Scontro tra veicoli: la presunzione di pari responsabilità opera solo in via sussidiaria
14 Novembre 2019
Massima
In tema di scontro tra veicoli, la presunzione di eguale concorso di colpa stabilita dall'art. 2054 comma 2 c.c. ha funzione sussidiaria, operando soltanto nel caso in cui le risultanze probatorie non consentano di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l'evento dannoso e di attribuire le effettive responsabilità del sinistro. Il caso
Un motociclista ricorre in Cassazione contro la sentenza della Corte di Appello di Napoli che, riformando la pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata, aveva accertato che la responsabilità del sinistro verificatosi la sua motocicletta ed un'auto – e in conseguenza del quale lo stesso ricorrente aveva riportato un'invalidità permanente del 18% – fosse da attribuirsi ad entrambi i conducenti nella misura del 50% ciascuno. La Suprema Corte accoglie il motivo di ricorso, rinviando alla Corte d'Appello per il riesame della controversia e la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. La questione
Nel caso di scontro tra veicoli, entro quali limiti opera la presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054 comma 2 c.c.? Le soluzioni giuridiche
Mancata valutazione circa la graduazione di responsabilità La Suprema Corte accoglie la censura del ricorrente, secondo cui la Corte d'Appello aveva errato nell'ascrivergli un concorso di colpa paritetico nella causazione del sinistro e lo aveva fatto basandosi sulle dichiarazioni dei testimoni escussi, i quali avevano attribuito al motociclista un eccesso di velocità. La Corte territoriale, pur condividendo la valutazione del giudice di primo grado sulla particolare imprudenza della condotta dell'automobilista, aveva ritenuto che ciò non fosse sufficiente per stabilire la sua colpa esclusiva, ed aveva quindi concluso per la pari responsabilità dei due conducenti. Al riguardo, la Suprema Corte rammenta – richiamando, sul punto, diversi i precedenti (la recentissima Cass. civ., sez. III, ord., 4 aprile 2019, n. 9353, ma anche Cass. civ., sez. III, sent., 5 dicembre 2011, n. 26004; cfr. altresì Cass. civ., sez. III, ord., 15 febbraio 2018, n. 3696) – che la presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054 comma 2 c.c. ha funzione meramente sussidiaria, operando solo laddove le risultanze probatorie non consentano di accertare in concreto le quote di responsabilità da attribuirsi a ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro. Nel caso di specie, le dichiarazioni dei testimoni escussi, avevano in sostanza avuto, per il Giudice di appello, lo stesso peso delle ben più gravi violazioni accertate a carico dell'automobilista, contestate dai Vigili Urbani intervenuti sul posto (viceversa, nessuna violazione era stata contestata al motociclista). E tuttavia, tali testimonianze attestavano, più che fatti concreti, mere opinioni dei testimoni escussi, i quali avevano riferito che il motociclista «sopraggiunse a tutta velocità» e avevano parlato di «una scivolata di 200 metri prima dell'impatto» e di «un impatto violento». Tanto era bastato, alla Corte territoriale, per giungere ad un giudizio di sostanziale equivalenza delle infrazioni commesse dai due conducenti. Viceversa, non vi era stato, secondo la Cassazione, alcun vaglio sulla graduazione della responsabilità di ciascun conducente, che le risultanze istruttorie – e in particolare il contenuto e il valore fidefacente del rapporto di incidente redatto dai Vigili Urbani – avrebbero imposto. In definitiva, secondo la Suprema Corte, benché l'accertamento della responsabilità di uno dei conducenti non possa condurre, di per sé, a ritenere superata la presunzione di cui all'art. 2054 comma 2 c.c., il giudice è comunque tenuto a graduare la responsabilità stessa sulla base delle risultanze istruttorie.
Sentenza nulla per motivazione solo apparente La Corte, come detto, ha accolto il motivo di ricorso di cui si è riferito, ma per una ragione diversa da quella prospettata dal ricorrente. Quest'ultimo aveva fondato il motivo di ricorso: sull'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione alla violazione degli artt. 1227, 2043, 2054, 2697 c.c. e 115, 244 c.p.c.; sull'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; sull'erronea attribuzione di responsabilità paritaria nel determinismo causale dell'incidente. La Corte riqualifica il motivo di ricorso, riconducendo le censure del ricorrente al vizio di cui all'art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. (nullità della sentenza o del procedimento) Secondo il Supremo Collegio, la motivazione della sentenza di secondo grado, non contenendo alcuna valutazione sulla graduazione delle responsabilità, è solo apparente, così inficiando la validità della pronuncia stessa. Viceversa, nella fattispecie in esame la correttezza della decisione deve fondarsi «sul rigore e sulla completezza della motivazione concernente il bilanciamento della “forza” delle emergenze istruttorie». Passaggio dirimente, questo, omesso dal Giudice di secondo grado. La Corte giustifica la riqualificazione del motivo di ricorso sulla base di due orientamenti giurisprudenziali, secondo cui: - nel giudizio di legittimità, il ricorso può essere accolto anche per una ragione di diritto diversa da quella prospettata dal ricorrente, purché: a) tale ragione sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti; b) la riqualificazione non comporti la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l'introduzione nel giudizio di una eccezione in senso stretto (Cass. civ., sez. VI, sent., 14 febbraio 2014, n. 3437; Cass. civ., sez. III, ord., 28 luglio 2017, n. 18775); - è denunciabile in Cassazione, purché risulti dal testo della sentenza impugnata, l'anomalia motivazionale che si traduca, in quanto attinente all'esistenza stessa motivazione, in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, laddove tale anomalia si sostanzi non in un semplice difetto di sufficienza della motivazione, bensì: nella «mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico»; nella «motivazione apparente» (è, quest'ultimo, il caso che ci occupa); nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili»; nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»(Cass. civ. Sez. Un., sent., 7 aprile 2014, n. 8053, Cass. civ., Sez. Un., sent., 7 aprile 2014, n. 8054, Cass. civ., sez. III, sent., 12 ottobre 2017, n. 23940. Cass. civ., sez. VI, ord., 25 settembre 2018, n. 22598).
Osservazioni
La pronuncia in commento conferma un orientamento consolidato della Cassazione in materia di presunzione di responsabilità paritetica in caso di scontro tra veicoli, che la Corte ritiene avere carattere residuale, risultando la stessa applicabile solo quando appaia impossibile accertare effettivamente il grado di colpa di ciascuno dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro. Tale indagine è devoluta al giudice di merito il quale, nella sentenza, deve indicare in modo chiaro e logico fonti e ragioni del proprio convincimento. Conseguenza assai rilevante di tale principio è che la sentenza di merito che contenga una motivazione che non dia conto di tale iter logico-giuridico e argomentativo sia affetta addirittura da nullità, rilevabile dal Giudice di legittimità pur in assenza di una tale censura da parte del ricorrente, il quale, come nel caso che ci occupa, abbia rilevato “soltanto” vizi meno radicali quali la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.) e/o l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.). Altro elemento significativo è la valutazione del valore probatorio delle testimonianze, alle quali – ove esse restituiscano semplici percezioni dei testi – deve essere attribuito un “peso” minore rispetto al ben più cogente valore del verbale delle Autorità che contenga specifiche contestazioni della responsabilità del conducente dell'altro veicolo. Verosimilmente, quindi, nel caso di specie la Corte d'Appello, in sede di rinvio, non potrà che stabilire una graduazione delle responsabilità più favorevole al ricorrente, al quale, come detto, non sono state contestate infrazioni, al contrario di quanto accaduto per il conducente dell'automobile. Diverso sarebbe se le prove testimoniali avessero dato conto non di mere opinioni, bensì di fatti concreti. Giova in proposito richiamare la sentenza Cass. civ., sez. III, ord., 15 febbraio 2018, n. 3696, in cui la Suprema Corte, muovendo sempre dal carattere sussidiario della presunzione di cui all'art. 2054 comma 2 c.c. e dalla necessità, per il giudice di merito, di motivare la graduazione delle responsabilità, ha ritenuto che la Corte d'Appello avesse omesso di dar conto compiutamente delle deposizioni testimoniali assunte – omettendo, conseguentemente, anche di argomentare in modo idoneo a rendere verificabile il ragionamento seguito – laddove, invece, appariva che le predette deposizioni, riverificate nel loro insieme, avrebbero potuto costituire una prova completamente liberatoria per il ricorrente in ordine al concorso ravvisato a suo carico).
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