Parametri intermedi tra tabelle milanesi e tabelle romane per il danno ai congiunti?
03 Dicembre 2019
Massima
Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale dei fratelli e dei nipoti non conviventi della vittima deceduta in un sinistro stradale può essere quantificato in via equitativa in una somma intermedia tra l'importo minimo fissato dalla tabella di Milano e (operata la personalizzazione variabile conseguente all'età dei danneggiati e la riduzione per l'assenza di convivenza) i parametri minimi della tabella di Roma. Il caso
Il caso approdato alla Corte di Appello di Trento su rinvio della Cassazione (Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2018, n. 10321) rileva per le inedite modalità di liquidazione dei danni non patrimoniali da perdita di congiunto risarciti a fratelli, sorelle e nipoti non conviventi di un uomo di origini macedoni residente vicino a Trento il quale, alla giovane età di 48 anni, era deceduto in occasione di un sinistro stradale intervenuto in Serbia mentre si trovava a viaggiare a bordo di una vettura. Insieme alla vedova, ai figli ed ai genitori della vittima anche tali attori avevano agito avanti il Tribunale di Trento, che, pur ritenendo da applicarsi la legge serba in base all'art. 62 della legge n. 218/1995, aveva liquidato vedova, figli e genitori sulla base dei parametri tabellari milanesi (Trib. Trento, 15 febbraio 2013, n. 128). Questi valori erano stati ritenuti applicabili, per la vedova in misura prossima alla somma massima, in quanto la predetta normativa straniera riconosceva il diritto dei congiunti conviventi a conseguire un «equo risarcimento in denaro» per il «dolore emotivo» prodotto dalla morte del loro famigliare senza fissare a livello legislativo parametri monetari. In particolare, il Tribunale trentino aveva assunto a riferimento le “tabelle milanesi”, così motivando: «l'attributo “giusto” riferito [dal diritto serbo] al risarcimento in denaro spettante per il dolore emotivo da riconoscere agli stretti famigliari della persona deceduta richiama l'equità come criterio da utilizzare nelle operazioni di liquidazione. Così operando può essere fatto riferimento alle tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto elaborate presso il Tribunale di Milano, che la Suprema Corte ha indicato quale valido criterio di liquidazione». Sempre il Tribunale, invece, aveva respinto le azioni proposte dai sette fratelli/sorelle e dai due nipoti, prevedendo la legge serba il ristoro dei primi soltanto nei casi di durevole convivenza con la vittima primaria e la stessa non contemplando la tutela risarcitoria dei nipoti. L'assicurazione per la r.c.a. aveva impugnato tale pronuncia di primo grado, lamentando, per quanto qui di interesse, il ricorso ai parametri giurisprudenziali nazionali invece che a quelli serbi; i famigliari esclusi, dal canto loro, avevano rilevato l'incompatibilità della legge serba con l'ordine pubblico italiano e, quindi, avevano domandato l'applicazione del diritto italico. La sentenza di secondo grado (App. Trento, 24 marzo 2015, n. 103) aveva confermato la legittimità dell'applicazione dei criteri liquidativi di cui alle “tabelle milanesi”, «ciò in considerazione del fatto che la normativa italiana nella subiecta materia non è dissimile, nella sostanza, da quella applicabile nella definizione della presente controversia, dal momento che entrambe le discipline mirano a garantire l'effettività del ristoro, con particolare riguardo alla tutela del diritto al mantenimento e degli affetti famigliari». Il Collegio trentino, altresì, aveva ritenuto come la mancanza - sia nella normativa serba che in quella italiana - dell'indicazione per via legislativa di precise modalità di liquidazione fosse in effetti tale da consentire al Tribunale «da un lato di provvedere secondo i criteri ispirati a ragionevolezza e dall'altro lato di fare ricorso ad equità. Sotto questo profilo, la quantificazione del risarcimento spettante ai danneggiati a cui è pervenuto il tribunale […] (c.d. tabelle milanesi) non pare in contrasto con la disciplina del diritto internazionale privato e, quindi, in definitiva, con la legge serba che regola la presente controversia». La Corte di Appello, invece, non aveva mutato opinione relativamente ai congiunti esclusi dalla tutela risarcitoria è così il tema era pervenuto alla Suprema Corte. Quest'ultima, consegnando un precedente di sicura importanza sul tema dei limiti posti all'applicazione di leggi straniere restrittive della tutela risarcitoria di diritti fondamentali, perveniva ad affermare, in riforma della pronuncia impugnata, il sicuro diritto dei fratelli e dei nipoti della vittima al risarcimento dei danni sulla base del seguente principio: «Una legge straniera che restringa la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita del congiunto esclusivamente al caso in cui costui fosse convivente è da ritenere contraria all'ordine pubblico italiano ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 16, comma 1 e deve essere disapplicata dal giudice italiano, dovendosi nell'ordinamento italiano dare alla convivenza solo il valore di elemento eventualmente rilevante in concreto sul piano probatorio del danno di tal genere» (Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2018, n. 10321, in linea con Cass. civ., sez. III, 22 agosto 2013, n. 19405). Da qui seguiva il rinvio alla Corte di Appello di Trento per la determinazione del danno non patrimoniale dei congiunti sino a quel punto rimasti privi di tutela, oltre che per il ricalcolo del danno patrimoniale subito dalla vedova per il danno da perdita del supporto economico fornito dal marito (al riguardo la S.C. aveva fissato questo interessante principio: «quando si deve liquidare a favore del congiunto della vittima il danno di natura patrimoniale derivante dalla perdita della fonte di reddito ricollegabile all'attività lavorativa della vittima per quella parte che presumibilmente essa non destinava ai suoi bisogni personali, ma alla comunione familiare con il congiunto, al momento della liquidazione giudiziale la perdita ascrivibile al periodo dal decesso del de cuius fino al momento della liquidazione rappresenta un danno emergente già verificatosi, mentre soltanto la perdita ascrivibile al venir meno della fonte di reddito per il periodo successivo si configura come danno futuro e, dunque, come danno da lucro cessante, la cui liquidazione deve avvenire considerando il presumibile periodo di protrazione della capacità della vittima di produrre il reddito di cui trattasi»; per i giudici di legittimità conseguiva da ciò che nella specie la scelta del primo giudice dapprima e, quindi, del giudice d'appello di liquidare il danno in questione secondo i parametri di capitalizzazione del r.d. n. 1403 del 1922 poteva riguardare solo la liquidazione del danno successivo alla decisione da quei giudici rispettivamente resa e non già la liquidazione del danno per il periodo anteriore). La questione
La Corte territoriale, risolto il problema della rideterminazione, secondo le indicazioni fornite dalla Cassazione, del danno pecuniario lamentato dalla vedova (con la precisazione della rideterminazione del “danno emergente” sino alla data della sentenza del rinvio), si è trovata ad affrontare il tema della quantificazione del danno non patrimoniale dei congiunti in una prospettiva resa ulteriormente complicata dalla strategica scelta dell'impresa assicuratrice di formulare, all'indomani della sentenza della Suprema Corte, offerta reale in favore dei sette fratelli per l'importo di Euro 24.020,00 ciascuno (il minimo dei minimi dei criteri milanesi); per i due nipoti, invece, l'assicuratore nulla aveva ritenuto di corrispondere malgrado la conclusione raggiunta dai giudici di legittimità di sicura apertura nei confronti di tali legittimati attivi. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Appello, premesso che «le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Roma [...] si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell'organo giudicante, sicché costituiscono un criterio guida e non una norma vincolante», ha impiegato quali parametri monetari le somme intermedie tra l'importo minimo fissato dalla Tabella di Milano (Euro 24.020,00, forse eccessivamente “minimo”) e gli importi indicati dalla tabella di Roma (determinati sulla base dei fattori funzionali alla cd. «personalizzazione variabile» di base, ossia l'età dei danneggiati, l'età della vittima e la riduzione per l'assenza di convivenza), ciò, per quanto risulta, senza essere stata sollecitata in questa direzione dalle parti danneggiate o dall'assicuratore. Muovendo da tale inedita impostazione e ricordando come nella predetta sentenza del 2018 la Cassazione avesse riportato il «dato di comune esperienza consistente nella odierna maggiore facilità di conservare una naturale intensità della relazione parentale grazie alla semplicità e ampiezza “...dell'uso dei mezzi di comunicazione a distanza” nonostante l'allontanamento dal nucleo familiare e dal luogo di origine», la Corte di Appello ha liquidato:
Osservazioni
Il quantum delle liquidazioni del danno non patrimoniale iure proprio operate dalla Corte di Appello di Trento si pone in linea, soprattutto in relazione al trattamento monetario riservato a fratelli e sorelle del deceduto, con gli importi normalmente liquidati in casi consimili (cfr., per es., ex plurimis Trib. Milano, Sez. X, 3 aprile 2013, G.U. Gentile, ined., relativa al decesso di un cittadino rumeno a causa di un sinistro stradale, con azioni promosse da moglie, figli e sorelle, queste ultime non conviventi: «a titolo di danno non patrimoniale, in esso ricompreso il danno da sofferenza psichica e quello da lesione del vincolo parentale, viene liquidato in ragione dell'età della vittima e dello stato di convivenza con la moglie ed i due figli, dell'età dei figli e della moglie la somma di euro 300.000 ciascuno»; «Alle sorelle non conviventi e da presumersi con un proprio nucleo familiare la somma di euro 50.000 ciascuna»). Forse può osservarsi, rispetto a risarcimenti più ristretti in altre sedi giudiziarie, una significativa liquidazione del danno non patrimoniale ai nipoti, segno, però, di una sicura ed apprezzabile sensibilità, auspicata anche dalla Cassazione, per il rapporto affettivo nonni-nipoti. Ciò rilevato sul merito degli importi riconosciti dai giudizi trentini (invero condivisibili), indubbiamente la sentenza spicca per una novità di assoluto rilievo, destinata a fare discutere gli interpreti: l'applicazione di parametri intermedi tra quelli milanesi e quelli romani. Questa soluzione, etichettabile come l'approccio alle “liquidazioni ibride”, irrompe quale autentica “bomba” nella singolare contesa che, soprattutto in ambito convegnistico, negli ultimi anni è andata a delinearsi tra i supporter delle “tabelle milanesi” ed i sostenitori delle “tabelle romane”. L'impostazione della Corte trentina, purtroppo eccessivamente stringata nelle sue motivazioni e logiche, non manca di suscitare perplessità ed interrogativi, pur al contempo esercitando un certo qual fascino come accade ogniqualvolta che ci si trova dinanzi a novità per certo sorprendenti e, di primo acchito, non del tutto peregrine. Il perché delle perplessità è da rinvenirsi nella “nazionalizzazione” delle “tabelle milanesi” operata dalla Cassazione a partire dal 2011 in avanti. Vero è che la Cassazione, prima di questa svolta epocale e pur avendo rilevato già prima di tale sterzata una maggior diffusione sul territorio nazionale di tali “tariffe” (cfr., per es., Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2006, n. 15760), non di rado era solita ribadire quanto segue: «non è configurabile alcun diritto del danneggiato a vedere applicata l'una o l'altra tabella nella liquidazione del danno subito, posto che quello tabellare è un mero criterio di stima e di calcolo tendente ad uniformare l'attività liquidatoria a casi che tra di loro prospettano similitudini e che presuppone il determinante ragguaglio delle tabelle stesse alle peculiarità del caso concreto», potendo pertanto il giudice del merito, ovviamente con adeguata motivazione, optare per le tabelle ritenute dal medesimo più confacenti al caso e ai principi generali (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1524). Al riguardo va pure ricordato quanto posto in luce dalla stessa Suprema corte non molti anni or sono: «se il sistema tabellare (peraltro diversificato nelle varie sedi giudiziarie: attualmente quello che forse trova maggior consenso è quello c.d. “a punto tabellare”, elaborato dalla giurisprudenza milanese) viene incontro all'esigenza di evitare ingiustificate disparità di trattamento inevitabili con l'uso di un criterio equitativo puro», tuttavia, al di fuori dell'ambito delle lesioni di lieve entità nel campo della r.c.a., siffatto sistema «non può essere considerato obbligatorio perché nessuna norma ne impone l'adozione […] e quindi deve ritenersi ammissibile una liquidazione meramente equitativa purché il giudice abbia dato conto dei criteri equitativi seguiti nella liquidazione, questi criteri non appaiano illogici e la liquidazione non si discosti clamorosamente e immotivatamente (in più o in meno) dai criteri tabellare che costituiscono pur sempre il metodo di liquidazione che il diritto vivente adotta e privilegia» (Cass. pen., sez. IV, 22 gennaio 2004, n. 2050). Sulla stessa linea si pose la Sezione III civile (Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2003, n. 14767): «per quanto sia fortemente opportuno che [il giudice] faccia riferimento alle tabelle elaborate sulla scorta di precedenti liquidazioni, a quel riferimento non è tuttavia vincolato in difetto di previsioni normative che lo impongano»; «unico possibile parametro di riferimento ai fini del sindacato sulla motivazione è, in tali casi, quello della macroscopica inadeguatezza, per difetto o per eccesso, dell'entità della liquidazione equitativa operata dal giudice del merito». Sennonché giustappunto nel 2011 la Suprema corte (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408) - ritenendo «suo specifico compito, al fine di garantire l'uniforme interpretazione del diritto (che contempla anche l'art. 1226 cod. civ., relativo alla valutazione equitativa del danno), fornire ai giudici di merito l'indicazione di un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona, quale che sia la latitudine in cui si radica le controversia» - così “nazionalizzano”, con convinzione, letabelleapprestate dall'Osservatoriosulla Giustizia Civilepresso il Tribunale di Milano: «poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona […] presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative […], vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto». Nello specifico, la Suprema corte accantonava le tabelle di altri fori (essenzialmente quelle romane e venete), eppure per la stessa dotate di «pari dignità concettuale», e preferiva quelle milanesi per questo motivo: la «inopportunità» che la Corte di legittimità contrapponesse una propria scelta di valori tabellari (in ipotesi attraverso un mix fra varie tabelle) «a quella già effettuata dai giudici di merito di ben sessanta tribunali, anche di grandi dimensioni (come, ad esempio, Napoli) che, al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali, hanno posto a base del calcolo medio i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale» (cfr. sul punto L. SCARANO, La quantificazione del danno non patrimoniale, Torino, 2013, 150). Occorre altresì sottolineare come il fondamento del ricorso a tali tabelle sia stato fondato dalla Suprema corte anche sul piano della sua conformità costituzionale: «Preso atto che le tabelle di Milano sono andate nel tempo assumendo e palesando una “vocazione nazionale”, in quanto recanti i parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto dell'equità valutativa, e ad evitare (o quantomeno ridurre) - al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali - ingiustificate disparità di trattamento che finiscano per profilarsi in termini di violazione dell'art. 3, 2 co., Cost., questa Corte è pervenuta a ritenerle valido criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c.» (così Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402). Ciò premesso, la soluzione triestina dei “parametri ibridi”, pur suggestiva in questo momento storico di contese tra “tabellatori”, risulta critica innanzitutto laddove la Corte di Appello - senza indagare sull'apprezzamento delle “tabelle romane” fuori dai confini giudiziari della Capitale e, quindi, su eventuali mutamenti rispetto al quadro di diffuso consenso nazionale per i parametri milanesi assunto dalla Cassazione quale ragione per la “nazionalizzazione” degli stessi - ha posto sullo stesso piano giuridico le due tabelle in questione: infatti, almeno stando a quanto costantemente affermato dai giudici di legittimità, in realtà tali tabelle non posseggono il medesimo valore a livello di “diritto vivente” (law in action), cioè, in una prospettiva conforme all'art. 3 Cost., non possono essere equiparate ai fini di una valutazione equitativa a dimensione nazionale, dato che solo le “tabelle milanesi”, come certificato dalla Suprema corte, risultano espressione del principio di equità inteso con riferimento al territorio nazionale complessivamente considerato. Inoltre, la Cassazione, perlomeno ad una prima lettura dei suoi precedenti post 2011, non ha prospettato e legittimato sin qui la possibilità di operare “mash-up” tra tabelle; semmai ha affermato la possibilità di travalicare, dinanzi a circostanze particolari, i limiti posti alla personalizzazione individuati dalle “tabelle milanesi” (cfr. da ultimo Cass. civ., sez. lav., ord. 29 ottobre 2019, n. 27727, § 13: «il discostamento dai limiti massimi di incremento percentuale previsti dalle dette tabelle non costituisce intrinseca espressione della errata determinazione dell'importo liquidato laddove questo sia ancorato, come nel caso di specie, all'accertamento - non inficiato da censure - in ordine alle eccezionalità delle conseguenze connesse all'infortunio riportate dal lavoratore sul piano esistenziale e, quindi, trovi il suo fondamento nella esigenza di ristoro integrale del pregiudizio subito, sia pure attraverso il criterio equitativo»). Vero è che per i giudici di legittimità la mancata adozione, come parametro di riferimento per la liquidazione equitativa del danno, delle “tabelle milanesi” adottate al momento della liquidazione dello stesso potrebbe non rappresentare di per sé una violazione di legge, ma ciò soltanto qualora sia fornita un'adeguata giustificazione ancorata alla inidoneità di tali “tabelle”, per le particolarità del caso concreto, ad essere utilizzate come parametro di riferimento (cfr., per esempio, Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2017, n. 12470). Sennonché di una giustificazione siffatta non è dato cogliere traccia nella sentenza trentina, a fortiori tenuto altresì conto del fatto che in precedenza la stessa Corte di Appello, per la liquidazione degli altri danneggiati (vedova, figli e genitori), aveva applicato i parametri milanesi senza avvertire l'esigenza di deviazioni da tale modello. In definitiva, per quanto le “tabelle romane” sui danni non patrimoniali da uccisione possano ritenersi apprezzabili sul piano dottrinale e debbano pure fare riflettere i magistrati sul quantum finale in sede di personalizzazione, il “mash-up” trentino non risulta giustificabile alla luce degli indirizzi provenienti dalla Cassazione. Pur vero è che il recente precedente Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2019, n. 28990, nel dichiarare retroattivi gli artt. 138 e 139 cod. ass. in ambito di r.c. medico-sanitaria, ha di fatto privato, del tutto infondatamente, le “tabelle milanesi” di quel valore “paranormativo” (o di “soft law”) attribuito a queste dalla Suprema corte a partire dal 2011, laddove per l'appunto aveva sostanziato l'equità, di cui all'art. 1226 c.c., con i valori monetari recati dalle stesse. Nondimeno, ben potendosi bollare tale sentenza come un isolato ed infelice episodio, si rimane qui convinti della necessità di tenere fede al precetto per cui «le tabelle “milanesi” possono dirsi “normative” nel senso che valgono quale ragionevole, trasparente e non arbitrario parametro di valutazione dell'esercizio del potere di cui all'art. 1226 c.c. e, dunque, di corretta applicazione del criterio equitativo indicato dalla norma» (ciò - si osservi bene - con esclusivo riferimento alle consolidate tabelle per il risarcimento dei danni non patrimoniali da menomazioni psicofisiche e quelle per il danno non patrimoniale da perdita-lesione del rapporto famigliare, viceversa potendosi affermare la stessa valenza tra proposte milanesi e romane per quanto concerne i criteri di liquidazione iure successionis dei danni non patrimoniali da premorienza e di quelli terminali, come già rilevato in M. BONA, Tabelle milanesi oltre il seminato: critica ai parametri per i danni da premorienza e terminali, Focus 17 Aprile 2018, in www.ridare.it). In definitiva, l'art. 3 Cost., così come interpretato dalla Cassazione in relazione al risarcimento del danno non patrimoniale, non pare autorizzare l'applicazione dell'art. 1226 c.c. nel senso della possibilità di addivenire a parametri ibridi tra Milano e Roma. Il “compromesso tabellare” andava ricercato almeno due decenni or sono; oggi, proprio per la raggiunta uniformità a livello nazionale, operazioni alchemiche non risultano più percorribili, in seno alle sentenze, sul versante dei danni da menomazioni psicofisiche e di quelli da perdita-lesione del rapporto parentale. Le medesime ragioni dovrebbero suggerire, però, la preservazione delle “tabelle milanesi” nello stato in cui si trovano da almeno dieci anni, salvi gli aggiornamenti monetari di prassi.
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