi in cui il “clima familiare” determinato dal soggetto abusante sia stato connotato da elementi di particolare nocività per i componenti della famiglia, non sussumibili in fattispecie autonome di reato: si pensi al caso del marito che ha determinato nella famiglia un clima di esasperata tensione mediante l'installazione di telecamere dirette a captare scene di vita familiare(Trib. Monza sez. IV, 07 maggio 2012), con «una inaccettabile compromissione della libertà del coniuge e del figlio minore» e con una esasperazione del conflitto coniugale.

Allo stesso modo è stata riconosciuta l'adozione di un ordine di protezione ex art. 342 bis c.c. proprio in una ipotesi di violenza assistita, quando la condotta di uno dei conviventi, autore di un solo episodio di aggressione fisica in danno dell'altro alla presenza del figlio minore («fatto, maturato in un contesto di conflittualità dipendente dalla crisi del rapporto affettivo») è stata valutata di gravità tale da di incidere sullo sviluppo morale ed educativo del figlio, nella specie un minore molto piccolo, di soli tre anni (Trib. Piacenza, 23 ottobre 2008).

In una diversa prospettiva, la misura ha trovato applicazione al caso della figlia maggiorenne ancora convivente resasi autrice di comportamenti pregiudizievoli per l' integrità fisica e morale dei genitori in quanto la reiterazione di singoli atti di aggressività è stata ritenuta in grado di arrecare nel tempo una rilevante lesione a beni giuridici fondamentali «quali la dignità delle persone, la serenità della vita familiare» nonché «la funzione di guida e di indirizzo che spetta ai genitori nei confronti dei figli» (Trib. Messina, 24 settembre 2005).

In sostanza, la scelta del legislatore di non definire la condotta pregiudizievole rilevante ai fini dell'applicazione degli ordini di protezione dovrebbe consentire di valutare con estrema flessibilità la posizione dei soggetti cd deboli il cui pregiudizio sia causalmente collegato alle condotte abusive.

Certo, onde pervenire a decisioni coerenti con i confini sopra delineati, una seria verifica del nesso causale tra condotta (sia pure atipica) ed evento pregiudizievole può aiutare l'interprete a distinguere domande di tutela fondate rispetto a richieste strumentali o pretestuose, che tuttavia appaiono residuali nel panorama del contenzioso civile e penale.

In conclusione

La cronaca giudiziaria degli ultimi anni ha registrato un'emersione delle fattispecie di abuso e violenza in ambito familiare senza precedenti, certamente frutto del moltiplicarsi di denunce di fenomeni che spesso restavano confinati come “fatti privati” anche negli ambienti più evoluti.

Un'analisi ad ampio spettro delle fattispecie di violenza domestica, aldilà dei profili giuridici - che non può non tener conto degli interventi cd di rete coinvolgenti servizi territoriali, centri antiviolenza, consultori, personale medico, psicologi - rivela le gravi ricadute sociali del fenomeno e soprattutto i rischi sullo sviluppo psicologico dei minori.

Questi ultimi paiono, infatti, altamente pregiudicati non già dalla disgregazione del nucleo familiare ma dall'avere assorbito nel tempo un modello distruttivo, celato dietro forme di apparente tolleranza e sottomissione in grado, invece, di cagionare una sorta di “danno invisibile” spesso valutabile solo a lungo termine.

È dunque necessario confrontarsi con il tema della violenza domestica in una dimensione “pubblica” e, dal punto di vista tecnico-interpretativo, per quanto possibile, interdisciplinare, nella ricerca, soprattutto nella fase cautelare, della soluzione che costituisca uno degli anelli dell'attività di prevenzione o comunque di protezione rispetto ad eventi che possono divenire altrimenti incontrollabili.

Guida all'approfondimento

Pulitanò, Delitti contro la famiglia, in Diritto penale, Parte speciale, Tutela penale della persona, Giappichelli, 2014, p. 456 ;

Gulotta, Elementi di psicologia giuridica e diritto psicologico, 2000, p. 1019;

Galuppi-Grasso, Violenze psicologiche e reato di maltrattamenti in famiglia, 2002, p.1023;

Cianci, Gli ordini di protezione familiare, 2003, p.236 e ss.

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