Un figlio può essere riconosciuto da chi sia sottoposto ad amministrazione di sostegno?
10 Dicembre 2019
Ci si chiede se una persona, sottoposta ad ads, possa riconoscere un figlio nato da una relazione fuori dal matrimonio.
Come è noto, il riconoscimento consiste in una dichiarazione formale che una persona rende in ordine all'esistenza di un rapporto biologico di filiazione tra essa ed altro soggetto, nato al di fuori del matrimonio. Quest'ultimo acquista così lo stato di figlio del dichiarante, in presenza dell'assenso, ovvero del consenso contemplati dall'art. 250 c.c. L'atto di riconoscimento rientra tra quelli di carattere personalissimo, come tale da essere effettuato solo ed esclusivamente dal diretto interessato. La capacità di riconoscere un figlio si acquista prima di quella generale d'agire: è sufficiente infatti il raggiungimento di sedici anni, anche se il giudice (tribunale ordinario) può autorizzare il riconoscimento, ove il genitore abbia un'età inferiore. L'interdetto giudiziale non può procedere al riconoscimento, attesa la natura negoziale dell'atto; un eventuale atto che comunque dovesse essere posto in essere sarebbe impugnabile ex art. 266 c.c. È ormai acquisito come dato pacifico che l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno sia da individuare con riguardo non già al diverso e meno intenso grado di infermità o di incapacità di attendere ai propri interessi rispetto a quanto necessario per pronunciare un'interdizione o un'inabilitazione. Occorre infatti avere riguardo alla maggiore idoneità di detto strumento, rispetto alle più tradizionali misure ablative o limitative della capacità d'agire, ad adattarsi alle specifiche esigenze del beneficiario, secondo un criterio flessibile, come enunciato negli artt. 405, 409 e 411 c.c.. Tali disposizioni, consentendo al giudice tutelare di bilanciare il libero esercizio dei diritti e delle facoltà del beneficiario della misura con i poteri sostitutivi o integrativi dell'amministratore, forniscono un quadro di estrema duttilità dell'istituto. La giurisprudenza ha coerentemente affermato che l'esercizio di diritti personalissimi, in linea generale, permane in capo al beneficiario di ads, salvo che, in presenza di circostanze di particolare gravità, il giudice non ritenga il contrario, assimilandosi così, anche solo in parte, la posizione dell'amministrato a quella dell'interdetto. Si è quindi ritenuta ammissibile l'estensione del divieto di contrarre matrimonio, che l'art. 85 c.c. riferisce all'interdetto per infermità di mente (Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2017, n. 11536), come pure quella di testare, di cui all'art. 591 comma 2, n.2 c.c. (Cass. civ., sez. I, 21 maggio 2018, n. 12460). Per parte sua, la Consulta ha di recente dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale dell'art. 774 comma 1, c.c., affermando che il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacità di donare, salvo che il giudice tutelare non ritenga di limitarla (Corte Cost. 10 maggio 2019, n. 114). Sulla scorta di tale premessa, deve concludersi che il beneficiario di ads, di regola, ha il potere di riconoscere un figlio (e ciò senza intervento alcuno dell'amministratore). Il giudice tutelare, tuttavia, può disporre diversamente, estendendo la disciplina di cui al già richiamato art. 266 c,c., e pertanto vietando detto atto.
|