Immissioni intollerabili, scelta del rimedio e obbligo di motivazione

26 Novembre 2019

Nell'accertare l'intollerabilità delle immissioni e nell'apprestare il rimedio necessario ed utile a riportarle alla soglia di tollerabilità, il Giudice, nel ventaglio di misure adottabili, è vincolato alla domanda di cessazione delle immissioni intollerabili oppure ha un proprio obbligo di verifica degli accorgimenti alternativi?
Massima

Nell'accogliere la domanda volta a far cessare le immissioni, il giudice del merito, pur avendo la facoltà di scegliere tra le diverse misure consentite dalla norma, ha tuttavia l'obbligo di precisare le ragioni della scelta dell'una o dell'altra e di indicare con sufficiente determinazione le misure in concreto adottate, soprattutto quando ritenga impossibile adottare misure meno invasive ed indispensabile condannare il convenuto alla cessazione delle immissioni e quindi anche dell'attività che ad esse dà luogo.

Il caso

Un'officina provocava immissioni sonore derivanti dall'attività di revisione auto in un'abitazione frontistante.

Disposta CTU, il Tribunale inibì l'esercizio dell'attività di officina e condannò l'autore delle immissioni al risarcimento del danno per la lesione del diritto (non alla salute, ma) al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione, da ritenersi in re ipsa, ove venga accertata la non tollerabilità delle immissioni.

La sentenza veniva impugnata e la Corte di appello confermò la decisione di primo grado, per il fatto che l'autore delle immissioni non aveva mai prospettato, nel corso dei giudizi, la possibilità di accorgimenti alternativi fattibili e utili allo scopo di riportare le immissioni a livello di tollerabilità diversi dalla disposta cessazione dell'attività di officina.

Avverso tale decisione è stato proposto ricorso per cassazione.

La questione

La sentenza annotata affronta due questioni.

La prima questione riguarda se, nell'accertare l'intollerabilità delle immissioni e nell'apprestare il rimedio necessario ed utile a riportarle alla soglia di tollerabilità, il Giudice, nel ventaglio di misure adottabili, è vincolato alla domanda di cessazione delle immissioni intollerabili oppure ha un proprio obbligo di verifica degli accorgimenti alternativi?

Corollario è l'interrogativo se abbia anche un obbligo di motivazione della scelta del rimedio concretamente disposto.

La questione assume particolare rilevanza quando, come nel caso di specie, era stata adottata la misura più radicale ed invasiva, ossia l'ordine di chiusura dell'attività.

La seconda questione riguarda se il danno da immissioni sia un danno in re ipsa. Noi ci occuperemo solo del primo profilo. Per il secondo si rinvia a quanto già osservato da SCALERA A., Non c'è danno in re ipsa in caso di immissioni intollerabili, in Ridare.it, 6 settembre 2019 a commento della medesima decisione.

Le soluzioni giuridiche

La questione è se il Giudice sia vincolato alla domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità, oppure possa ordinare l'attuazione degli accorgimenti idonei ad evitare la situazione pregiudizievole.

La questione si pone con particolare interesse, ove la scelta ricada su una misura particolarmente invasiva, quale l'ordine di cessazione/chiusura dell'attività che origina le immissioni.

Il caso concreto presenta la particolarità che il convenuto/autore delle immissioni non aveva mai prospettato la possibilità di strumenti e accorgimenti alternativi alla cessazione dell'attività, sicché il Giudice l'aveva disposta senza motivare la scelta.

Invero l'orientamento giurisprudenziale è ben radicato nel ritenere che la domanda di cessazione delle immissioni non vincola il Giudice ad adottare una determinata misura, ben potendo ordinare l'attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei ad eliminare la situazione di pregiudizio, con l'obbligo di precisare le ragioni della scelta di una o di altra misura, soprattutto quanto ritenga impossibile adottare misure meno invasive e ritenga indispensabile condannare il convenuto alla cessazione delle immissioni e dell'attività che ad esse dà luogo (Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2012, n. 4394; Cass. civ., sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 887).

Anche la giurisprudenza di merito ha ritenuto che, nel caso di attività commerciali, l'impossibilità di ricondurre le immissioni a livelli tollerabili determina, come estrema ratio, la chiusura dell'attività.

In caso di violazione del limite della normale tollerabilità posto dall'art. 844 c.c. a causa di schiamazzi e rumori provocati dell'attività di una sala giochi, ed essendo risultato vano ogni possibile accorgimento per ricondurre i rumori entro il suddetto limite, ricorrono gli estremi per disporre la cessazione dell'attività (per tutti, Trib. Milano, 21 gennaio 1991, in Arch. locaz., 1991, 792).

Pertanto, la Giurisprudenza è attenta a verificare in concreto quale misura sia idonee a riportare le immissioni intollerabili sotto la soglia di tollerabilità, risultando l'ordine di cessazione la decisione ultima.

La sentenza annotata fa applicazione di tali principî, cassando la sentenza gravata, che non aveva motivato la scelta adottata, tanto più trattandosi dell'ordine di chiusura dell'attività.

Infatti, la Suprema Corte evidenzia che l'individuazione della tipologia di misura da adottare appartiene all'ambito delle modalità di attuazione dell'obbligo di non facere contenuto nell'art. 844 c.c.

La verifica della fattibilità ed utilità di accorgimenti alternativi alla chiusura è una verifica implicita e necessaria del thema decidendum. Questo, infatti, riguarda non solo l'accertamento della sussistenza delle denunziate immissioni, ma anche quello relativo ai rimedi idonei a ricondurle a normale tollerabilità, costituendo quello della cessazione dell'attività solo il più estremo tra essi, accessibile solo si valuti motivatamente l'inidoneità di altri meno invasivi.

In questo modo, non è circostanza necessaria rispetto al thema decidendum il fatto che l'autore delle immissioni indichi gli accorgimenti alternativi.

Osservazioni

Come noto, l'art. 844 c.c. afferma che «il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso».

consegue che la disciplina civilistica non indica quale misura adottare.

Il comma 1 dell'art. 844 c.c. si riferisce al concetto di “normale tollerabilità” quale criterio di valutazione della liceità delle immissioni.

In termini generali, l'indagine sulla normale tollerabilità non si fonda su criterî di ordine statistico o matematico, ma deve, come precisato nel medesimo art. 844 comma 1, avere riguardo alle condizioni dei luoghi.

In tal modo, il giudizio di “normalità” implica e richiede una valutazione in concreto. Tale valutazione, tuttavia, non concerne la destinazione del fondo oggetto di immissioni in quanto tale, ma questa in rapporto con la destinazione complessiva della zona nella quale il fondo si trova. In questo senso si dice che tale giudizio ha carattere oggettivo (con riguardo al rapporto tra fondi e alla sensibilità dell'uomo medio) e relativo (con riguardo alla variabilità dello stato dei luoghi).

Il criterio della "normale tollerabilità", cui riferirsi per verificare la liceità delle immissioni, è un criterio relativo, poiché esso non trova il suo punto di riferimento in dati aritmetici fissati dal legislatore, ma ha riguardo a tutte le caratteristiche del caso concreto, essendo rimesso ai giudici il potere di stabilire di volta in volta e con equo apprezzamento il punto di equilibrio tra tali interessi, in relazione alle condizioni dei luoghi, al contesto sociale e produttivo nel quale si svolge l'attività presa in considerazione ed all'entità degli interessi in conflitto.

La normale tollerabilità va valutata, di volta in volta, in un determinato momento storico e in un determinato luogo e deve essere sentita come tale dalla coscienza sociale (Trib. Parma, sez. II, 14 gennaio 2019, n. 72 in De Iure; si veda anche Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2018, n. 28201; Id., 5 agosto 2011, n. 17051; Id., 12 febbraio 2010, n. 3438).

La giurisprudenza precisa che quello che rileva è la reattività dell'uomo medio. Infatti, ferma l'esigenza di valutare l'incidenza delle immissioni sul piano fisico e psichico, la nozione di normale tollerabilità rimane ancorata al godimento fondiario considerato nel suo contenuto economico, rilevando l'incidenza delle conseguenze negative per le persone sulle possibili destinazioni (i.e., valore di scambio) del fondo: il criterio della “normale tollerabilità” ha carattere oggettivo e, come tale, implica che vada considerata l'attività e la sensibilità dell'uomo medio e non le condizioni soggettive delle singole persone interessate dalle immissioni.

Tale approdo giurisprudenziale è supportato dal criterio della condizione dei luoghi, inteso, non in senso naturalistico o topografico, ma in senso sociale, in considerazione del carattere derivante dalle attività normalmente svolte e dal sistema delle abitudini di vita della popolazione locale.

Non a caso, la disciplina delle immissioni costituisce uno dei limiti alla proprietà posti nell'interesse dei privati. Infatti, i conflitti che si possono creare trovano soluzione nelle regole di vicinato, che individuano il criterio operativo volto a contenere le immissioni entro limiti tollerabili.

Il criterio posto dall'art. 844 c.c. è la “normale tollerabilità”, concetto diverso da quello di “uso normale”: si deve guardare non all'uso del fondo immittente, ma alle conseguenze del fenomeno immissivo.

La normale tollerabilità evidenzia l'interesse a non tollerare le immissioni, ovvero il diritto di escludere (ius excludendi), e non l'attività immissiva, che di per sé costituisce esercizio legittimo del diritto di proprietà.

È chiara la diversità prospettica: non si guarda al diritto proprietario del fondo immittente e ai poteri che competono al suo titolare, ma all'interesse a non tollerare specifiche ingerenze da parte del fondo che subisce le immissioni.

Si comprende, allora, che l'art. 844 c.c. introduce un thema decidendum ampio, ossia l'accertamento della sussistenza delle denunciate immissioni, al cui interno necessariamente vi è quello dell'individuazione dei rimedi idonei a ricondurle a normale tollerabilità.

Consegue il potere-dovere del Giudice di verificare, eventualmente attraverso apposita consulenza tecnica, la fattibilità e l'idoneità di accorgimenti utili allo scopo.

In questo senso, tale verifica è necessaria ed ineludibile, mentre nessun rilievo può assumere la circostanza che il convenuto in giudizio non abbia prospettato soluzioni diverse dalla chiusura dell'attività.

Come espresso dalla sentenza annotata, l'individuazione della tipologia del rimedio rientra nell'ambito delle modalità di attuazione del generale obbligo di non facere espresso dall'art. 844 c.c.

Occorre graduare la risposta giudiziaria tra l'inibizione totale delle immissioni (ordine di chiusura dell'attività che causa le immissioni) e l'inibizione mediante accorgimenti nello svolgimento dell'attività e nelle condizioni dell'immobile in cui essa viene espletata.

D'altra parte, per quanto sopra detto, il giudizio sulla normale tollerabilità non trova criterî prestabiliti, ma va accertato oggettivamente di volta in volta in relazione allo stato dei luoghi.

Infatti, occorre ricordare che l'art. 844 c.c. ha la funzione principale di comporre diverse esigenze di fondi vicini.

Inoltre, tralasciando la questione delle immissioni nocive, la norma mira a contemperare esigenze diverse, tra cui quella (legittima) del fondo immittente: l'attività immissiva, in sé considerata, costituisce un esercizio legittimo del diritto di proprietà.

Nell'ottica delle regole di vicinato, l'ordine di chiusura dell'attività è senza dubbio quello più invasivo, che va a comprimere direttamente il diritto di proprietà, ossia il diritto di diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico (art. 832 c.c.).

Per tutte queste ragioni, il Giudice ha un dovere di motivare la scelta del rimedio adottato, vieppiù ove si tratti della misura di chiusura dell'attività che provoca le immissioni, ovvero incida notevolmente sul contenuto del diritto stesso di proprietà.

Guida all'approfondimento

BENNI de SENA A., Risarcimento del danno da immissioni, in RiDaRe, 16.4.2014;

ID., nota a Trib. Rimini, Immissioni intollerabili e risarcimento del danno non patrimoniale, in RiDaRe, 07.03.2016;

ID., nota a sentenza Cass. civ., Sez. Un., 01.02.2017, n. 2611, Immissioni intollerabili e godimento dell'abitazione: la pronuncia delle Sezioni Unite, in RiDaRe, 21.02.2018;

ID., Quesiti operativi su immissioni intollerabili, Parametri di quantificazione e rilevazioni Arpa, in RiDaRe, del 26.09.2018;

DE TILLA M., Immissioni rumorose e normale tollerabilità, in Riv. giur. edil, 2011, 424;

PIAIA F., Intollerabilità delle immissioni acustiche: primato dell'art. 844 c.c. e risarcimento del danno (non patrimoniale), in Danno e resp., 2017, 175;

MAUGERI M., Immissioni acustiche, normale tollerabilità e normative di settore: la nuova disciplina, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 204;

MAZZOLA M. A., Immissioni e risarcimento del danno, Torino, 2009;

PONZANELLI G., Le immissioni intollerabili e il rimedio del danno non patrimoniale, in Danno e resp., 2010, 776;

SCALERA A., Non c'è danno in re ipsa in caso di immissioni intollerabili, in RiDaRe, 6 settembre 2019;

TAMMARO E., Prova e danno nelle immissioni, Padova, 2014;

TAMPIERI M., Immissioni intollerabili e danno alla persona, Giuffrè, 2006;

TUFARIELLO V., Il danno da immissioni, Torino, 2012.

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