Il concordato in continuità tra normativa vigente e Codice della crisi

29 Novembre 2019

I recenti interventi normativi hanno accentuato il favor del legislatore verso il concordato in continuità, volto ad assicurare all'azienda in crisi il reinserimento sul mercato, dopo il processo di ristrutturazione, rispetto a quello liquidatorio. L'Autore, dopo aver esaminato la disciplina speciale del concordato in continuità ed affrontato la questione concernente la riconducibilità dell'affitto di azienda all'ambito applicativo dell'art. 186-bis legge fall., analizza le novità in tema di continuità aziendale apportate dal Codice della crisi dì'impresa e dell'insolvenza.
Premessa

I recenti interventi normativi hanno accentuato il favor del legislatore verso il concordato in continuità, volto ad assicurare all'azienda in crisi il reinserimento sul mercato, dopo il processo di ristrutturazione, rispetto a quello liquidatorio.

L'Autore, dopo aver esaminato la disciplina speciale del concordato in continuità ed affrontato la questione concernente la riconducibilità dell'affitto di azienda all'ambito applicativo dell'art. 186-bis l.fall., analizza le novità in tema di continuità aziendale apportate dal Codice della crisi dì'impresa e dell'insolvenza.

Concordato in continuità, liquidatorio e misto

Il concordato in continuità, come noto, ha trovato regolamentazione nel nostro ordinamento con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 183, attraverso gli artt. 186-bis e 182-quinquies, comma 4 (ora comma 5), della vigente legge fallimentare (a ben vedere, già antecedentemente alla novella del 2012 era ritenuto ammissibile il concordato fondato sulla prosecuzione dell'attività dell'impresa. Sulla questione, v. per tutti L. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fall., 2013, 1225, in particolare nota 14 ).

In particolare, ai sensi dell'art. 186-bis, comma 1, legge fall.,lo stesso opera quando il piano di concordato prevede:

a) la prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore;

b) la cessione dell'azienda in esercizio;

c) il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione.

Il concordato in continuità (detto anche di risanamento) si fonda, pertanto, su un piano aziendale che prevede la prosecuzione dell'attività d'impresa al fine del superamento della crisi e del recupero della solvenza del debitore e rappresenta un'alternativa al concordato con cessione dei beni (definito anche liquidatorio), di cui all'art. 182 legge fall., nel quale il debitore mette a disposizione dei creditori tutto il suo patrimonio (c.d. cessio bonorum), proponendo il pagamento dei crediti chirografari in una percentuale comunque tale da realizzare il soddisfacimento dei medesimi, in tempi relativamente ragionevoli.

A queste due tipologie di concordato preventivo nella prassi se ne è aggiunta una terza, nota come concordato misto, caratterizzato dalla coesistenza di una componente di continuità aziendale ed una componente liquidatoria.

Sulla definizione di questa forma di procedura concordataria non vi è unanimità di vedute. Per alcuni, infatti, il concordato si definisce misto quando alla prosecuzione dell'attività si affianca la cessione a terzi dell'azienda in esercizio o il suo conferimento in una o più società; per altri, invece, quando alla prosecuzione dell'attività aziendale si affianca la liquidazione dei beni estranei al perimetro aziendale e non funzionali alla prosecuzione dell'attività medesima (per un approfondimento si rinvia a F. Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il cd. concordato “misto”?, in IlFallimentarista, 16 settembre 2015. In giurisprudenza, cfr. Trib. Roma 31 luglio 2015, decr., con nota critica di L. Campione, Concordato in continuità con cessione dei beni: è necessario nominare un liquidatore giudiziale?, in IlFallimentarista, 5 novembre 2015; Trib. Roma 22 aprile 2015, n. 17, decr., in Il Fallimentarista, 15 settembre 2015).

Tale opinione, tuttavia, a parere di chi scrive non è scevra da critiche dal momento che, trovando la sua ratio nello stesso art. 186-bis legge fall. - che consente al proponente di prevedere la liquidazione di beni non funzionali - sembrerebbe più propriamente potersi considerare come una delle modalità di esecuzione della proposta di concordato in continuità.

La differenza, a ben vedere, non è di poco conto in quanto la non corretta configurazione della procedura concordataria origina dubbi in relazione alla disciplina da applicare - quella speciale ex art. 186-bise 182-quinquies, comma 5, legge fall. o quella prevista dall'art. 182; l'eventuale applicazione della percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari ai sensi dell'art. 160, comma 4, legge fall.; quella inerente alle proposte concorrenti; nonché sulla necessità della nomina del liquidatore giudiziale. Nel concordato con continuità aziendale, infatti, il “piano può prevedere anche la liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa”, ma è il debitore a dover procedere alla loro liquidazione ed al pagamento dei creditori in misura in ogni caso superiore a quella che potrebbe loro derivare dalla liquidazione dell'intero patrimonio della società (così Trib. Milano 1 marzo 2014, decr., in IlFallimentarista. A parere di Trib. Prato 30 aprile 2014, in Ilcaso.it, qualora il piano preveda la continuazione dell'attività aziendale e la liquidazione di un unico bene non strategico, è possibile soprassedere alla nomina del liquidatore predisponendo tuttavia adeguati strumenti di informazione al fine di mantenere costantemente monitorata all'attività del commissario giudiziale). Nel concordato liquidatorio, invece, in virtù della cessione dei beni ai creditori le operazioni anzidette sono svolte dal liquidatore giudiziale nominato ai sensi dell'art. 182 legge fall.

Sulla questione, per la prevalente giurisprudenza di merito, al fine di individuare le norme da applicare in presenza di concordato misto, è necessario verificare se le operazioni di dismissioni previste, ulteriori rispetto all'eventuale cessione dell'azienda in esercizio, siano o meno prevalenti in termini quantitativi e qualitativi, rispetto al valore dell'azienda che permane in esercizio, anche se per mezzo di cessione a terzi (in questa direzione Trib. Treviso 26 luglio 2016, in IlFallimentarista; Trib. Pistoia 29 ottobre 2015, in IlFallimentarista, 25 novembre 2015, con nota critica di C. Ravina, Concordato preventivo: prime applicazioni delle nuove disposizioni di cui al d.l. 83/2015; Trib. Roma 24 marzo 2015 e Trib. Mantova 19 settembre 2013, entrambe in Ilcaso.it).

La disciplina speciale del concordato in continuità

La disciplina del concordato in continuità si applica indistintamente a tutte le ipotesi nelle quali l'imprenditore in crisi prosegua nella sua attività d'impresa, sia nei casi in cui la gestione sia diretta a tempo indeterminato, sia nei casi in cui la gestione, comunque diretta, sia funzionale al mantenimento dei valori in funzione di una cessione dell'azienda, realizzabile anche attraverso il conferimento in una o più società (sulla possibilità di continuità aziendale in presenza di affitto di azienda, v. infra).

Il concordato in continuità presuppone, pertanto, la prosecuzione dell'attività imprenditoriale da parte del debitore nel corso della procedura, con la conseguente imputazione del rischio di impresa al debitore medesimo - attraverso una gestione diretta a tempo indeterminato o attraverso una gestione funzionale alla futura cessione o conferimento della medesima, volta comunque alla massimizzazione del valore di realizzo o del risanamento dell'azienda con maggiori prospettive di soddisfacimento dei creditori. Per questa ragione, il legislatore richiede che il piano debba contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi alla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura (art. 186-bis, comma 2, lett. a, legge fall.), nonché l'attestazione del professionista che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista nel piano concordatario sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (art. 186 bis, comma 2, lett. b, l. fall.).

La ratio del citato secondo comma, lett. a), dell'art. 186-bis,è quella di fornire ai creditori adeguata evidenza, anche da un punto di vista economico e patrimoniale, delle conseguenze della continuità aziendale, al fine di consentire loro di valutare l'ammontare delle risorse destinate a tale scopo e, quindi, sottratte, almeno in una prima fase, all'immediato soddisfacimento dei creditori.

Con riferimento al disposto di cui al secondo comma, lett. b), invece, l'attestatore dovrà acclarare che i proventi relativi all'attività caratteristica o, in alternativa, l'incasso derivante dalla collocazione dell'azienda in funzionamento sul mercato, sono tali da consentire di corrispondere ai creditori un importo maggiore rispetto a quello che, verosimilmente, riceverebbero in presenza di un concordato liquidatorio. In tale ottica, l'anzidetto art. 186-bis, comma 7, stabilisce che, ove nel corso di una procedura concordataria con continuità aziendale l'esercizio dell'attività imprenditoriale cessa o risulta dannosa per i creditori, senza che si proceda a variare il piano e la proposta in senso liquidatorio, il tribunale provvede alla revoca della procedura ai sensi dell'art. 173 legge fall.

Altra peculiarietà del concordato in continuità è rappresentata dalla possibilità di prevedere nel piano - fermo quanto disposto dal'art. 160, comma 2, legge fall. - una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (art. 186-bis, comma 2, lett.c). In questa circostanza, il legislatore chiarisce che i creditori muniti di cause di prelazione non hanno diritto di voto evidenziando, implicitamente, che tale diritto spetta comunque in presenza di moratoria superiore all'anno.

Tale disposizione, come osservato dalla giurisprudenza di merito, ha natura eccezionale e si giustifica con la peculiarità, tipica del concordato in continuità, della prosecuzione dell'attività commerciale, la quale giustifica il sacrificio degli interessi dei creditori prelazionari. Per questa ragione, la moratoria non è applicabile al concordato liquidatorio nel quale vige, al contrario, il principio generale che impone al debitore di prevedere l'immediata cessione dei propri beni con effetto dalla data di omologazione del concordato (Trib. Rovigo 15 maggio 2015, in ilcaso.it). Al riguardo, è stato osservato che il richiamo al secondo comma dell'art. 160 “segna con chiarezza la distinzione tra moratoria e falcidia”: quest'ultima, infatti, attiene al quantum del soddisfacimento (che relativamente ai creditori privilegiati deve essere integrale, sempre però nei limiti della capienza del bene sul quale insiste la garanzia, stimato nella prospettiva della liquidazione fallimentare); la moratoria, a sua volta, attiene al tempo dell'adempimento.

Altro elemento caratterizzante il concordato in continuità è la prosecuzione dei contratti con la pubblica amministrazione. Ai sensi del terzo comma dell'art. 186-bis, infatti, fermo restando quando disposto nell'art. 169-bis legge fall., i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura; sono inefficaci eventuali patti contrari. In particolare, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici qualora l'esperto attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento.

Il quinto comma dell'art. 186-bis precisa, inoltre, che l'ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l'impresa presenta in gara: a) la relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), legge fall., che attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto; b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica, nonché di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione dell'appalto ed a subentrare all'impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all'appalto. In ogni caso, successivamente al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, previo parere del commissario giudiziale, ove nominato; in mancanza di tale nomina, provvede il tribunale (art. 186-bis, comma 4).

In presenza di concordato in continuità, infine, è consentito il pagamento dei debiti pregressi, a condizione che siano strategici per l'attività d'impresa, cioè necessari per la prosecuzione della medesima. L'art. 182 quinquies,comma 5, legge fall., infatti, consente al debitore che presenta domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, anche con riserva, di chiedere al tribunale l'autorizzazione, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti suddetti attesta che queste prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. L'attestazione del professionista non e' comunque necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell'ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori.

A ben vedere, quest'ultima disposizione rappresenta un'importante deroga al principio della par condicio creditorum nell'ambito del concordato, dal momento che consente di pagare alcuni creditori concorsuali prima del tempo previsto ed al di fuori dei riparti; deroga che trova giustificazione con la difficoltà di proseguire per altra via nell'attività d'impresa se non si assicura il pagamento anche dei debiti anteriori per forniture di beni e servizi di importanza fondamentale per il mantenimento dell'azienda in esercizio.

La disposizione di cui al quinto comma dell'art. 182-quinquies interviene, di fatto, in una duplice direzione: da un lato, limitando la possibilità del pagamento alle sole prestazioni essenziali per la prosecuzione dell'attività d'impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori; dall'altro, rendendo possibile tale pagamento nel periodo intercorrente tra la presentazione della domanda ed il decreto di ammissione ed estendendo, peraltro, la possibilità di presentare la richiesta anche nell'ipotesi in cui il debitore abbia depositato una domanda di ammissione con riserva (Trib. Modena 22 ottobre 2012, decr. Per Trib. Milano 22 dicembre 2014, i creditori strategici anteriori al concordato preventivo sono soggetti al concorso al pari di tutti gli altri creditori anteriori e non possono, pertanto, essere considerati estranei al concordato).

Continuità aziendale attraverso l'affitto di azienda

Tra le questioni maggiormente dibattute, in considerazioni anche delle implicazioni di ordine pratico, va senza dubbio annoverata quella concernente la riconducibilità dell'affitto d'azienda all'ambito applicativo dell'

art. 186-

bis

legge fall

., atteso che tale disposizione, accanto alla fattispecie della c.d. continuità diretta (cioè la prosecuzione dell'attività ad opera del medesimo imprenditore in crisi), non fa alcuna menzione di questa ipotesi (c.d. continuità indiretta), citando soltanto la cessione di azienda in esercizio e il suo conferimento.

Sulla questione, risulta necessario distinguere, preliminarmente, l'affitto “fine a se stesso”, cioè il caso di prosecuzione dell'attività aziendale per mezzo dell'affittuario senza tuttavia prevedere contestualmente un obbligo di acquisto a suo carico entro un dato termine, da quello propedeutico al trasferimento dell'azienda o di un ramo della medesima.

Il primo, infatti, non rientra nel perimetro della fattispecie in esame, come si evince, peraltro, dallo stesso tenore letterale dell'art. 186-bis. Diversa, invece, è l'ipotesi di affitto prodromico alla cessione del complesso aziendale, nella duplice forma sia di contratto la cui stipulazione rappresenti un elemento del piano concordatario (in quanto tale di futura realizzazione), sia di contratto pendente all'epoca del deposito del ricorso ex art. 161 legge fall.

Sulla riconducibilità dell'affitto di azienda nel perimetro applicativo del concordato in continuità non vi è unanimità di vedute.

Secondo un orientamento, che si è progressivamente affermato in giurisprudenza, il concetto di continuità aziendale va inteso in senso oggettivo e, dunque, ben può sussistere anche in presenza di procedure concordatarie che conducono alla dissoluzione dell'imprenditore e comportano il travaso dell'azienda a terzi, purché l'azienda in sé e per sé non venga meno. La nozione di continuità aziendale ricomprenderebbe, pertanto, sia la fattispecie della continuità diretta dell'attività in capo all'imprenditore, sia quella della continuità indiretta. In questa ottica, l'affitto di azienda stipulato prima della presentazione della domanda di concordato, come quello da stipularsi in corso di procedura concordataria non sarebbe, nel caso in cui vi sia la previsione di successiva cessione dell'azienda in esercizio, di ostacolo all'applicabilità della disciplina tipica del concordato in continuità, essendo l'affitto un mero strumento giuridico ed economico finalizzato proprio ad evitare una perdita di funzionalità ed efficienza dell'intero complesso aziendale in vista di un suo successivo passaggio a terzi (Trib. Alessandria 22 marzo 2016, in Ilcaso.it; Trib. Bolzano 10 marzo 2015, ivi; Trib. Roma 24 marzo 2015, ivi; Trib. Vercelli 13 agosto 2014, ivi; Trib. Cuneo 29 ottobre 2013, ivi; Trib. Mantova 19 settembre 2013, ivi; Trib. Monza 11 giugno 2013, in IlFallimentarista).

Per i sostenitori di questa teoria, la riconducibilità dell'affitto di azienda al concordato in continuità troverebbe peraltro conferma nello stesso primo comma dell'art. 186-bis,che fa espresso riferimento ad un piano che preveda la “cessione dell'azienda in esercizio, sempre che il debitore sottoscriva un contratto di affitto di azienda, con impegno irrevocabile di acquisto, prima della presentazione della domanda di concordato, ovvero in pendenza di procedura (previa autorizzazione del giudice delegato ex art. 167 legge fall.), prevedendo, nella proposta, che il pagamento dei creditori avvenga con le risorse derivanti dai canoni corrisposti dall'affittuario in pendenza di procedura e dalla vendita dell'azienda a seguito dell'omologa. Del resto, lo spartiacque cui ricorrere è di tipo oggettivo, non soggettivo: quello che conta è che l'azienda sia in esercizio (non rileva se ad opera dell'imprenditore medesimo o di un terzo), tanto al momento dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo, quanto all'atto del suo successivo trasferimento, apparendo in tale circostanza incontestabile che il rischio d'impresa continui a gravare, seppure indirettamente, sul soggetto in concordato e che l'andamento dell'attività incida, in ultima analisi, sulla fattibilità del piano.

All'interno di tale orientamento si contraddistingue una corrente dottrinaria che, tuttavia, reputa in continuità esclusivamente l'affitto di azienda successivo alla domanda di concordato (o, benché anteriore, con effetto successivamente alla domanda, in conformità alle regole della procedura) e non anche l'ipotesi di affitto anteriore alla domanda, poiché “non sembra questa, obiettivamente, la fattispecie considerata dal legislatore nel dettare la norma, specie là dove essa postula la necessità di indicare i costi e i ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, nonché le risorse finanziarie necessarie e le relative modalità di copertura”.

Secondo un orientamento giurisprudenziale e dottrinale più rigoroso, invece, tale fattispecie integra, di fatto, un concordato liquidatorio e non rientra nella figura del concordato con continuità neppure come ipotesi di “cessione dell'azienda in esercizio”, dal momento che l'espressione “in esercizio” va interpretata nel senso che l'azienda debba rimanere nella gestione del debitore sino alla fase esecutiva del piano di concordato (cioè quella successiva all'omologa) in cui verrà ceduta per l'appunto “l'azienda in esercizio”. La continuità aziendale, pertanto, andrebbe intesa come continuità diretta, con conseguente esclusione nel perimetro applicativo della norma dettata dall'art. 186-bis l. fall. dell'affitto d'azienda oggetto del patto di concordato. A tale conclusione si giungerebbe sia per l'argomento testuale di cui al primo comma dell'articolo citato; sia perché in tale ipotesi non si ha trasferimento di proprietà (in questo senso F. Lamanna, La legge fallimentare dopo il decreto sviluppo, Milano,2012, 58); sia, infine, per la mancanza di riferimento all'affittuaria al terzo comma dello stesso art. 186-bis, laddove sono menzionate come beneficiarie della continuazione dei contratti con la pubblica amministrazione soltanto le società cessionarie o conferitarie dell'azienda (così Trib. Pordenone 4 agosto 2015, in IlFallimentarista).

Le suddette considerazioni, unitamente al fatto che la principale conseguenza dell'attività in svolgimento, e quindi della continuità aziendale, è rappresentata dal rischio d'impresa che continua a gravare sul debitore, ossia prestatore di equity e sui creditori, ossia prestatori di capitale di credito, mentre in presenza di affitto d'azienda tale rischio ricade esclusivamente sull'affittuario, hanno indotto alcuni studiosi a considerare incompatibile il concordato in continuità con l'affitto d'azienda.

Sulla questione si sono espressi di recente i giudici di legittimità (Cass. 19 novembre 2018, n. 29742, in IlFallimentarista, 7 maggio 2019, con commento di L.A. Bottai, Concordato in continuità mediante affitto di azienda: le notevoli implicazioni della pronuncia della Cassazione), secondo i quali il concordato in continuità è configurabile anche quando l'azienda sia già stata affittata o sia destinata ad esserlo, rilevandosi affatto indifferente la circostanza che, al momento dell'ammissione alla predetta procedura concorsuale o del deposito della relativa domanda, l'azienda sia esercitata dal debitore o, come nel caso dell'affitto della stessa da un terzo, in quanto il contratto d'affitto – recante, o meno, l'obbligo dell'affittuario di procedere, poi, all'acquisto dell'azienda – può costituire uno strumento per giungere alla cessione o al conferimento dell'azienda senza il rischio della perdita dei suoi valori intrinseci, primo tra tutti l'avviamento, che un suo arresto, anche momentaneo, rischierebbe di produrre in maniera irreversibile.

Il concordato in continuità nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

Il favor per la continuità aziendale rispetto al concordato liquidatorio, in linea con l'orientamento legislativo degli ultimi anni, è stato ribadito dal Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicato sulla G.U. n. 38 del 14 febbraio 2019), la cui entrata in vigore - per la quasi totalità delle disposizioni contenute (tra cui quelle sul concordato preventivo) - è prevista per il 15 agosto 2020 (sul tema, D. Corrado, Aspetti critici della disciplina del concordato in continuità nel Codice della crisi, in IlFallimentarista, 16 agosto 2019).

L'art. 84 del Codice della crisi (di seguito CCI) – rubricato Finalità del concordato preventivo – dopo aver evidenziato al primo comma che con tale procedura il debitore realizza il soddisfacimento dei ceto creditorio attraverso la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio, al secondo comma recita: “la continuità può essere diretta, in capo all'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, in caso sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ed e' previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione. In caso di continuità diretta il piano prevede che l'attività d'impresa e' funzionale ad assicurare il ripristino dell'equilibrio economico finanziario nell'interesse prioritario dei creditori, oltre che dell'imprenditore e dei soci. In caso di continuità indiretta la disposizione di cui al periodo che precede, in quanto compatibile, si applica anche con riferimento all'attività aziendale proseguita dal soggetto diverso dal debitore”.

Il terzo comma del sopra citato articolo, a sua volta, stabilisce che nel concordato in continuità “i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino. La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso. A ciascun creditore deve essere assicurata un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile”; utilità che, conclude tale comma, “può anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.

Dalla lettura del secondo e terzo comma dell'art. 84 CCI, emergono, pertanto, quali elementi di novità rispetto alla normativa vigente che:

  • tra le fattispecie di continuità indiretta (cioè la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività aziendale da parte di soggetto terzo diverso dal debitore) è espressamente prevista l'affitto d'azienda, perfezionato anche antecedentemente la presentazione della proposta di concordato;
  • affinché possa parlarsi di continuità indiretta è altresì necessario che il contratto o il titolo in forza del quale il soggetto diverso gestisce l'azienda in esercizio o riprende l'attività contengano la previsione del mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi anteriori al deposito del ricorso, fino ad un anno dall'omologazione;
  • nel concordato in continuità il soddisfacimento dei creditori deve avvenire in misura prevalente dal ricavato ottenuto dalla continuità aziendale stessa diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino;
  • la prevalenza della continuità sull'attività liquidatoria sussiste sempre nel caso in cui i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni del piano derivano da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà dei lavoratori in forza al momento del deposito del ricorso.

Ulteriori novità sono contenute nell'art. 86 CCI, che consente la moratoria fino a due anni (rispetto al termine annuale previsto dalla normativa vigente) dall'omologazione, per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca (salvo il caso di liquidazione dei beni interessati dalla causa di prelazione) e prevede il diritto di voto ai creditori privilegiati per la differenza tra il credito aumentato degli interessi legali ed il valore dei pagamenti previsti nel piano calcolato alla data di presentazione della domanda (in base alla metà del tasso di sconto stabilito dal D.Lgs. 231/2001 in tema di ritardi nei pagamenti dei crediti commerciali).

Risultano invece confermate, in presenza di continuità aziendale – al pari dell'attuale art. 186-bis, comma 2, legge fall. - la clausola del miglior soddisfacimento dei creditori (art. 87, comma 1, lett. f, CCI) e la necessità della relazione di un professionista indipendente avente ad oggetto l'attestazione che la prosecuzione dell'attività d'impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (art. 87, comma 3).

Il ricorso al concordato in continuità consente al debitore l'esonero dal rispetto delle soglie previste dal quarto comma dell'art. 84 CCI in presenza di concordato liquidatorio, quali l'apporto di risorse esterne che incrementino di almeno il dieci per cento, rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari ed il soddisfacimento di questi ultimi in misura pari ad almeno il 20% dell'ammontare complessivo dei chirografi.

Conclusioni

Le innovazioni legislative degli ultimi anni hanno quindi evidenziato l'accentuarsi di un atteggiamento di favoreverso il concordato preventivo in continuità, volto a consentire all'azienda in crisi il reinserimento sul mercato, dopo il processo di ristrutturazione, con conseguente indebolimento di quello liquidatorio.

La preferenza del legislatore per il concordato in continuità è altresì ribadita nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza che, in un certo qual modo, ha sancito il declino del concordato liquidatorio. La disciplina del Codice della crisi, infatti, è ispirata a favorire, nei limiti del possibile, la conservazione della continuità aziendale (“going concern”, secondo la terminologia anglosassone), anche in maniera indiretta ed a preservare i livelli occupazionali, nel rispetto del soddisfacimento dei creditori.

La novella legislativa risolve altresì alcune delle annose questioni sorte con la normativa vigente, quali quella concernente la continuità aziendale in presenza di affitto di azienda – attraverso il riconoscimento della c.d. continuità oggettiva che si ha in tutte le ipotesi di prosecuzione dell'attività aziendale, anche se condotta da soggetto diverso dal debitore - e quella inerente alla definizione di prevalenza, necessaria al fine di qualificare una procedura concordataria in continuità e, come tale, soggetta alla disciplina speciale o liquidatoria e, quindi, sottoposta alle anzidette soglie previste dall'art. 84, comma 4, CCI.

Il Codice della crisi, tuttavia, non disciplina le conseguenze del mancato mantenimento dei livelli occupazionali previsti dal piano, ovvero la violazione da parte del terzo avente causa del debitore concordatario degli obblighi di cui al secondo comma dell'art. 84 CCI lasciando, pertanto, aperte diverse questioni interpretative.

Secondo alcuni, infatti, il mancato rispetto di tale disposizione non potrebbe condurre in modo automatico alla risoluzione del concordato. Per altri, al contrario, l'anzidetta violazione darebbe origine alla risoluzione del concordato preventivo per inadempimento, pur essendo l'inadempimento medesimo addebitabile al terzo.

Sulla questione, al fine di dirimere inevitabili dubbi esegetici, sarebbe opportuno un intervento chiarificatore del legislatore in sede di adozione delle disposizione integrative e correttive del Codice della crisi di cui alla L. 8 marzo 2019, n. 20 (con la L. 20/2019 è stata assegnata al Governo una nuova delega per la promulgazione di disposizioni integrative e correttive della riforma della disciplina della crisi di impresa e dell'insolvenza).

Sommario