Obblighi fiscali dell'amministratore e reato di omesso versamento delle ritenute dovute o certificate nella qualità di sostituto d'imposta

27 Dicembre 2019

Tra gli obblighi cui è soggetto l'amministratore di condominio, spiccano anche quelli di natura fiscale. Il condominio, infatti, pur non essendo un soggetto giuridico dotato di personalità distinta da quella dei condomini che ne fanno parte, è considerato nel nostro sistema un soggetto passivo dal punto di vista fiscale, a seguito della modifica degli artt. 23 e 25, d.p.r. n. 600/1973, operata con l'art. 21, n. 11), l. n. 449/1997 (sostituto d'imposta).
Il quadro normativo

Tra gli obblighi cui è soggetto l'amministratore di condominio, spiccano anche quelli di natura fiscale. Il condominio, infatti, pur non essendo un soggetto giuridico dotato di personalità distinta da quella dei condomini che ne fanno parte, è considerato nel nostro sistema un soggetto passivo dal punto di vista fiscale, a seguito della modifica degli artt. 23 e 25, d.p.r. n. 600/1973, operata con l'art. 21, n. 11), l. n. 449/1997 (sostituto d'imposta).

Il condominio, in quanto ente di gestione che opera in rappresentanza e nell'interesse comune dei partecipanti, limitatamente all'amministrazione ed al buon uso della cosa comune, ben può essere titolare di un codice fiscale che lo identifica nei rapporti giuridici e inoltre, quale sostituto d'imposta, deve provvedere ad alcuni adempimenti fiscali, quali, ad esempio, effettuare la ritenuta d'acconto sui redditi di lavoro dipendente (art. 48Tuir) o di lavoro autonomo (art. 49 Tuir); rilasciare le relative certificazioni (CU); versare le ritenute con il modello F24; presentare la dichiarazione una dichiarazione annuale ad hoc, che può comporsi di due modelli cc.dd. 770 ordinario e 770 semplificato, in cui, tra l'altro, deve indicare le ritenute effettuate, i soggetti sostituiti e i riferimenti dei versamenti compiuti all'erario.

Agli obblighi del condominio, rappresentato dall'amministratore, si sommano - ma vanno distinti concettualmente - quelli dell'amministratore iure proprio, cioè nella qualità di professionista che percepisce un compenso, assoggettato quanto meno a ritenuta d'acconto.

Fonte: condominioelocazione.it

La responsabilità penale dell'amministratore per il reato di omesso versamento delle ritenute dovute o certificate e per il reato di mancata presentazione del modello 770 da parte del sostituto d'imposta

Va precisato che con il d.lgs. n. 472/1997, modificato e aggiornato con il d.lgs. n.203/1998, l'amministratore risponde di persona per le sanzioni relative ai mancati adempimenti non effettuati in nome e per conto del Condominio (principio di personalizzazione delle sanzioni tributarie). Ed infatti, non essendo il condominio né una persona fisica né una persona giuridica, inevitabilmente dei reati tributari commessi risponderà il suo rappresentante ex lege. Ne segue quindi che a carico dell'amministratore di condominio si applicano - in linea astratta e teorica - tutte le fattispecie penali esistenti in materia fiscale regolate dalla l. n. 74/2000.

In particolare, con riferimento specifico ai compiti tipici dell'amministratore in materia fiscale, rileva il reato di omesso versamento delle ritenute fiscali e previdenziali previsto e punito dall' artt. 10-bis, d.lgs. n. 74/2000 (introdotto dalla legge “Finanziaria 2005”), recentemente modificato dalla l. n. 158/ 2015. La norma stabilisce: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta”.

Nella versione ante riforma, l'art. 10-bis prevedeva che fosse punito “chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti”. Va rilevato che la modifica apportata nel 2015 ha esteso la portata della norma oltre che alle "ritenute certificate", anche alle “ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione”, riformulando contestualmente la rubrica (ora: "omesso versamento di ritenutedovute o certificate"). Inoltre, la soglia di punibilità è stata triplicata, passando da cinquantamila a 150.000 euro, per ciascun periodo d'imposta. L'innalzamento delle soglie di punibilità fa sì che l'omissione di versamento per importi inferiori alla soglia non costituisce reato.

Infine va evidenziato che con l'art. 5, d.lgs. n. 158/2015 il legislatore ha affiancato all'incriminazione “tradizionale” di omessa dichiarazione dei redditi e dell'IVA una disposizione che criminalizza la mancata presentazione del modello 770 da parte del sostituto d'imposta. Il precetto penale presidia, con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni, l'obbligo di presentare tale dichiarazione, nell'ipotesi in cui le ritenute non versate dal sostituto superino i 50.000 euro.

L'omesso versamento di ritenute dovute o certificate

Il reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate è un reato omissivo a carico dei sostituto d'imposta che si consuma con il mancato versamento delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione, entro la scadenza del termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale.

Il delitto si configura anche in relazione a omessi versamenti riguardanti ritenute relative a categorie reddituali differenti tra loro.

Si tratta di un reato omissivo istantaneo, che si consuma con una condotta omissiva che la legge prescrive sia realizzata entro un determinato tempo. Tale termine non coincide con quello richiesto dalla normativa fiscale per l'adempimento dell'obbligazione tributaria: infatti, mentre la norma tributaria fissa quale termine per il versamento dell'Erario delle ritenute effettuate il 16 giugno del mese successivo a quello in cui le stesse siano state operate da parte del sostituto, l'art. 10-bis - nel fare riferimento a tutte le ritenute operate nell'anno di imposta - stabilisce quale termine di inadempimento ai fini penali, la scadenza della presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta, che costituisce a sua volta un obbligo penalmente sanzionato.

Le modifiche apportate nel 2015 si sono mosse in una duplice direzione: da un lato, in direzione restrittiva, attraverso l'innalzamento della soglia di punibilità da 50.000 a 150.000 euro; dall'altro, in verso espansivo dell'enforcement penale, attraverso una previsione di un sintagma di non agevole decifrazione, che inserisce nel computo dell'imposta non versata “le imposte dovute sulla base della dichiarazione” del sostituto (cc.dd. modelli 770), e non più solo risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.

La nuova formulazione della norma ha esteso l'area del penalmente rilevante, includendo anche l'omesso versamento delle ritenute dovute proprio sulla base della stessa dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, mentre la versione antecedente puniva solamente la condotta di omesso versamento di ritenute risultanti dalla c.d. Certificazione Unica rilasciata ai sostituiti. Pertanto, non vi è dubbio che ormai tali condotte possano essere dimostrate in giudizio mediante mera allegazione del modello 770.

L'intervento riformatore trova, probabilmente, le sue ragioni nella volontà del legislatore di risolvere un conflitto giurisprudenziale, già sottoposto alle Sezioni Unite della Suprema Corte prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 158/2015. Per integrare la prova dell'avvenuta consegna ai sostituti di imposta delle certificazioni delle ritenute fiscali, si era posta la questione fosse o meno sufficiente l'acquisizione della sola dichiarazione Modello 770 proveniente dal datore di lavoro. Il punto controverso concerneva dunque l'esatto valore probatorio da riconoscere al modello 770 rispetto alla dimostrazione dell'avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti.

Come già detto, con l'intervento legislativo del 2015 la prova della ritenuta (di cui è contestato il mancato versamento) prescinde dalle certificazioni rilasciate al sostituito, potendo in ipotesi bastare che essa risulti dalla dichiarazione. Qualche incertezza interpretativa residuava, tuttavia, per le condotte antecedentialla modifica e, a tal riguardo, si è reso necessario l'intervento nomofilattico della Suprema Corte. La Cassazione a Sezioni Unite n. 24782/2018 si è pronunciata nuovamente sulla valenza probatoria della mera allegazione del Modello 770 ai fini dell'accertamento del delitto di cui all'art. 10-bis,d.lgs. n. 74/2000, ritenendocondivisibile l'orientamento maggioritario secondo cui le indicazioni contenute nel modello 770 non sono da sole idonee a provare il fatto del rilascio delle certificazioni, non essendo esse sufficienti a soddisfare lo standard probatorio richiesto in giudizio a fronte del canone dell'accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio, cristallizzato dall'art. 533 c.p.p. Si è evidenziato, anche per le condotte commesse in vigenza della vecchia formulazione, la necessità di una prova del rilascio della certificazione ai sostituiti, ritenendo insufficiente la mera verifica del Modello 770.

Il principio di inesigibilità e reati tributari

Il reato di “omesso versamento di ritenute certificate” ha conosciuto in anni recenti un vero e proprio boom applicativo, complice la coeva crisi economicadel Paese.

Nella prassi si è posto più volte l'interrogativo circa la configurabilità di esimenti a beneficio di chi non avesse adempiuto gli obblighi tributari per mancanza di liquidità.

La prevalente giurisprudenza (soprattutto di merito) ha in linea di massima fornito risposta affermativa, concentrando l'attenzione sulla (carenza di) colpevolezza, sub specie della c.d. inesigibilità dell'osservanza del precetto penalmente presidiato.

Il rilievo penalistico della c.d. inesigibilità è stato teorizzato a partire dalla riflessione della dottrina germanica - seguita poi da alcuni autori italiani - la quale ha sostenuto che tanto il dolo quanto la colpa sono sempre esclusi allorché l'agente si sia trovato in condizioni tali da non potersi umanamente pretendere dal medesimo una condotta diversa da quella tenuta in concreto e, quindi, da non potersi esigere un comportamento conforme al precetto penale.

Fondamento teorico della loro previsione normativa sarebbe l'assunto secondo cui la colpevolezza, normativamente intesa, richiede anche la c.d. esigibilitàdel comportamento conforme al precetto penale, dovendo la volontà formarsi in “circostanze concomitanti normali”, tali da consentire un fisiologico processo motivazionale e decisionale e in presenza delle quali soltanto l'ordinamento giuridico può “esigere” che l'agente si comporti conformemente alla norma. In tali situazioni, invece, il soggetto non sarebbe punibile in quanto si trova nell'assoluta impossibilità di tenere la condotta prescritta dalla legge, essendo “costretto” a porne in esserne un'altra divergente dal precetto penale. In tale ottica, il principio di inesigibilità altro non è che espressione del generale principio romanistico nemo ad impossibilia tenetur.

Secondo tale impostazione, il principio di inesigibilità deve essere annoverato tra le cause di esclusione della colpevolezza, che, come noto, sono situazioni in presenza delle quali il legislatore esclude la punibilità per mancanza di rimproverabilità dell'agente rispetto ad un fatto, oggettivamente illecito, pur in assenza di una espressa “positivizzazione” nell'ordinamento penale.

Tale principio generale, invero, sembra permeare i moderni sistemi di repressione penale, posto che ad esso sono riconducibili una serie di ipotesi normative caratterizzate tutte dalla inesigibilità del comportamento conforme alla legge penale: si pensi allo stato di necessità (art. 54 c.p.), alla non punibilità di alcuni reati contro l'amministrazione della giustizia se commessi per salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento (art. 384 c.p.), alla forza maggiore e al caso fortuito ( art. 45 c.p.), al costringimento psichico (art. 46 c.p.), ecc.

In conclusione

Alcune recenti pronunce della giurisprudenza di merito, con riferimento alla crisi di liquidità, hanno prosciolto gli autori di illeciti tributari proprio valorizzando la inesigibilità sotto il profilo soggettivo delle loro condotte (Trib. Milano, 15 dicembre 2015) riconoscendo l'assenza di colpevolezza in una vicenda relativa all'omissione delle ritenute certificate di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 74/2000) perché la condotta, anche se posta in essere volontariamente, non poteva essere riferita all'imputato quale fatto rimproverabile in quanto il suo comportamento non è stato ritenuto soggettivamente rimproverabile e come tale incapace di integrare il precetto penale.

Nel caso in questione, la giurisprudenza ha ritenuto sussistente il dolo omissivo, ma ha ritenuto che l'imputato dovesse essere assolto perché non rimproverabile - e, dunque, non colpevole - se la condotta di omesso versamento delle ritenute sia stata tenuta in circostanze anormali ed eccezionali tali da rendere soggettivamente inesigibile un diverso comportamento e, quindi, illegittima l'irrogazione di una pena.

La giurisprudenza di legittimità ha invece manifestato un atteggiamento più cauto, escludendo la punibilità solo in presenza di particolari ed importanti crisi di liquidità relative ai periodi antecedenti la scadenza penalmente rilevante. Secondo tale indirizzo, l'imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l'azienda, sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto. Occorre, cioè, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Cass. pen., 8 aprile 2014, n. 20266).

Guida all'approfondimento

Abbatista, Inesigibilità e scriminanti tacite: ipotesi applicative, in Marinucci - Dolcini, Studi di diritto penale, 1991, 505

Fiadanca - Musco, Diritto penale, parte generale, Torino, 2001

Fornasari, Il principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova, 1990

Scarano, La non esigibilità in diritto penale, Napoli, 1948

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