La legge di delegazione europea e i nuovi sviluppi del diritto penale dell'UE nel sistema italianoFonte: L. 4 ottobre 2019 n. 117
28 Novembre 2019
Abstract
Con la legge di delegazione europea 2018 (legge 4 ottobre 2019, n. 117) il nostro Paese dovrà adeguare il sistema interno a due importanti novità nel campo del diritto penale europeo, con particolare riferimento alla lotta alle frodi: la direttiva 1371/2017 (direttiva PIF) e il regolamento 1939/2017 sulla Procura Europea. Il testo analizza alcune criticità che si presenteranno nell'attività di recepimento ed adeguamento, con un ulteriore riferimento alla modifica della disciplina sul mandato di arresto europeo che la legge n. 117 ugualmente prevede. Premessa
A seguito della conclusione dell'iter parlamentare, con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 18 ottobre 2019 (Serie generale, n. 245), è stata promulgata la legge 4 ottobre 2019, n. 117, intitolata Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione Europea; si tratta della c.d. legge di delegazione europea 2018, uno dei due strumenti - insieme alla legge europea - di adeguamento del sistema interno all'ordinamento dell'Unione Europea, introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'UE. La legge di delegazione europea, in particolare, ai sensi dell'articolo 30 della legge n. 234 del 2012, contiene le disposizioni di deleghe legislative necessarie ogni anno per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell'Unione Europea nell'ordinamento italiano. Tale provvedimento quest'anno è particolarmente rilevante per lo studioso di diritto penale, perché si occupa, tra l'altro, di due strumenti normativi dell'Unione di grandissimo rilievo nella creazione del diritto penale europeo e di un'autentica area comune europea di giustizia penale, nonché a modificare il recepimento, già avvenuto in passato, della decisione quadro sul mandato di arresto europeo. Quanto ai primi due strumenti, in un caso (art. 1 e 3) si tratta di una delega al governo per attuare una direttiva, in particolare la direttiva UE 2017/1371 sulla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione Europea mediante il diritto penale, la c.d. “direttiva PIF”. Nel secondo caso (art. 4) costituisce sempre una delega al governo, ma per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni di un regolamento dell'Unione, e quindi di un atto già di per sé self-executing, che tuttavia necessita di una normativa nazionale per la specificazione di alcuni aspetti che lo stesso regolamento demanda ad essa, o non copre nel dettaglio. Si tratta del regolamento UE n. 2017/1939 relativo alla attuazione della cooperazione rafforzata sull'istituzione della Procura Europea, nota anche con l'acronimo di “EPPO”. Sull'importanza di questi due strumenti, e del secondo in particolare, gli studiosi ed appassionati di diritto penale europeo si sono già soffermati in questi ultimi anni numerose volte, e non è questa, quindi, la sede per ritornarvi. L'importanza della legge 117 del 2019 consiste nel fatto che con essa si muovono quei passi concreti per tradurre anche nel nostro Stato le innovazioni previste da tali strumenti normativi, specie il regolamento sull'EPPO, e fare sì che lo sviluppo del diritto penale europeo continui. In questa sede non ci si soffermerà troppo – se non nei limiti di quanto necessario - ad illustrare il contenuto degli strumenti normativi europei, ma interessa piuttosto analizzare alcuni aspetti presenti nella legge di delegazione per il recepimento o adeguamento del nostro sistema a tali novità. La direttiva PIF
L'art. 1, comma 1, della legge 117 del 2019 delega il Governo ad adottare gli strumenti indicati nell'all. A secondo i termini, le procedure, i principi e criteri direttivi di cui agli artt. 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234. La direttiva 1371/2017 è uno di essi. L'art. 3 prevede, poi, i principi specifici per l'attuazione della direttiva PIF. Quest'ultima ha, in sostanza, proceduto alla previsione di norme di carattere penale per la protezione degli interessi finanziari dell'Unione, nel nuovo quadro istituzionale e giuridico risultante dal Trattato di Lisbona del 2009. Come è noto a molti, non è il primo strumento giuridico per la tutela degli interessi finanziari attraverso la legge penale, esistendo fin dal 1995 l'apposita Convenzione (attuata in Italia con la legge n. 3000 del 2000). Essa ha allora, proceduto in primo luogo a quella che con termine non entusiasmante si definisce la “lisbonizzazione” della Convenzione del 1995, nel senso di riprodurre principi analoghi, ma nella nuova veste formale derivante dal nuovo Trattato, con tutte le conseguenze che ne derivano, tra le quali la responsabilità degli Stati davanti alla Corte di Giustizia per il mancato recepimento della stessa. La direttiva comporta, però, qualcosa di più perché, pur essendo stata modificata nel testo finale rispetto alla proposta della Commissione del 2012, a iniziare dalla base legale individuata non più nell'art. 325 TFUE, ma nell'art. 83 TFUE, ha però dato una sistemazione più organica alle norme di diritto penale in materia, ha previsto una maggiore specificazione delle fattispecie criminose e, segno importante nell'ottica della creazione di un futuro diritto penale sostanziale, ha stabilito soglie comuni per le pene e per la prescrizione dei reati. Certo, si tratta si soglie piuttosto basse, in sostanza già presenti nella legislazione di ogni Stato, così come la maggior parte delle fattispecie penali, ma in questo caso, resta il significato “politico” che interessa, in quanto il fatto che una normativa europea, dotata ora di un certo grado di cogenza per gli Stati, detti soglie comuni in tema di sanzioni e di prescrizione è certamente un piccolo passo verso una maggiore integrazione legislativa, che in futuro potrebbe – il condizionale è d'obbligo – avere ulteriori sviluppi. Il passo è piccolo perché si poteva fare di più, ma resta, come detto, pur sempre il fatto che esso è stato compiuto. Infine, la direttiva PIF è rilevante anche sotto un altro aspetto: essa definisce in sostanza la competenza della Procura Europea, atteso che la norma del regolamento rinvia alla stessa per individuare i reati per i quali il nuovo ufficio potrà operare. La prima indicazione che la legge 117 fornisce al legislatore delegato è quindi quella di individuare i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, in conformità agli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della direttiva. Come detto, sono fattispecie già in gran parte esistenti nel nostro sistema, ma qualche precisazione su questi aspetti è necessaria. La definizione del reato di frode
È vero che il nostro sistema prevede già da tempo il reato di truffa nell'ottenimento di fondi pubblici, inclusi quelli europei, di appropriazione indebita, di malversazione di fondi pubblici, di corruzione, il reato di evasione dei diritti doganali, di evasione dell'iva, il riciclaggio dei fondi illecitamente ottenuti, e tuttavia la direttiva contiene al riguardo alcune novità, di cui la normativa italiana dovrà in qualche modo curarsi. In tema di frode nelle spese, per usare la terminologia della direttiva, cioè quello che nel nostro sistema è il reato di truffa, essa introduce una distinzione tra frode nelle spese in procedure di appalti e frode nelle spese al di fuori di procedure di appalti. La differenza tra le due fattispecie consiste nel fatto che nelle frodi negli appalti sembra ora configurarsi un dolo specifico, dovendo la frode essere commessa al fine di procurare all'autore del reato o ad altri un ingiusto profitto arrecando pregiudizio agli interessi finanziari dell'Unione. Ora, tale distinzione è, in realtà, ignota al nostro sistema; al riguardo, quindi, qualche primo problema si potrebbe porre perché l'art. 640-bis c.p., che prevede il reato aggravato di truffa ai danni dell'Unione, ed è un'aggravante del reato di truffa, se da un lato non contiene alcuna distinzione tra frodi in appalti e al di fuori di appalti, e quindi sembra sufficientemente ampio da ricomprendere anche la nuova figura di frodi in gare d'appalto come disegnata dalla direttiva PIF, dall'altro è però, in quanto ipotesi aggravata del reato di truffa, un reato a dolo generico, mentre, come visto, la nuova fattispecie di frode in gare d'appalto fa propendere per una fattispecie a dolo specifico. Occorrerà, quindi, che il legislatore delegato si confronti con questa realtà, perché configurare la frode in gare d'appalto ai danni dell'Unione senza il dolo specifico, o, più semplicemente, continuare a ritenere che le norme esistenti integrino già il recepimento della direttiva, potrebbe significare una non adeguata attuazione della stessa. Né si può ritenere che la nuova fattispecie sia ricompresa in quella, del nostro sistema, di frode in pubbliche forniture (art. 356 c.p.), o di turbata libertà degli incanti, (art. 353 c.p.), entrambe diverse nella condotta, e caratterizzate dal dolo generico. Anche in tema di IVA la direttiva contiene qualche novità, prevedendo come rilevante, ai fini euro-unitari, solo l'evasione superiore a 10 milioni di euro che coinvolga almeno due Stati. Le frodi iva senza tali caratteristiche, peraltro, non sono prive di rilevanza penale, ma lo saranno in quanto meri reati nazionali, e non di rilevanza europea. I problemi sulle condotte di corruzione
L'art. 3 comma 1 lett. d) della legge 117 del 2019 dovrebbe, invece, porre rimedio, nell'attuazione della direttiva, a quella che appare ancora oggi una lacuna del nostro sistema in tema di corruzione. L'art. 322-bis c.p., infatti, fino al 2019 estendeva le fattispecie di peculato (art. 314, 316 c.p.), concussione (art. 317 c.p.), induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.), corruzione (art. 318, 319 e 320 c.p.) e istigazione alla corruzione “passiva”, quando è il pubblico ufficiale che sollecita la dazione (art. 322, comma 3 e 4, c.p.), oltre ai pubblici ufficiali italiani, ai funzionari ed al personale delle istituzioni europee, ai membri ed al personale della corte penale internazionale; quanto al reato di istigazione alla corruzione, la norma prevedeva l'estensione a persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio nell'ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali, ma solo quando il fatto era commesso nell'ambito di operazioni economiche internazionali, e solo nel caso di istigazione alla corruzione “attiva”, cioè quando il pubblico ufficiale riceve l'induzione, senza averla sollecitata (art. 322, comma 1 e 2, c.p.). Restava, quindi, scoperta, nella nostra legislazione, l'ipotesi di istigazione alla corruzione “passiva” di pubblici funzionari stranieri, cioè l'ipotesi in cui questi ultimi sollecitino la dazione. Il parziale intervento nel frattempo intervenuto nel nostro sistema con la legge n. 3 del 2019 (giornalisticamente definita “spazzacorrotti”), non aveva risolto il problema. La legge, infatti, ha aggiunto il riferimento, nel reato di induzione alla corruzione “passiva” (art. 322, comma 3 e 4 c.p.) ai membri delle assemblee parlamentari internazionali o di un'organizzazione internazionale o sovranazionale e ai giudici e funzionari delle corti internazionali, ma ha continuato a prevedere l'applicazione ai pubblici funzionari di Stati terzi del solo art. 322, comma 1 e 2 c. p., e quindi della sola induzione alla corruzione “attiva”, pur eliminando il riferimento di tale norma alle operazioni economiche internazionali. Continuava, quindi, a mancare l'ipotesi di induzione alla corruzione “passiva” in capo a questi ultimi soggetti (pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio nell'ambito di Stati esteri ed organizzazioni pubbliche internazionali). Ora, con la delega della legge 117 del 2019 si intende modificare l'articolo 322-bis del codice penale estendendo la punizione dei fatti di corruzione passiva, come definita dall'articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva (UE) 2017/1371, anche ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio di Stati non appartenenti all'Unione europea, quando tali fatti siano posti in essere in modo che ledano o possano ledere gli interessi finanziari dell'Unione. Tale carenza dovrebbe, quindi, essere colmata ma, anche in questo caso, solo in parte perché la delega riguarda fatti corruttivi che attentano agli interessi finanziari dell'Unione, e quindi non fatti corruttivi in generale. Una rilevante novità si configura in materia di responsabilità degli enti: la direttiva prevede infatti la responsabilità delle persone giuridiche per tutti i reati da essa previsti; tra essi, quindi, anche le frodi IVA, nella misura sopra indicata. I reati tributari, però, nel nostro sistema, come noto, tradizionalmente non erano inseriti nell'elenco dei reati che determinano la responsabilità degli enti ai sensi del dpr 231 del 2001, come modificato nel corso degli anni. Prevedendo l'integrazione di quest'ultima normativa nel senso di rendere responsabili gli enti anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea e che non sono già compresi nelle disposizioni vigenti, la legge 117 del 2019 delega, in sostanza, il governo ad introdurre la responsabilità delle persone giuridiche anche da reati in materia di iva, e quindi per determinati reati tributari. Vi è, tuttavia, da osservare che, prima ancora dell'adempimento della delega di cui alla legge 117, il legislatore italiano ha già provveduto, nel frattempo, ad aprire una breccia in questo campo. Con il d.l. 26 ottobre 2019, n. 124 (noto come “decreto fiscale”), pubblicato lo stesso giorno, è stato, infatti, aggiunto nel d.gls. 231 del 2001 un nuovo art. 25-quinquiesdecies (Reati tributari), che prevede la responsabilità dell'ente per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 2 d.lgs n. 74 del 2000, e commina in capo all'ente responsabile la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote; la dottrina ritiene che ciò renderà applicabile alla persona giuridica l'intero compendio di misure contemplate dal decreto 231, ivi compresa – tra l'altro – la confisca, anche per equivalente, del prezzo o profitto della dichiarazione fraudolenta realizzata nell'interesse o a vantaggio dell'ente. Nelle more dell'iter legislativo di conversione del suddetto decreto legge, l'attuazione della direttiva PIF dovrà allora coordinarsi con la novità nel frattempo intervenuta. Il regolamento EPPO
Ancora più rilevanti le novità derivanti dal regolamento EPPO (acronimo di European Public Prosecutor's Office, con cui è designato in inglese l'ufficio della Procura Europea), se non altro per la semplice ragione che, a differenza della direttiva PIF che interviene su un terreno già conosciuto, il regolamento introduce qualcosa di assolutamente nuovo e senza precedenti nei sistemi nazionali. Tutto ciò che proviene dal regolamento EPPO è, quindi, una novità, ed è inutile ricordare che la creazione di un ufficio così complesso ha un impatto non solo sulla normativa penalistica, sostanziale e processuale, ma anche, e rilevantissimo, sugli aspetti ordinamentali, introducendo figure di magistrato finora sconosciute al nostro sistema, quale il procuratore capo europeo, il procuratore europeo, vale a dire il magistrato che opererà nell'ufficio centrale di Lussemburgo, e i procuratori europei delegati, magistrati appartenenti dal punto di vista amministrativo alla magistratura nazionale, e che tali rimangono, ma che quando condurranno le indagini sui reati di competenza dell'EPPO dipenderanno da quest'ultimo. Una sorta di ibrido, quindi, un soggetto a doppia “personalità”. Nel caso dell'art. 4 della legge 117/2019, poi, avendosi a che fare con un regolamento europeo, come noto di diretta applicazione, non si può neppure parlare di delega per l'attuazione della normativa; infatti la disposizione contiene il concetto di “adeguamento” della normativa nazionale a quella europea, già self-executing. La norma è molto articolata e complessa, e questo rientra nella logica delle cose, constando il regolamento europeo di 120 articoli. È vero che non tutti sono interessati dalla necessità di adeguamento delle normative nazionali, ma gli aspetti che queste ultime devono regolare sono comunque numerosi: si va dalle procedure nazionali per la selezione del magistrato italiano per il posto di procuratore europeo, ed il relativo status dal punto di vista nazionale, e dei procuratori europei delegati, all'adeguamento delle norme processuali e dell'ordinamento giudiziario. Alcuni criteri di delega sono molto dettagliati, altri molto più generici e lasciano quindi spazio al legislatore delegato. Sono molto specifici, perché è il regolamento stesso che lo consente, i criteri di delega sulla designazione della terna italiana per il posto di procuratore europeo. Il regolamento, infatti, prevede che il procuratore europeo per ogni Stato è nominato dal Consiglio dell'Unione, previa una valutazione da parte dell'apposito comitato di selezione, tra una terna di nomi che ciascuno Stato Membro dovrà inviare. La legge nazionale deve, quindi, regolare la procedura per la formazione di tale terna. In tal senso, la legge non solo delega l'individuazione dell'autorità che dovrà procedere a scegliere la terna e il procedimento relativo quando il sistema sarà, per così dire, “a regime” (art. 4, comma 3, lett. a), ma si deve necessariamente occupare anche dell'immediato, e quindi prevede una sorta di disciplina transitoria. Occorre infatti ricordare che le procedure per la nomina dei primi componenti dell'EPPO sono già in corso, in quanto il regolamento è entrato in vigore nel 2017 e lo stesso prevede che tutta la fase di reclutamento del personale venga auspicabilmente completata per la fine del 2020, in quanto lo stesso testo prevede che l'ufficio possa iniziare ad operare concretamente, ed a condurre le sue prime indagini, a partire dal novembre 2020. Per questo, sebbene con un leggero ritardo sulla tabella di marcia, nel mese di ottobre di quest'anno, e quindi poche settimane fa, si è avuta la conferma della nomina del primo Procuratore Capo europeo, nella persona della procuratrice romena Laura Codruta Kovesi. Nel frattempo, gli Stati si sono già attivati per l'invio delle rispettive terne all'apposito comitato di selezione, per la valutazione dei canditati come procuratori europei. La legge n. 117 contiene dunque la disciplina transitoria per l'individuazione della prima terna italiana (art. 4, commi 4 – 8), e per questo la sua approvazione era diventata urgente e non più rinviabile, essendo rimasto ormai il nostro Stato uno degli ultimi a non avere inviato la lista di tre nomi alle Istituzioni Europee. La legge ha previsto che ciò dovesse avvenire sulla base di una procedura che coinvolgesse paritariamente il Ministero della Giustizia e il Consiglio Superiore della Magistratura, sebbene, in caso di disaccordo, l'ultima parola spettasse a quest'ultimo. Si può leggere in questo dettaglio della prima procedura per la designazione della terna probabilmente la volontà di sottolineare che il posto che il magistrato italiano andrà a ricoprire è – come è - di natura strettamente giudiziaria, e non amministrativa, facendo così chiarezza su una questione che, sebbene differente nella sostanza per la diversità delle due posizioni, aveva coinvolto gli stessi organismi in occasione della nomina, in passato, del Membro nazionale di Eurojust, che aveva richiesto persino una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 136 del 2011). A conferma della natura strettamente giudiziaria del posto di procuratore europeo sembra potersi leggere anche il comma 9 dell'art. 4, il quale, pur sul presupposto che il magistrato interessato sarà collocato fuori ruolo, lo esonera però del termine decennale di cui alla legge 190 del 2012. In sostanza, potranno essere indicati per tale posto anche magistrati che sono stati fuori ruolo per un periodo che, sommato a quello dell'incarico di procuratore europeo, superi i dieci anni. Tale procedura è, di fatto, già stata messa in atto nelle scorse settimane – anche sulla base di un protocollo che Ministero e CSM avevano sottoscritto prima dell'approvazione della legge - per l'individuazione della prima terna italiana per il posto di procuratore europeo, su cui Ministero e CSM si sono trovati d'accordo, senza necessità per quest'ultimo di attivare la speciale procedura di “motivazione rafforzata” per il caso di dissenso sui nomi indicati dal primo. La delega comprende poi anche la procedura per la indicazione dei procuratori europei delegati (PED), cioè i procuratori che dovranno in concreto svolgere le indagini sui reati EPPO. Il regolamento, su questo aspetto, lascia ampio margine di decisione agli Stati, prevedendo l'unico vincolo che ogni Stato designi almeno due procuratori europei delegati. I nomi dovranno essere trasmessi al procuratore capo europeo, si può immaginare con il coinvolgimento del rispettivo procuratore europeo, che li proporrà al collegio dei procuratori europei, a livello centrale, per la nomina. Sulla procedura interna per la individuazione dei nominativi, il regolamento si affida ai singoli Stati, e infatti una delle questioni di cui il legislatore delegato dovrà occuparsi è proprio individuare l'autorità competente a designare i candidati procuratori delegati, i criteri e le modalità di selezione degli stessi. Ma, oltre a questo, ogni Stato, e quindi anche l'Italia, dovrà decidere quanti PED istituire, la loro ripartizione geografica e l'eventuale competenza territoriale e creare le condizioni, in termini di fornitura di adeguati mezzi tecnici ed umani, affinché essi possano svolgere al meglio la loro funzione. Si pensi, quindi, per esempio, alla collocazione fisica dei PED che, verosimilmente, sarà all'interno di uno o più uffici giudiziari italiani, per quanto essi, quando svolgono indagini, siano rappresentanti di un'autorità giudiziaria non nazionale, al personale di segreteria, nonché al personale investigativo, circostanza che, molto probabilmente, richiederà il coinvolgimento in accordi, se non in termini di modifica legislativa, delle forze di polizia giudiziaria. Gli altri aspetti che la legge delega prevede e su cui, quindi, il legislatore delegato dovrà intervenire si possono evidenziare per categorie. L'adeguamento del sistema italiano nella disciplina di queste figure deve permettere ai procuratori europei, alle camere permanenti esistenti a livello centrale e ai procuratori delegati di operare nel sistema nazionale; quindi, di condurre indagini in Italia, con possibilità di compiere attività in un altro Stato EPPO quando necessario, di formulare richieste ai giudici, che sono i giudici nazionali, e di prendere decisioni fondamentali nell'ambito dell'indagine, che vanno dalla competenza sul singolo caso, alla decisione sulla conclusione dell'indagine (richiesta di rinvio a giudizio o archiviazione). Ancora, i procuratori dell'EPPO dovranno essere autorizzati a partecipare ai dibattimenti in Italia e ad impugnare i provvedimenti dei giudici italiani davanti ad altri giudici italiani. Si tratta, come si vede, di questioni che non attengono solo alla procedura penale, ma sono anche di natura ordinamentale, essendo evidente che si tratta di figure di magistrati del tutto nuove, mai esistite fino ad ora nel nostro sistema. Di tutti questi temi è stato ben consapevole lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, che il 12 novembre 2018 ha espresso un parere ai sensi dell'art. 10, legge 24 marzo 1958 n. 195, proprio all'interno dell'iter legislativo della legge di delegazione europea, a seguito di trasmissione da parte del Ministro della Giustizia dell'allora disegno di legge. Tale parere (in giurisprudenzapenale.com) evidenzia le maggiori criticità derivanti dall'introduzione nel nostro ordinamento di un sistema così innovativo. Altro aspetto delicatissimo di cui si dovrà occupare la normativa delegata è il coordinamento tra il ruolo del procuratore capo dell'ufficio in cui fisicamente opera il PED e le prerogative del collegio (l'organismo a livello centrale dell'EPPO che comprende tutti i procuratori europei degli Stati EPPO), delle camere permanenti e del procuratore europeo dell'EPPO. Il regolamento prevede infatti che, pur essendo il PED agli effetti amministrativi un magistrato nazionale, che tale continua a rimanere, agli effetti operativi, nello svolgimento delle indagini sui reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione (i c.d. “reati PIF”), esso appartiene all'EPPO. In quanto tale, egli svolge la sua indagine sotto la possibile supervisione del procuratore europeo e le decisioni chiave dell'indagine (rinvio a giudizio o archiviazione, ma anche distribuzione del fascicolo tra PED operanti in Stati diversi, avocazione da parte dell'ufficio centrale, ed altre) sono prese a livello europeo. Il ruolo del procuratore capo dell'ufficio giudiziario in cui siede il singolo PED è quindi particolare, poiché egli annovererà nel proprio ufficio un magistrato, che dal punto di vista amministrativo (valutazioni di professionalità, entro certi limiti aspetti disciplinari) resta sempre soggetto al sistema nazionale e rispetto al quale egli, quindi, esercita la propria funzione dirigenziale, ma sul quale non ha alcun titolo per intervenire in merito agli aspetti operativi dell'indagine. Pur nei ristretti limiti di questo contributo, vale la pena, tra gli altri aspetti, sottolineare che quando l'art. 4, comma 1 lett. e) della legge 117 del 2019 prevede che il legislatore delegato debba integrare le disposizioni dell'ordinamento giudiziario che prevedono la trasmissione di copia del decreto motivato di avocazione al Consiglio Superiore della Magistratura e ai procuratori della Repubblica interessati, prevedendo un'analoga trasmissione nel caso di decisione motivata da parte del procuratore europeo ai sensi dell'articolo 28 del regolamento (UE) 2017/1939 si riferisce ad una specifica figura, prevista dal regolamento EPPO, il cui parallelismo con l'avocazione nel sistema nazionale può essere oggetto di riflessione. Questo è bene chiarirlo, perché il richiamo alla trasmissione di copia del decreto di avocazione al CSM potrebbe fare pensare a qualcosa di simile a quanto previsto dall'art. 70, comma 6, del R.D. n. 12/1941, che prevede che Quando il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte di appello dispone l'avocazione delle indagini preliminari nei casi previsti dalla legge, trasmette copia del relativo decreto motivato al Consiglio superiore della magistratura e ai Procuratori della Repubblica interessati. Questo adempimento, nella nuova disciplina dell'avocazione nazionale di cui all'art 407 e 412 c.p.p., a seguito della legge n. 103 del 2017, era stato interpretato come suscettibile di assumere, velatamente, connotati di rilievo disciplinare, per quanto gli stessi, come chiarito dal Consiglio Superiore nella risoluzione del 16 maggio 2018, siano, in realtà, tutti da valutare e certamente non legati ad alcun criterio di automatismo con l'esercizio dell'avocazione. Il termine avocazione nel regolamento EPPO è, invece, utilizzato espressamente nell'art. 27 del regolamento, ed attiene a tutt'altro contesto, quello della ripartizione di giurisdizione tra il pubblico ministero nazionale e l'EPPO. Tuttavia il riferimento letterale della delega all'art. 28 del regolamento fa pensare che il meccanismo al quale si riferisce la norma non è la “avocazione” in senso stretto, di cui al citato art. 27 del regolamento, ma quello previsto, appunto, nell'art. 28, che si occupa del caso in cui il Procuratore Europeo, il magistrato dell'ufficio centrale normalmente addetto a supervisionare l'indagine e collaborare ad alcune decisioni nella stessa, decide, invece, di condurre l'indagine in prima persona al posto del PED, tenuto conto della gravità dei reati, o se l'indagine riguarda funzionari delle istituzioni europee. In tal caso, prevede il regolamento, le autorità nazionali devono essere informate perché devono mettere in condizione il Procuratore Europeo di svolgere la propria indagine, sia sotto il profilo pratico che giuridico. Se è così, la ratio della norma di cui all'art. 3, comma 3, lett e) della legge 117, potrebbe allora avere un significato solo in un'ottica di informativa al CSM (e quindi, anche in questo caso a titolo di conoscenza, essendo evidente che l'organo non ha alcuna funzione nelle indagini); tuttavia, il fatto che la delega preveda di “integrare le disposizioni dell'ordinamento giudiziario” fa pensare che, in realtà, il legislatore abbia effettivamente voluto creare un parallelismo tra questa ipotesi e quella dell'avocazione “nazionale”, per quanto l'atto di cui all'art. 28 del regolamento EPPO (tra l'altro del tutto interno all'ufficio europeo) trovi giustificazione esclusivamente nell'oggetto dell'indagine o nelle condizioni oggettive per condurla, e non nell'eventuale inerzia del PED. Non potendosi procedere, come detto, ad un'analisi eccessivamente dettagliata delle altre norme della legge 117, vale però la pena mettere in rilievo che la stessa prevede anche, ai fini dello svolgimento delle indagini dell'EPPO nel territorio italiano:
Anche solo da queste poche considerazioni si comprende, quindi, la rilevanza della novità che si proietta sul sistema nazionale, e sarà interessantissimo vedere come si manifesterà nella pratica il rapporto tra A.G. nazionale ed il nuovo ufficio europeo. L'art. 6 della legge 117/2019 prevede poi anche significative novità in tema di mandato di arresto europeo. Da notare che, sul tema, l'anno in corso è già stato prodigo di novità. L'art. 8 della legge n. 37 del 3 maggio 2019, recante Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, la Legge europea 2018, e cioè l'altro strumento, accanto appunto alla legge di delegazione europea, con cui l'Italia si conforma alla normativa dell'Unione, ha stabilito che le disposizioni della l. 22 aprile 2005, n. 69 (sul mandato di arresto europeo), costituiscono altresì attuazione dell'Accordo tra l'Unione europea e la Repubblica d'Islanda e il Regno diNorvegia e che I riferimenti delle disposizioni della presente legge al mandato d'arresto europeo e allo Stato membro devono intendersi fatti, nell'ambito della procedura di consegna con l'Islanda o la Norvegia, rispettivamente, al mandato di arresto che costituisce l'oggetto dell'Accordo ... e alla Repubblica d'Islanda o al Regno di Norvegia. L'Italia ha, sin dalla conclusione dell'accordo, optato in favore della completa assimilazione delle procedure di consegna da e verso la Norvegia e l'Islanda a quelle con gli Stati membri dell'Unione, escludendo così di far residuare in mano al Ministro della Giustizia il potere di decisione finale in ordine alla consegna. La legge 117 del 2019 prevede ora alcune modifiche della legge n. 69 del 2005, che ha recepito la decisione quadro 2002/584/GAI sul MAE; la più rilevante appare quella che consiste nella introduzione di motivi facoltativi di rifiuto di esecuzione del mandato, ovviamente nella procedura “passiva”, cioè quando l'autorità italiana è richiesta da quella di un altro Stato Membro di consegnare una persona. Mentre, cioè, fino alla legge 117 i motivi di rifiuto erano enucleati in un'unica norma, l'art. 18 della legge 69 del 2005, che in virtù del tenore letterale della frase di apertura del comma 1 - La corte di appello rifiuta la consegna nei seguenti casi - portava a ritenere che si trattasse di motivi obbligatori di rifiuto, ora la legge 117 ha introdotto nella legge 69 del 2005 l'art 18-bische prevede i motivi di rifiuto facoltativo della consegna, in linea con lo spirito ed il testo della direttiva che, in realtà, prevede tale distinzione. La novità che appare più rilevante è quella per cui l'esecuzione di un MAE contro un cittadino italiano (così come contro un cittadino di altro Stato membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano), l'esecuzione di un MAE quando per lo stesso fatto, nei confronti della persona ricercata, e' in corso un procedimento penale in Italia, e l'esecuzione di un mandato che riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, diventano – fatta salva la ricorrenza di altre condizioni previste dalla legge - motivo di rifiuto facoltativo anziché sostanzialmente obbligatorio come era in precedenza. Si tratta di una modifica in linea, come detto, con il testo della decisione quadro europea e che quindi contribuisce ad eliminare una lieve disarmonia nella creazione di un'effettiva area comune europea di giustizia penale. In conclusione
La direttiva PIF e, soprattutto, il regolamento EPPO rappresentano due pietre miliari non solo nel campo della lotta alle frodi comunitarie, ma nello sviluppo del diritto penale europeo in generale; del resto, in questa materia, il settore della tutela degli interessi finanziari dell'Unione è sempre stato il campo di elezione e privilegiato. Il compito al quale è chiamato ora il legislatore italiano è significativo; certamente, una volta che lo avrà portato a termine, la penetrazione del diritto penale europeo nel sistema nazionale avrà raggiunto uno stadio avanzato ed impensabile fino a pochi anni fa, eguagliato solo dall'azione della Corte di Giustizia con sentenze, quale la prima decisione del “caso Taricco”, che, però, dimostrano anche come la convivenza tra i due sistemi penalistici non è sempre facile. Tuttavia, non va dimenticato il traguardo cui tende un diritto penale europeo pienamente sviluppato: la creazione di un'autentica area comune di giustizia penale che, è sempre bene ricordare, non deve rappresentare un vantaggio, rispetto alla situazione attuale, solo per chi le indagini le conduce, ma anche per chi ad esse è sottoposto. In dottrina sul tema: La Vattiata, La nuova direttiva PIF. Riflessioni in tema di responsabilità da reato degli enti giuridici, gruppi societari e reati tributari, in Giurisprudenza Penale, 2019, 9; Finocchiaro, Note a prima lettura del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (“Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”), in www.sistemapenale.it del 18.11.2019; Parisi, Chiari e scuri nella direttiva relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, in Giurisprudenza Penale Web, 2017; Salazar, Habemus EPPO! La lunga marcia della Procura europea, in Archivio Penale, 2017, n. 3; Ubiali, La disciplina italiana in materia di corruzione nell'ultimo rapporto del greco: tra le criticità, la corruzione degli arbitri, la corruzione internazionale, il finanziamento dei partiti, in Diritto Penale Contemporaneo, luglio 2018 |