Assegnazione della casa familiare con figli maggiorenni
22 Novembre 2019
Massima
In presenza di figli maggiorenni, al momento della separazione, la casa familiare va assegnata al genitore proprietario, se ancora convivente con il figlio e ove intenda proseguire tale coabitazione; al momento del divorzio, va assegnata al genitore con il quale i figli già convivono in forza del provvedimento di separazione. Sono fatte salve gravi ragioni oggettive in senso contrario. Il caso
Tizio adiva il tribunale per chiedere la separazione assumendo di aver avuto dalla moglie due figlie, una delle quali maggiorenne, non autosufficiente e dimorante nella casa familiare, di proprietà esclusiva del padre. Con il provvedimento presidenziale la casa veniva assegnata alla madre, decisione revocata in sentenza. La questione
Il giudice della separazione/divorzio può assegnare la casa familiare in caso di figli maggiorenni e se sì in base a quali principi? Le soluzioni giuridiche
La giurisprudenza costante riconosce il potere del giudice di assegnare la casa familiare anche in presenza di figli maggiorenni, portatori di interessi identici a quelli dei minorenni sul punto, previa identificazione del genitore piu' adeguato ad avere i figli con sé per la maggior parte del tempo (cfr. sentenza citate supra). Il tribunale di Macerata arriva a conclusioni parzialmente difformi, premessa la seguente interpretazione della normativa in materia: -art. 155 comma 4 c.c., per la separazione, introdotto dalla riforma del 1975, aveva posto il criterio dell'assegnazione dell'abitazione “di preferenza” “ove sia possibile” al genitore “affidatario”; tale norma, vigente nell'epoca in cui l'affido esclusivo era la regola, non faceva cenno ai figli maggiorenni (di certo non “affidati” ai genitori) con conseguente obbligo di astensione del giudice sul punto (abrogata); -art. 6 della l. divorzio n. 74/1987, ha aggiunto al criterio che precede quello del genitore “con il quale i figli convivano oltre la maggiore età” (oltre ai criteri sussidiari delle “condizioni economiche”, delle “ragioni della decisione”, e del favor per “il coniuge più debole”) (in vigore per il divorzio); -art. 155 quater l. 54/2006, ha introdotto, per la separazione, il criterio del prioritario “interesse dei figli” (abrogata); -art. 337-sexies c.c. ex l. 154/2013, che per tutti i casi di disgregazione della famiglia conferma il criterio introdotto nel 2006 (in vigore). Gli artt. 337-sexies c.c. e 6 l. 74/1987, non coincidenti nei contenuti ma sovrapponibili come ambito di applicazione, sarebbero coesistenti, mancando elementi idonei all'abrogazione di quello precedente per effetto del successivo. Il criterio del prioritario “interesse dei figli” deve essere, però,la “stella polare” cui ispirare l'interpretazione della norma speciale in materia di divorzio. Da un punto di vista strettamente normativo, mentre l'art. 6 l.div. si riferisce espressamente anche ai figli maggiorenni, non è così per l'art. 337-sexies c.c.., che il tribunale considera comunque applicabile anche a questi ultimi per le seguenti considerazioni. Innanzitutto, l'art. 337-sexies c.c. menziona i “figli” senza specificazioni di sorta, quindi in senso generale. Inoltre, il secondo comma dell'art. 337-sexiesc.c nell'incipit si riferisce ai figli minori, con il che si deduce che il primo comma riguardi anche i maggiorenni. Infine il titolo II del libro 1° non fa riferimento (solo e come in passato) alla responsabilità genitoriale (sui minori) ma espressamente anche ai diritti e doveri dei figli (tutti). Il Tribunale di Macerata arriva dunque a dimostrare che l'interesse a rimanere nell'habitat domestico è uno di quelli vantati dalla prole anche maggiorenne. Essendo espressione del più generale diritto alla formazione della propria personalità, è di rango costituzionale, il che consente l'eventuale compromissione di altro diritto di pari rango, spesso in gioco al momento della disgregazione della famiglia: quello dominicale. Partendo da queste premesse, detto tribunale così conclude in dettaglio. In caso di separazione, con figli minori in affido condiviso, l'assegnazione della casa familiare va disposta in favore: - del genitore collocatario prevalente; - del genitore che risulti più idoneo a tutelare l'interesse dei figli in caso di collocamento paritario, potendo il giudice omettere di pronunciarsi solo se accerti che il minore è egualmente tutelato proseguendo la convivenza nella casa familiare con l'uno o con l'altro genitore. In caso di separazione, con figli maggiorenni, l'assegnazione della casa familiare va disposta in favore: - del genitore proprietario della casa familiare, ove questi intenda proseguire la coabitazione con i figli che, alla data della domanda, vivano ancora con entrambi i genitori, - del genitore non proprietario, se alla data della domanda i figli convivono già solo con lui, essendosi l'altro allontanato dalla casa familiare o intendendo farlo. In caso di divorzio, con figli minori in affido condiviso, l'assegnazione della casa familiare va disposta in favore: - del genitore collocatario prevalente, secondo il prioritario interesse dei figli, - del genitore con cui già convivevano a seguito della separazione, nel caso in cui con il divorzio venga disposto il collocamento paritario, dovendosi in tal caso ritenere che sia interesse dei figli perpetuare la convivenza con quel genitore con il quale già hanno condiviso l'habitat domestico (di cui tale genitore è ormai diventato parte). In caso di divorzio, con figli maggiorenni, l'assegnazione della casa familiare va disposta in favore: - del genitore con il quale già hanno condiviso l'habitat domestico a seguito della separazione, poichè il “genitore con il quale convivono oltre la maggiore età” ex art. 6 l. div., è colui con il quale i figli convivevano a seguito della separazione. È fatta salva, quale eccezione alle regole generali, l'esistenza di fatti oggettivi gravi che depongano in senso contrario (es. art. 3 comma l. 74/1987 lett. a), c), d), e), f).
Osservazioni
La sentenza in commento contiene conclusioni innovative rispetto al panorama delle decisioni in materia. Sancisce l'ultrattività di fatto del regime di assegnazione stabilito in separazione al momento del divorzio; considera (in buona sostanza) fungibili i genitori se conviventi con i figli maggiorenni al momento della separazione con favor, in tal caso, per quello proprietario; afferma il potere/dovere del giudice di disporre l'assegnazione anche se il collocamento è paritario. Il tribunale, per un verso, fornisce una ricostruzione dell'habitat domestico come di un contesto non solo fisico ma anche simbolico e proprio in ragione di ciò lo considera possibile oggetto di tutela. Non sempre, d'altrocanto, pare preservarlo con le soluzioni adottate (evidentemente con l'intento di evitare il sacrificio ingiusto del diritto di proprietà per tempi molto lunghi). Esclude, per esempio, il potere del giudice di assegnare la casa nel caso in cui il genitore proprietario al momento della separazione conviva con prole maggiorenne e intenda proseguire tale convivenza. Ciò in quanto, in tal caso, l'interesse del figlio si esaurirebbe nella possibilità di continuare a fruire dell'habitat domestico, irrilevante essendo quale dei due genitori ivi rimanga con la prole dopo la separazione, atteso che entrambi erano parte di tale habitat sino alla disgregazione. In tal caso, dice il tribunale è da escludersi il potere di assegnazione in quanto il sacrificio del diritto dominicale non sarebbe giustificabile. Ma la casa, di per sé, è neutra, è chi la abita che può o meno avere la capacità di creare quell'ambiente che la prole può desiderare prosegua nel tempo. Considerazioni analoghe alle precedenti si possono svolgere anche per la prevista ultrattività del regime di assegnazione stabilito in separazione, quasi un automatismo al momento del divorzio, e fondata su un'interpretazione forzata dell'art. 6 l.div., dove l'espressione “con il quale i figli convivano oltre la maggiore età” viene letta come “con il quale già i figli convivano oltre la maggiore età”, e cioèper via delle decisioni assunte in sede di separazione. La portata innovativa dell'art. 337-sexies c.c. risiede nel suo essere volto alla protezione di tutta la prole, oggi soggetto di diritti, senza differenziazioni di sorta. Ciò è in linea con l'evoluzione sociale: i figli vivono in contesti familiari “allargati”, “misti”, in cui l'habitat è soggetto a significative trasformazioni nel tempo. Possono far parte di famiglie tradizionaliste, dove permangono radicate abitudini di prendersi cura di loro senza far differenze tra minorenni e maggiorenni. L'habitat domestico, nell'accezioni di rilievo ai fini dell'assegnazione, può persino non esistere, si pensi a figli che abbiano vissuto in Paesi diversi per motivi di lavoro dei genitori senza aver mai avuto una concreta chance di creare un contesto abitativo realmente pieno di quei significati che lo rendono degno di tutela giuridica. Non pare quindi che soluzioni rigide o schematiche come alcune di quelle proposte dal tribunale in commento possano davvero cogliere nel segno ed essere al passo con una realtà sociale variegata quanto ha tentato di esserlo la legge nel 2013. Da un punto di vista pratico, ma non secondario, poi, il fatto di riservare al giudice, in alcune ipotesi, quasi solo un potere di legittimare lo stato di fatto in cui si trova il nucleo familiare è rischioso, in quanto potrebbe favorire prevaricazioni ai fini di causa.
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