Criteri e modalità di rilascio di copia dei provvedimenti giudiziari agli organi di informazione. Le indicazioni della Procura di Napoli

Katia La Regina
14 Novembre 2019

Se non può dubitarsi della centralità del ruolo di garanzia dell'informazione giudiziaria all'interno di un sistema democratico, è altrettanto indiscutibile che le peculiarità del fenomeno giurisdizionale penale rendano estremamente complessa la gestione dei rapporti tra magistrati e mass media, e impongano, per conseguenza, una attenta riflessione sulle azioni da intraprendere per ovviare alle criticità che...

Se non può dubitarsi della centralità del ruolo di garanzia dell'informazione giudiziaria all'interno di un sistema democratico, è altrettanto indiscutibile che le peculiarità del fenomeno giurisdizionale penale rendano estremamente complessa la gestione dei rapporti tra magistrati e mass media, e impongano, per conseguenza, una attenta riflessione sulle azioni da intraprendere per ovviare alle criticità che - lo testimonia del resto anche la cronaca recente - si manifestano sempre più spesso sul terreno di tali rapporti.

È questo lo scenario in cui deve inquadrarsi l'Ordine di servizio n. 118 del 7 ottobre 2019 che il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli ha emanato con l'obiettivo di disciplinare i criteri e le modalità di rilascio di copia dei provvedimenti giudiziari agli organi di informazione. Il provvedimento, che risulta predisposto all'esito di incontri con le rappresentanze istituzionali e sindacali dei giornalisti e tenendo conto del contributo di riflessione dell'Avvocatura napoletana, costituisce l'approdo di una iniziativa già preannunciata in due precedenti Ordini di servizio, il n. 86 del 23 giugno 2018 e il n. 24 del 7 febbraio 2019, e raccoglie le sollecitazioni del Consiglio Superiore della Magistratura alla concreta declinazione dei rapporti con gli organi di informazione.

Sono, in effetti, le linee guida che il CSM ha predisposto per l'organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale (delibera 11 luglio 2018), il punto di riferimento che il Procuratore di Napoli ha sviluppato per articolare un documento, in ultima analisi, mirato a dare traduzione operativa alle previsioni contenute nel combinato disposto degli artt. 114, comma 2, e 116 c.p.p. La disciplina è ben nota: la prima norma stabilisce che fino a che non siano concluse le indagini preliminari o l'udienza preliminare gli atti conosciuti dalle parti, perché compiuti con il loro coinvolgimento o con la loro consapevolezza legale, non possono essere pubblicati. Il contenuto è tuttavia pubblicabile, tanto più che, dal momento in cui cade il segreto interno l'atto diventa accessibile da parte di chiunque: ciò è espressamente stabilito dall'art. 116, comma 1, c.p.p., il quale sancisce che «durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti». Poiché è pacifico che la norma non faccia riferimento ad un interesse radicato nel processo, anche il giornalista può chiedere ed ottenere l'accesso agli atti non più coperti da segreto. Tuttavia, c'è differenza tra la posizione delle parti e la posizione di chiunque altro, giornalista compreso. Dal combinato disposto degli artt. 116, comma 2, e 43 disp. att. c.p.p. si ricava, infatti, che mentre il rilascio di copie alle parti private e alla persona offesa, ove siano titolari di un diritto di deposito degli atti, non è soggetto ad alcuna autorizzazione, il rilascio operato a favore di persone diverse è, invece, soggetto ad autorizzazione da parte del pubblico ministero.

È proprio su quest'ultimo profilo che incide il documento in analisi. Per il suo tramite, si costruisce un itinerario che spoglia il magistrato assegnatario del procedimento del potere di procedere alla verifica della sussistenza dei presupposti che legittimano il rilascio di copia dei provvedimenti giudiziari agli organi di informazione, per riservarlo al Procuratore della Repubblica.

Si tratta di una riserva che, ancorché non assoluta, è certamente destinata a operare nei casi di maggior rilievo: «affari di particolare delicatezza, gravità, rilevanza e comunque idonei a coinvolgere l'immagine della Procura, per la natura dei fatti o per la qualità dei soggetti coinvolti o per le questioni di diritto, nuove ovvero di speciale complessità e delicatezza o per la loro rilevanza per la tutela dei diritti delle persone coinvolte, nonché di ogni circostanza che possa costituire una controindicazione alla divulgazione del provvedimento». Soprattutto poi, è destinata a operare in un settore - quello relativo alle ordinanze che applicano la misura cautelare (art. 292 c.p.p.) - che il legislatore, prendendo atto di una prassi ormai largamente diffusa, ha di recente preferito regolamentare consentendo la pubblicazione integrale del testo del provvedimento. Il Procuratore di Napoli, tuttavia, facendo leva sulla considerazione per cui le modifiche introdotte al testo dell'art. 114, comma 2, c.p.p. dall'art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, sono tutt'ora prive di vigenza per effetto delle successive modificazioni della relativa disciplina transitoria, supera questa scelta e riconduce anche le ordinanze in materia cautelare alla sua esclusiva riserva di valutazione.

Disegnato in tal modo l'ambito dei presupposti oggettivi, dal punto di vista delle modalità operative è previsto che, sulla scorta delle indicazioni e delle valutazioni preliminari prospettate dal magistrato assegnatario del procedimento - e, nel caso di cui all'art. 292 c.p.p., degli altri magistrati che siano interessati in qualità di titolari di procedimenti connessi o collegati - i Procuratori Aggiunti siano tenuti a informare tempestivamente il Procuratore della Repubblica ai fini della valutazione. Per questo aspetto, l'itinerario costruito dal Procuratore di Napoli rievoca le indicazioni contenute nelle linee-guida del CSM che, per gli uffici requirenti, suggeriscono l'individuazione di una figura responsabile per la comunicazione la quale, in linea con le prescrizioni contenute nell'art. 5 del d.lgs. 20 febbraio 2006 n. 106, coincide con il capo dell'ufficio. Chiaro che l'obiettivo di una tale concentrazione sia quello di scongiurare le distorsioni cui può dar luogo l'esercizio di un potere di valutazione diffuso.

Nella traduzione pratica della disciplina posta dall'art. 116 c.p.p., infatti, non è inconsueto che il pubblico ministero intenda in senso ampiamente discrezionale il potere di autorizzazione attribuitogli, venendosi a generare il rischio di rapporti opachi e logiche di scambio certamente poco opportune e poco edificanti. La questione, ben nota anche all'opinione pubblica oltre che agli addetti ai lavori, è quella della discriminazione tra giornalisti e testate; quella della costruzione di rapporti privilegiati con alcuni esponenti del mondo dell'informazione, talvolta anche a discapito della difesa; quella della personalizzazione delle informazioni. Un tema tanto gravido di implicazioni - naturalmente anche sotto il profilo dell'esercizio del diritto di cronaca - da indurre la più recente dottrina a ritenere preferibile, rispetto al regime attuale, l'introduzione di una regola che imponga al magistrato di rilasciare a tutti gli interessati, inclusi i giornalisti, copia degli atti non più coperti da segreto interno. Ciò avrebbe quanto meno l'effetto di mettere i “lavoratori dell'informazione” in condizione di esercitare paritariamente il diritto di cronaca, evitando le ripercussioni negative che tipicamente sono riconducibili alla mancanza di un accesso paritario e trasparente.

Difficile, tuttavia, che si dischiuda l'orizzonte della liberalizzazione. Di questo, del resto, sono consci anche coloro che propendono per una prospettiva tanto largheggiante, perché è chiaro che, sul tappeto, si ponga la necessità di alzare uno scudo sulla posizione di coloro che rischierebbero di subire una più o meno consistente attenzione mediatica, pur essendo solo stati solo sfiorati da un'indagine nella quale magari non hanno mai assunto neppure un ruolo definito.

Ecco che, dunque, diventa preferibile una scelta sviluppata nel segno dell'individuazione di parametri capaci di trasformare una discrezionalità facile a tramutarsi in arbitrio in una discrezionalità guidata e, come tale, tecnica. Questa sembra l'aspirazione del documento costruito dal Procuratore di Napoli; l'analisi funzionale al rilascio dell'autorizzazione si sviluppa, infatti, lungo direttrici predeterminate - la «cessazione del segreto»; la «ricorrenza dell'interesse pubblico alla informazione»; la «presenza di eventuali controindicazioni alla divulgazione» - e la relativa valutazione dovrà essere condotta sulla base di criteri prestabiliti che richiamano la salvaguardia del procedimento, dei soggetti coinvolti, dei terzi, dei minori, delle vittime. Le linee di protezione si mantengono sostanzialmente sui binari tracciati dal CSM, senza tuttavia aggiungere una connotazione di maggiore concretezza che ci si sarebbe aspettati da un documento caratterizzato dalla valenza operativa.

Se nel metodo si tratta sicuramente di una iniziativa da condividere, tuttavia, nel merito non si può fare a meno di notare come la genericità dei parametri di controllo evocati - tra questi spicca, soprattutto, la non interferenza con le investigazioni in corso - non abbia assottigliato di molto quel, forse inevitabile, consistente margine che ha da sempre caratterizzato la libertà di valutazione del pubblico ministero nel rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 116 c.p.p.

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