Quando il minore è adottabile?
13 Dicembre 2019
Massima
È immune da censure la pronuncia del giudice d'appello che ha confermato lo stato di adottabilità dei minori, dopo aver effettuato con una valutazione rigorosa condotta sulla base delle risultanze istruttorie e che abbia ritenuto sussistente la situazione di abbandono morale e materiale da parte di entrambi i genitori naturali, su idonei elementi indiziari, ritenendo la sussistenza del pregiudizio concreto per i figli minori, ed escludendo altresì il recupero delle capacità genitoriali da parte del padre - invalido civile - e della madre, che aveva costituito un altro nucleo familiare, in una periodo di tempo ragionevole e compatibile con lo sviluppo psicofisico dei figli, oltre che la sussistenza di figure parentali in grado di occuparsi dei minori. Il caso
La corte d'appello ha confermato la pronuncia di adottabilità di primo grado di due fratelli minori, abbandonati dalla madre circa 3 anni prima, quando erano ancora in tenera età, per aver costei seguito un altro compagno dal quale aveva avuto un terzo figlio. La donna aveva affidato precariamente i bambini ad una zia paterna, le cui cure si erano dimostrate del tutto inadeguate, tanto che un anno dopo per i minori era stato disposto prima il collocamento in comunità familiare, ove si era fatto fronte alle loro precarie condizioni igieniche e di salute e potenziato le regole comportamentali e l'autonomia personale dei piccoli, e poi l'affidamento eterofamiliare. La madre non si era più interessata dei figli, si era sottratta ai suoi doveri genitoriali e aveva rifiutato di chiedere persino l'avvio di un percorso terapeutico e il sostegno scolastico per i minori. Il padre biologico, invalido civile al 75% perché affetto da «psicosi depressiva cronica, schizofrenia e sindrome maniacale atipica» veniva assistito dalla sorella presso cui erano stati temporaneamente collocati i minori, che non era disponibile a prenderli in affido, atteso il suo carico familiare e di cura verso il fratello. Il padre nel corso del giudizio non si era opposto alla dichiarazione di adottabilità dei figli, né aveva proposto gravame avverso la sentenza di primo grado. Non vi erano altri parenti disponibili all'affidamento dei due fratelli e che avessero con gli stessi avessero rapporti significativi. La Corte di merito, adita dalla madre, rigettava la richiesta di prova testimoniali perchè tardiva e formulata in modo generico, ed anche quella di consulenza tecnica, perché ritenuta superflua e meramente dilatoria. Il giudice di secondo grado riteneva quindi sussistente lo stato di abbandono morale e materiale dei due fratelli e ne pronunciava lo stato di adottabilità. La madre con il ricorso alla Suprema Corte, in via principale si doleva della ritenuta sussistenza dello stato di abbandono dei minori, da lei asseritamente mai abbandonati, ma affidati alla zia paterna solo nel periodo in cui aveva partorito la terza figlia; contestava altresì l'effettivo pregiudizio che dalla sua condotta era derivata ai figli, atteso che i predetti erano stati collocati prima in comunità e successivamente presso una famiglia affidataria. Con un secondo motivo denunciava ex art. 360 n. 3 c.p.c il travisamento della situazione di fatto, stante l'insussistenza dello stato di abbandono morale e materiale dei minori. Con gli ultimi due motivi infine lamentava l'omesso esame, ex art. 360 n. 5 c.p.c., delle dichiarazioni rese dalla madre, senza disporre, nel corso del giudizio, alcun approfondimento istruttorio. La questione
Il giudice deve garantire il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia di origine, ritenuta l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo - per come sancito dall'art. 1 della legge n. 184/1983, dall'art. 8 della Cedu e dagli artt. 7 e 9 della Convenzione di New York – che si pone come corollario del principio di non ingerenza nella vita familiare, e discostarsene solo ove le condizioni familiari appaiono di grave pregiudizio per il suo sviluppo psicofisico. Il thema decidendum è dunque quello dell'esatta individuazione degli elementi sui quali deve fondare la declaratoria dello stato di abbandono morale e materiale di un minore da parte dei suoi genitori biologici, pronuncia che va ad incidere sul suo diritto riconosciuto oltre che dalla normativa interna, anche dalla Carta europea, di vivere all'interno della sua famiglia naturale. Le conseguenze giuridiche in ordine allo status, alle relazioni affettive e sociali che tale pronuncia comporta per una persona di minore età, impongono una verifica complessa ed estremamente rigorosa da parte dei giudici di merito, i quali sono chiamati a valutare da un lato le carenze accudite dei genitori, e la impossibilità di porvi rimedio nel tempo breve; e dall'altro a formulare, in termini prognostici, una valutazione sul concreto pregiudizio che tale incuria possa avere sulle condizioni di vita del figlio, in relazione alla sua età, alle sue condizioni di salute e al suo sereno sviluppo psicofisico.
Le soluzioni giuridiche
La Corte con la pronuncia in esame ha ribadito i principi giurisprudenziali di legittimità e quelli introdotti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di giudizio di adottabilità, segnando il perimetro entro il quale deve essere svolta la valutazione dei giudici di merito, ma anche la sequenza degli snodi argomentativi che conducono alla valutazione dello stato di abbandono e che consente l'allontanamento definitivo del minore dalla sua famiglia biologica. Parimenti ha rigettato le censure mosse dalla ricorrente in ordine alle presunte lacune istruttorie del giudizio, ritenendo congrue e pertinenti le argomentazioni espresse sul punto dal giudice d'appello. La sentenza ripercorre, con esaustività e completezza, principi giurisprudenziali ormai consolidati in ordine alla motivazione relativa alla declaratoria dello stato di abbandono del minore, secondo una precisa sequenza logico – argomentativa, i cui passi salienti possono così riassumersi: - Il riscontro attuale e concreto dello stato di abbandono morale e materiale del minore, deve basarsi su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente, ma che tengano conto anche della condotta dismissiva tenuta da entrambi i genitori nel passato e durante le fasi di giudizio. - La persistenza nel tempo della situazione abbandono, non deve essere connessa a cause di forza maggiore, ma direttamente riferibile alla condotta genitoriale; parimenti in sentenza deve essere ritenuta l'immodificabilità, in proiezione futura, delle carenze accuditive e di cura dimostrata dai genitori biologici. - È necessaria quindi la formulazione di una prognosi negativa sull'effettiva possibilità di recupero della situazione familiare, nonostante l'intervento di sostegno già approntato dai Servizi e diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare. - Il giudice di merito è tenuto a valorizzare il rifiuto di uno o entrambi i genitori a collaborare con i Servizi sociosanitari e la situazione di compromissione grave, irreversibile e non emendabile dell'incapacità genitoriale, così ad es. in caso di definitivo scioglimento dell'unione familiare e disinteresse verso i figli, abuso di sostanze, condotte di vita improntate alla precarietà abitativa, relazionale; nonché l'insufficienza degli intendimenti, meramenti dichiarati in sede processuale dai genitori, ove non sorretti ed accompagnati da comportamenti concreti e significativi. Osservazioni
La pronuncia in esame pone ancora una volta l'accento sulla estrema complessità della decisione del giudice minorile che nel momento in cui dichiara lo stato di adottabilità del minore recide per sempre il suo legame con la famiglia d'origine, e pone così le premesse per l'adozione legittimante e quindi per il suo ingresso definitivo in un diverso nucleo familiare. La dichiarazione di adottabilità rappresenta una forma di tutela “estrema” da adottare in ossequio al principio del superiore interesse del minore. Trattasi di istituto cui ricorrere solo nel caso in cui si accerti l'incapacità di cura ed affettiva, persistente ed irreversibile nei genitori biologici, e la impossibilità di recuperare tali competenze, nonostante siano stati loro offerti strumenti di sostegno e quindi mettendoli in condizione di migliorare la loro qualità di vita e di recuperare anche le competenze genitoriali e la capacità di cura verso il figlio minore. Il giudizio prognostico in ordine al recupero della capacità di cura di uno o di entrambi i genitori va formulato sulla base delle risultanze acquisite nel corso del giudizio, valutando la loro condotta pregressa ed attuale, ed il legame affettivo con il figlio, che come risulta nella prassi giudiziaria, spesso è il solo movente che determina il genitore nella volontà di migliorarsi. La possibilità di ripristino delle competenze genitoriali, deve tener conto delle esigenze del figlio minore. Il nuovo progetto di vita predisposto per i genitori biologici, quindi dovrà svolgersi in tempi medio-brevi, compatibili con la crescita del figlio, che solo il giudice di merito potrà stabilire. Nel riaffermare il principio secondo cui il giudizio sullo stato di abbandono debba essere formulato tenendo conto delle prospettive di recupero delle competenze e delle capacità genitoriali, la pronuncia in esame pone anche il tema della necessaria interrelazione tra l'attività amministrativa e l'intervento del giudice minorile. Le prescrizioni rivolte ai genitori di collaborare con i servizi sociosanitari delegati ad apprestare misure di sostegno al nucleo, possono risultare efficaci nella misura in cui in quel territorio operino servizi ben strutturati, con adeguate risorse e buone professionalità in grado di prendere in carico i genitori e di offrire loro il sostegno suggerito dall'Autorità giudiziaria. Il giudice minorile deve inoltre verificare l'assenza di risorse endofamiliari, ossia la presenza di altri soggetti parentali, quali nonni, zii, fratelli maggiorenni, disponibili e in grado di sopperire e/o dare sostegno alle carenze genitoriali, integrandole, e, in alcuni casi, sostituendosi alle figure genitoriali. La Suprema Corte tratta solo per inciso il diverso tema delle capacità genitoriali del padre dei minori, invalido civile perché affetto da patologia di natura psichiatrica. È principio giurisprudenziale ormai consolidato che la malattia mentale, anche permanente, del genitore biologico, non preclude di per sé la sussistenza della sua capacità genitoriale - da intendere come propensione alla cura, alla protezione e all'instaurazione di un legame affettivo con il figlio - che va sempre accertata nel caso concreto mediante la verifica di comportamenti tenuti dal genitore nel periodo di convivenza familiare. Nel caso in esame dall'istruttoria era emerso che l'uomo, privo di autonomia, e affidato a sua volta alle cure materiali della sorella, di fatto durante il periodo di convivenza con i due figli minori, non era stato in grado di far fronte alle loro esigenze di cura ed affettiva, tanto da determinare il loro collocamento fuori famiglia.
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