La riforma dimezzata: prime osservazioni sul decreto in tema di intercettazioni
08 Gennaio 2020
Abstract
A distanza di due anni da quella che avrebbe dovuto essere la propria entrata in vigore la riforma delle intercettazioni vede finalmente la luce, nella sua globalità, a partire dal 29 febbraio 2020. Una riforma che troverà applicazione dopo un significativo restyling, che ha avuto per oggetto in particolare proprio le disposizioni finalizzate a una maggiore tutela della riservatezza. Il d.l. 161/2019 interviene in particolare sulla disciplina della conservazione e della consultazione, in forme telematiche, dei dati relativi alle intercettazioni nell'archivio informatico delle Procure, sulla normativa in materia di intercettazioni mediante l'utilizzo di captatori informatici, sul meccanismo di acquisizione giudiziale anticipata delle intercettazioni nel corso delle indagini preliminari, sul dovere di vigilanza del pubblico ministero a tutela della reputazione e dei dati sensibili dei soggetti coinvolti nella captazioni e sulla sostanziale parificazione ai delitti di criminalità organizzata, ai delitti contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. Indubbiamente, in un'epoca di globale ripensamento dei delicati equilibri tra esigenze di accertamento di fatti penalmente rilevanti e rispetto dei diritti dei cittadini, la disciplina delle intercettazioni mantiene un particolare significato. L'assoluta centralità alla tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni quale espressione primaria della personalità dei singoli si scontra, alle volte con drammatica intensità, con rilevanti quanto legittimi “sacrifici” di tali diritti, ogni qual volta la repressione (nonché, in alcuni casi, la prevenzione) di fatti di penale rilevanza può risultare condizionata da un corretto, tempestivo ed esaustivo utilizzo dello strumento di ricerca della prova costituito dalle intercettazioni. Poche altre disposizioni previste dal codice di procedura sono in grado di determinare, con altrettanta efficacia, la possibilità di accertamento delle prove di un reato; pertanto, prevedere la possibilità astratta di intercettare significa ammettere una ragionevole possibilità di repressione di uno specifico comportamento. Singolare e per molti aspetti emblematico risulta, in questo quadro, il destino della riforma della disciplina delle intercettazioni, frutto prima di una lunga e tormentata gestazione, concretizzatosi quindi in un decreto – d.l. 216/2017 - la cui entrata in vigore è stata prima limitata ad alcune norme di non centrale rilevanza, poi più volte prorogata. Una riforma ora pronta a essere pienamente operativa, ma a fronte di una revisione che ha segnato prontamente proprio alcuni degli aspetti che, non più di due anni orsono, erano stato presentati come momenti di svolta “epocali”. La ragione di quanto avvenuto, sono, per una volta, non troppo difficili da sintetizzare. Si tratta di un nervo scoperto del sistema, da tempo immemorabile frutto di infinite trattative e di sforzi di mediazione e di compromesso tra interessi profondamente configgenti e pure tutti di primario rilievo. Lo schema di riforma approvato nel 2017 aveva destato – immediatamente e in termini se non univoci, assai ampi – un coro di proteste, in quanto a molti era apparso che la doverosa e condivisibile attenzione che il legislatore aveva prestato per la tutela della riservatezza avesse finito per ”comprimere” in termini non accettabili (o almeno non del tutto accettabili) altre tre esigenze altrettanto prioritarie: l'efficacia delle investigazioni, il diritto alla difesa e il diritto all'informazione. Critiche e osservazioni declinate in termini anche molto differenti, ma accomunate dalla comune matrice sopra descritta. Una situazione che ha giustificato prima le proroghe intervenute e che ha consentito di “sbloccare” il decreto solo a fronte di una serie di severi ripensamenti della disciplina non solo di singoli istituti, quanto- possiamo dirlo- dello “spirito” globale di almeno di una delle principali tematiche che erano state oggetto dell'intervento, quella legata alla riservatezza. Ciò ovviamente, in attesa di verificare se e in quali termini la legge di conversione del decreto potrà apportare nuove “correzioni di rotta” e –in un futuro più meno prossimo lo stesso strumento normativo utilizzato dal Governo potrà “reggere” a possibili censure di costituzionalità in riferimento ai presupposti della necessità e dell'urgenza. Nondimeno, in attesa di verificare cosa ci potrà riservare il futuro, il nostro presente merita certamente alcune prime anche se necessariamente sommarie considerazioni. Il d.l. 161/2019 è intervenuto sui due commi dell'art. 9 del d.lgs. 216/2017, già più volte modificati: Il d.l. 25 luglio 2018, n. 91 (in G.U. 25/07/2018, n. 171), convertito con modificazioni dalla l. 21 settembre 2018, n. 108 (in G.U. 21/09/2018, n. 220), ha disposto (con l'art. 2, comma 1) la modifica dell'art. 9, comma 1 con proroga al 31.3.2019. La l. 30 dicembre 2018, n. 145 (in SO n. 62, relativo alla G.U. 31/12/2018, n. 302) ha disposto (con l'art. 1, comma 1139, lettera a) la modifica dell'art. 9, commi 1 e 2, con proroga al 31.7.2019; il d.l. 14 giugno 2019, n. 53 (in G.U. 14/06/2019, n.138) ha disposto (con l'art. 9, comma 2, lettera a)) la modifica dell'art. 9, comma 1; (con l'art. 9, comma 2, lettera b)) la modifica dell'art. 9, comma 2, con proroga al 31.12.2019
In particolare, nel primo comma, l'indicazione Le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 4, 5 e 7 si applicano alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 dicembre 2019 è stata sostituita dalla formula ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020. L'art. 5 del d.l 161/2019(Disposizione transitoria) stabilisce che “Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella G.U. e della Repubblica italiana”, ossia - stante la pubblicazione nella G.U. n. 305 del 31.12.2019, dal 1.1.2020, anche se di fatto l'entrata in vigore è posticipata al 29.2.2020. Non si tratta, com'è evidente, solo di una modifica sulla data, quanto anche caratterizzata da un differente momento che dovrebbe scandire la piena operatività del nuovo regime: non più legato il provvedimento autorizzativo, ma alla data di iscrizione del procedimento nell'ambito del quale il provvedimento autorizzativo stesso potrà essere emanato; scelta quanto mai opportuna, in quanto funzionale a evitare l'applicazione di differenti regole nell'ambito del medesimo procedimento. L'art. 1 d.l. 161/2019 è intervenuto anche sul comma secondo dell'art. 9 d.lgs. 216/2017. Si tratta della modifica al comma 2 dell'art. 114 c.p.p., laddove, dopo le parole dell'udienza preliminare, sono inserite “fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292”, in base alla quale è venuto meno il divieto di pubblicazione, anche parziale, «degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare» con riguardo alle ordinanze che dispongono le misure cautelari. Una disposizione per la quale era prevista l'entrata in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2020 e che invece sarà pienamente operativa «a decorrere dal 1° marzo 2020». Nondimeno, il decreto ha operato un'importante precisazione al riguardo, prevedendo, nell'articolo 114, dopo il comma 2, un comma 2-bis: “È sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli articoli 268 e 415-bis” In concreto, pertanto, anche in relazione al contenuto delle ordinanze che dispongono misure cautelari, permane un divieto di pubblicazione per le intercettazioni non “transitate” - come vedremo- dal filtro costituito dagli artt. 268 e 415-bis c.p.p. Se si affronta il problema di una piena operatività del “sistema intercettazioni” delineato dal d.l. 161/2019, è indispensabile un'ultima notazione. L'art. 7 d.lgs. n 216/2017 (Disposizioni di attuazione per le intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico e per l'accesso all'archivio informatico) aveva previsto due decreti del Ministro della giustizia (da emanare rispettivamente entro trenta giorni e tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto). Un primo per stabilire «i requisiti tecnici dei programmi informatici funzionali all'esecuzione delle intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile» in particolare «secondo misure idonee di affidabilità', sicurezza ed efficacia al fine di garantire che i programmi informatici utilizzabili si limitano all'esecuzione delle operazioni autorizzate». Un secondo, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, per fissare “i criteri a cui il procuratore della Repubblica si attiene per regolare le modalità' di accesso all'archivio riservato di cui all'articolo 89-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, a tutela della riservatezza degli atti ivi custoditi”. Indicazioni a cui aveva fatto seguito il D.M. 20 aprile 2018 – Disposizioni di attuazione per le intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico e per l'accesso all'archivio informatico a norma dell'articolo 7, commi 1 e 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216. L'art. 2 comma 3 d.l. 161/2019 prevede l'emanazione di tre decreti del ministero della Giustizia destinati a integrare la propria disciplina impone. Con un primo decreto sono stabiliti i requisiti tecnici dei programmi informatici funzionali all'esecuzione delle intercettazioni mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, che riprende totalmente l'indicazione del d.lgs. 216/2017; il secondo (non avente natura regolamentare e adottato sentito il Garante per la protezione dei dati personali) torna sul tema delle modalità di accesso all'archivio di cui all'articolo 89-bis, già indicato dal d.lgs. 216/2017, precisando tuttavia che dovrà occuparsi anche della consultazione e richiesta di copie, a tutela della riservatezza degli atti custoditi nell'archivio. Il terzo decreto, adottato previo accertamento della funzionalità dei servizi di comunicazione, è una novità ed è diretto a stabilire «le modalità e i termini a decorrere dai quali il deposito degli atti e dei provvedimenti relativi alle intercettazioni è eseguito esclusivamente in forma telematica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici». L'indicazione del d.l. 161/2019 lascia intendere che il legislatore abbia intenzione di rivedere – almeno in parte- le indicazioni del D.M. 20 aprile 2018. Una circostanza indubbiamente destinata a condizionare la piena operatività della riforma. Il comunicato con il quale la Presidenza del Consiglio ha presentato il decreto in oggetto si sofferma in particolare cinque punti. Il primo ha per oggetto «il completamento del percorso di sostanziale parificazione ai delitti di criminalità organizzata, almeno per quanto attiene alla disciplina delle intercettazioni, dei delitti contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio». Il d.l. 161/2019 interviene su tre distinti articoli già oggetto della riforma di cui al d.lgs. 216/2017, nella medesima prospettiva: estendere la disciplina già delineata dalla l. 3/2019 – c.d. “spazzacorrotti” - per i pubblici ufficiali agli incaricati di pubblico servizio. Questi ultimi sono definiti dall'art. 358 c.p. – disposizione modificata dalla l. 86/1990 – che ha comportato un significativo mutamento di prospettiva. Si è passati da una valutazione d'incardinamento nell'ambito della p.a. a una prospettiva diretta a valorizzare l'esercizio di una pubblica funzione, legislativa, giudiziale o amministrativa: «Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale». Una categoria residuale rispetto a quella generale di cui all'art. 357, dalla quale sono esclusi coloro che non possono essere considerati pubblici ufficiali. Soggetti che, pure non svolgendo attività esclusivamente materiali, sono privi di poteri deliberativi, autoritativi o certificativi. L'art. 1, comma 3 e comma 4, lett. a) e b) della l. n. 3/2019, ha modificato gli artt. 266, comma 2-bis, e 267, comma 1, c.p.p., estendendo il campo applicativo della disciplina “speciale” sulle intercettazioni eseguite mediante inserimento del captatore informatico, precedentemente contemplata per i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., anche ai reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'art. 4 c.p.p. Pertanto, rispetto al testo originario del d.lgs. 216/2017, l'intervenuta abrogazione del secondo comma dell'art. 6 di quest'ultimo decreto, a opera della l. 3/2019 ha comportato, per i reati contro la p.a., il venir meno di una disciplina, per questi ultimi, “ibrida” tra quella speciale, prevista per i delitti di criminalità mafiosa e terrorismo, e quella ordinaria, in materia di intercettazioni tra presenti nei luoghi domiciliari mediante inserimento del captatore informatico. Il testo originario dell'art. 6 comma 2 d.lgs 216/2017, stabiliva: «L'intercettazione di comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale non può essere eseguita mediante l'inserimento di un captatore informatico su dispositivo elettronico portatile quando non vi è motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa». Il d.lgs. 216/2017 aveva determinato per la categoria dei delitti contro la pubblica amministrazione il regime derogatorio contemplato dallo statuto delle intercettazioni in materia di criminalità organizzata e segnatamente la mera necessità (in luogo dell'assoluta indispensabilità) del mezzo investigativo ai fini dello svolgimento (non della prosecuzione) delle indagini, e la presenza di sufficienti (e non gravi) indizi di reato, nonché la previsione della durata delle operazioni di quaranta giorni, in luogo del tradizionale termine di quindici giorni, prorogabili per periodi successivi di ulteriori venti giorni (e non di quindici). Al contrario, tuttavia, in forza dell'art. 6 comma secondo permaneva una significativa distinzione, rispetto al regime delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni tra presenti nei luoghi di cui all'art. 614 c.p. L'art. 4 d.l. 161/2019 modifica l'art. 6 del d.lgs. 216/2017 ; l'attuale testo risulta il seguente: «Nei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 del codice di procedura penale, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203». Analoga interpolazione è intervenuta nel testo dell'art. 266 c.p.p., comma 2-bis.: «L'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'articolo 4». Allo stesso modo, un'integrazione è stata apportata all'art. 267, il cui testo risulta il seguente: «Il decreto che autorizza l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile indica le ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini; nonché, se si procede per delitti diversi da quelli di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono». Il richiamo dell'art. 267, comma 2-bis, al comma 2 dell'art. 267 c.p.p. consente di ritenere che, nei casi di urgenza, il pubblico ministero può disporre l'intercettazione tra presenti mediante trojan non soltanto nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. ma anche per nei casi dei delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio. Il legislatore ha ritenuto opportuno uniformare tale regime speciale per una serie di delitti, estremamente pericolosi per la sicurezza e l'incolumità sociale. In questo modo l'intercettazione c.d. ambientale, eseguita con inserimento di un captatore sull'apparecchio portatile, è sempre consentita se si procede sia per delitti di criminalità organizzata, sia per quelli commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, risultando in entrambi i casi irrilevante l'indicazione del contesto spazio-temporale, in cui è destinato a muoversi device sul quale il captatore è installato ed è stato riconosciuto al P.M. la possibilità – per i casi di urgenza di attivarsi, senza attendere il provvedimento del giudice. Per altro, laddove le intercettazioni ambientali devono essere disposte non a mezzo di un trojan, sarà possibile al p.m. l'attivazione d'urgenza laddove vi sia “fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare un grave pregiudizio alle indagini”. Il tema impone, infine, una breve riflessione di diritto intertemporale; con la pubblicazione del d.lgs. 216/2017 era stata prevista un'immediata operatività solo di due articoli del decreto. L'art. 1, con oggetto l'introduzione nel codice penale della fattispecie di cui all'art. 617-septies, (Diffusione di riprese e registrazioni fraudolente) e l'art. 6, (Disposizioni per la semplificazione delle condizioni per l'impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione). Il fatto che il legislatore abbia introdotto, la possibilità di utilizzo dei captatori informatici in relazione alle operazioni relative a delitti contro la pubblica amministrazione senza che le stesse fossero inserite – almeno per centottanta giorni e di fatto sino a oggi – nel contesto normativo generale con il quale la riforma ha disciplinato il problema, ha certamente determinato incertezze sul piano sistematico come su quello operativo. A ciò si aggiungano le ulteriori modifiche- nel frattempo intervenute- delle disposizioni di cui agli artt. 266, comma 2-bis, e 267, comma 1, c.p.p. a opera della l. 3/2019 (c.d. “spazzacorrotti”), così che è stato posto legittimamente il dubbio se quest'ultima legge «possa averle anticipatamente dotate di operatività immediata, espandendo i suoi effetti al di là della semplice aggiunta del nuovo periodo all'interno delle medesime, ovvero se – e ciò appare più probabile – le stesse norme vivano in un regime di sospensione e occorra, piuttosto, attendere la formale e definitiva entrata in vigore di tutte le norme concernenti l'impiego del mezzo insidioso, per realizzare, finalmente, un'uniformità di disciplina.” (Così L. Camaldo, Le innovazioni previste dalla legge anticorruzione in tema di intercettazioni con captatore informatico, in Dir. Pen. cont.). Un quadro destinato a chiarirsi, è augurabile, proprio con il d.l. 161/2019. La conservazione delle intercettazioni
Il secondo punto del comunicato della Presidenza del Consiglio sottolinea l'entrata in vigore di «una innovativa disciplina della conservazione e della consultazione, in forme telematiche, dei dati relativi alle intercettazioni nell'apposito archivio informatico che sarà gestito sotto la diretta vigilanza del Procuratore della Repubblica». A fronte della generica indicazione dell'art. 269, comma 1, c.p.p. (Conservazione della documentazione), in base alla quale «i verbali e le registrazioni sono conservati integralmente presso il P.M. che ha disposto l'intercettazione», il sistema di cautele a tutela della riservatezza previsto dal d.lgs. 216/2017 era strutturato sulla previsione dell'archivio riservato delle intercettazioni, previsto dal testo dell'art. 267, comma 5, c.p.p. «In apposito registro riservato tenuto nell'ufficio del pubblico ministero sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni»; Il testo dell'art. 269 c.p.p. previsto dal d.lgs. 216/2017 era il seguente «I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio riservato presso l'ufficio del pubblico ministero che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni, e sono coperti da segreto. Al giudice per le indagini preliminari e ai difensori dell'imputato per l'esercizio dei loro diritti e facoltà è in ogni caso consentito l'accesso all'archivio e l'ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate». Attualmente il d.l. 161/2019 stabilisce: «I verbali e le registrazioni, e ogni altro atto ad esse relativo, sono conservati integralmente in apposito archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell'ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Al giudice per le indagini preliminari e ai difensori dell'imputato per l'esercizio dei loro diritti e facoltà è in ogni caso consentito l'accesso all'archivio e l'ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate». Si tratta di una modifica del testo dell'art 269 che tiene conto delle pregresse indicazioni della versione dell'art. 89-bis disp.att.c.p.p. entrata nel testo definitiva del d.lgs. 216/2017; un rapido confronto tra il testo dell'art 89 bis disp att cpp previsto dal d.lgs. 216/2017 e dal d.l. 161/2019 consente di cogliere le modifiche:
L'indicazione generica “ufficio del pubblico ministero” è stata precisata con l'espressa indicazione del Procuratore della repubblica- già prevista dall'art 89-bis c.p.p. e correttamente entrata” nel testo del codice di procedura, tenuto non solo a una preventiva efficiente attività di “organizzazione “dell'archivio ma- e questo è il punto più delicato a una- si deve immaginare costante- “sorveglianza”. Il registro, poi, non è più gestito, “anche con modalità informatiche”, in quanto direttamente definito come “digitale”, essendo allo stato inverosimile e anacronistica una tenuta di un archivio su base “tradizionale”. Non solo: la stessa definizione di “archivio riservato” ha perso l'aggettivo, risultando logicamente inverosimile un archivio di tale natura “disponibile” alle parti: la riservatezza è stata ritenuta in re ipsa. In questo senso, anche nell''articolo 92, comma 1-bis, il d.l. 161/2019 ha previsto che dopo le parole “conservazione nell'archivio” è soppressa la parola “riservato”. Rispetto al testo introdotta dal d.lgs. 216/2017, è stato inoltre abrogato il comma 1 bis dell'art 269 c.p.p., per il quale «Non sono coperti da segreto i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all'articolo 373, comma 5», norma per la quale «L'atto contenente la notizia di reato e la documentazione relativa alle indagini sono conservati in apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero assieme agli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria a norma dell'articolo 357». Uno delle disposizioni del d.lgs. 216/2017 che aveva determinato significative perplessità era costituita proprio dall'ultimo comma del menzionato art. 89-bis, che prevedeva la facoltà per i difensori delle parti di ascoltare le registrazioni con apparecchio a disposizione dell'archivio, ma non di “ottenere copia delle registrazioni e degli atti ivi custoditi”. Una compressione del diritto di difesa che è stata corretta dal d.l. 161/2019, che sul punto prevede la possibilità di «ottenere copia delle registrazioni e degli atti quando acquisiti a norma degli articoli 268 e 415-bis del codice. Ogni rilascio di copia è annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche; in esso sono indicate data e ora di rilascio e gli atti consegnati in copia». A fronte del diniego totale previgente, la facoltà riconosciuta alla difesa è stata inserita nel nuovo testo, rectius, nel sostanziale recupero del pregresso meccanismo di cui all'art 268 ss c.p.p., in questo modo - come vedremo infra- mediando tra le esigenze difensive e il diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti nella captazione. Sul tema si deve infine rilevare - doverosamente e tristemente- come l'art. 3 del decreto 161/2019 (Clausola di invarianza finanziaria) abbia stabilito- analogamente a quanto già previsto dal d.lgs. 216/2017 che «Dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Resta, per certi aspetti non troppo chiara, l'indicazione della norma originaria, rimasta nella seconda parte dell'art. 3 menzionato che precisa: «Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti connessi mediante l'utilizzazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». Un'indicazione che desta perplessità proprio considerando l'archivio, per il quale deve essere garantita la riservatezza della documentazione custodita, non solo pertanto sul piano tecnico-organizzativo in via preliminare, quanto anche rispetto all'esigenza di costante aggiornamento sul piano dell'efficacia della sicurezza. Valutazioni e investimenti che ben difficilmente potranno essere assicurati senza un impegno di spesa – nonostante l'indicazione per le amministrazioni interessate di provvedere «con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente» e dalla cui esecuzione, peraltro, potranno derivare, in termini tanto indiretti quanto inequivoci, possibili responsabilità per il procuratore della Repubblica, che l'attività dell'archivio dovrà gestire, oltre che dirigere e sorvegliare. Una correzione di rotta è stata anche apportata al regime delle richieste di distruzione. In base al pregresso testo dell'art. 269, comma 2, “Salvo quanto previsto dall'articolo 271 comma 3, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia gli interessati, a tutela della riservatezza, possono chiedere la distruzione delle registrazioni non acquisite al giudice che ha autorizzato o convalidato l'intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 127». Ferme restando la precisione delle decisioni in camera di consiglio e il richiamo all'art. 271 comma 3 c.p.p., il nuovo testo dell'art. 269 comma 2 prevede che «… le registrazioni sono conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione. Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l'intercettazione». In sostanza, il nuovo testo non pone il meccanismo di acquisizione quale limite espresso alla possibilità di richiesta di distruzione, ma subordina tale possibilità a una valutazione in concreto (e in contraddittorio) al fatto, che la documentazione non sia necessaria per il procedimento. La trascrizione delle intercettazioni: il rapporto tra P.M. e P.G.
Di grandissimo rilievo il terzo punto indicato dal comunicato; forse, l'aspetto che maggiormente viene incontro a quelle che avrebbero potuto essere le criticità derivanti- almeno per l'attività requirente- dall'entrata in vigore del testo originario della riforma. Precisa il comunicato menzionato che il decreto delinea «il dovere di vigilanza del pubblico ministero affinché non siano trascritte in sede di verbalizzazione conversazioni o comunicazioni contenenti espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, sempre che non si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini, in luogo della selezione da parte della polizia giudiziaria delle intercettazioni non utilizzabili». Il d.lgs. 216/2017 poneva in capo del P.M. un'attività delicata e complessa, rispetto alla quale lo svolgimento in termini di qualità e tempi accettabili non avrebbe che potuto fondarsi su un rapporto fiduciario con la P.G. delegata per le operazioni. Il P.M: è stata, in effetti, chiamato a escludere le intercettazioni:
Nel testo originario della riforma, l'attività di selezione delle captazioni, che avrebbe dovuto costituire la vera garanzia del modello di tutela della riservatezza realizzato dalla riforma, era in linea teorica – e per evidenti ragioni – indubbiamente demandata al P.M.; a quest'ultimo organo erano e sono riconosciute le competenze sia per valutare i casi di inutilizzabilità sia per effettuare una valutazione prognostica sulla rilevanza delle singole conversazioni o comunicazione. Allo stesso tempo, tuttavia, il legislatore aveva dimostrato di essere ben consapevole del fatto che l'attività di ascolto e di redazione dei brogliacci non può che essere affidata (salvo rarissimi casi) alla P.G., così che, non a caso, l'art. 267, comma 4, richiamava la disposizione generale dell'art. 268, comma 2-bis: «Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria. L'ufficiale di polizia giudiziaria provvede a norma dell'articolo 268, comma 2-bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni». Proprio la P.G., nel modello delineato dal d.lgs. 216/2017 aveva assunto un ruolo estremamente significativo (forse troppo significativo) in relazione all'attività di selezione delle captazioni, anche tenendo contro della necessità di confrontarsi con un concetto di rilevanza che non può essere letto in chiave statica, quanto dinamica. Specie nelle indagini ad ampio raggio (in materia di criminalità organizzata, di reati finanziari o anche di pubblica amministrazione) di frequente la rilevanza di una singola conversazione può emergere in una fase successiva dell'indagine, così che una mancata indicazione del contenuto sui brogliacci (sui quali avrebbe dovuto essere indicata, se giudicato in un primo momento relativa a conversazioni non rilevanti, solo data, ora e dispositivo su cui la registrazione è intervenuta) avrebbe potuto rendere, se non impossibile, molto difficile tale rivalutazione. Non solo: senza alcuna ipocrisia occorre considerare che la mancata indicazione, quantomeno sommaria, del contenuto di molte conversazioni nei brogliacci avrebbe imposto alla difesa, a tempo debito, un ascolto generalizzato delle tracce; una scelta certamente percorribile ma indubbiamente onerosa e, per vari aspetti, rischiosa. Certamente, la riforma aveva posto al centro del meccanismo di selezione la P.G. più del P.M., con una scelta che avrebbe potuto ripercuotersi sulla possibilità generalizzata per la difesa di poter fruire di una rapida e completa conoscenza degli atti. Il d.l. 161/2019 ha, al riguardo, soppresso la seconda parte dell'art. 267 comma 4, così che oggi la norma si limita a stabilire che “Il pubblico ministero procede alle operazioni personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria.” È venuto meno la previsione, per l'ufficiale di polizia giudiziaria di provvedere “a norma dell'articolo 268, comma 2-bis, informando preventivamente il pubblico ministero con annotazione sui contenuti delle comunicazioni e conversazioni.” La domanda che molti interpreti si erano posti alla luce dell'indicazione delle menzionate annotazioni aveva per oggetto non solo la natura e il contenuto delle stesse, quanto la rilevanza, per la redazione di tali atti, del divieto di trascrizione, anche sommaria, del contenuto delle comunicazioni e conversazioni. La relazione illustrativa al d.lgs. 216/2017 precisava: «Tra il materiale oggetto di deposito sono comprese le annotazioni a cui la polizia giudiziaria è tenuta per informare il pubblico ministero sui contenuti di conversazioni che potrebbero, data la loro irrilevanza, essere non trascritte in verbale. L'esame di tali annotazioni costituisce un utile strumento orientativo per le difese, che possono più agevolmente esaminare, data la nuova struttura dei verbali, il materiale registrato». Certamente, un sistema di interlocuzione orale, informale e quotidiano tra la P.G. delegata e il P.M. non sarebbe stato ipotizzabile, ma era legittimo il dubbio sul fatto che le annotazioni con le quali la P.G. avrebbe dovuto dare conto delle proprie scelte, in negativo come in positivo, circa la trascrizione, avrebbero potuto rappresentare un modo per consentirne una conoscenza in una fase successiva della procedura. In questo senso arduo sarebbe stato escludere dal deposito ex art. 415-bis c.p.p. le annotazioni in oggetto, con conseguente “pericolo” di diffusione anche di elementi derivanti dalle captazioni non compresi tra quelli per il quale il legislatore aveva previsto una piena ostensibilità. In quest'ottica, l'art. 268, comma 2-bis, c.p.p. vietava la trascrizione anche sommaria «delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l'oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge. Nel verbale delle operazioni sono indicate, in tali casi, soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta». Con il d.l. 161/2019 il comma 2-bis è sostituito dal seguente: «Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini». La norma recupera un dato centrale del ruolo del P.M., chiamato a un non semplice duplice ruolo. Da un lato fornire indicazioni alla P.G. e quindi vigilare sull'applicazione delle stesse. Di quali indicazioni stiamo parlando? Sul concetto generale di “lesione della reputazione” o di dati sensibili – concetti che dovrebbero far parte del bagaglio culturale degli operatori di di P.G. - o indicazioni “mirate” sulla tipologia di contesto o di reato oggetto delle investigazioni? O indicazioni preventive, a fronte di specifiche richieste degli U.P.G.? E ancora, la vigilanza impone una lettura preventiva dei verbali prima del deposito degli stessi? O di una bozza dei verbali, considerando che dopo il deposito formale sarebbe difficile espungere dagli atti gli stessi? In concreto, l'indicazione del d.l. 161/2019 è apprezzabile e interessante, ma necessita- è un forte timore, che confidiamo possa essere infondato- di una lunga e non semplice fase di “metabolizzazione” da parte del sistema. È stato altresì abolito il comma 2-ter dell'art. 268, per il quale «Il pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre che le comunicazioni e conversazioni di cui al comma 2-bis siano trascritte nel verbale quando ne ritiene la rilevanza per i fatti oggetto di prova. Può altresì disporre la trascrizione nel verbale, se necessarie a fini di prova, delle comunicazioni e conversazioni relative a dati personali definiti sensibili dalla legge». Una curiosa formulazione, considerando che, sul piano sistematico, sarebbe stato sufficiente precisare il divieto di tutte le comunicazioni o conversazioni irrilevanti. Si segnala, per altro, che a decorrere dal 25 maggio 2018 le espressioni dati sensibili e dati giudiziari utilizzate ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettere d) e e), del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al d.lgs. 196/2003, ovunque ricorrano, s'intendono riferite, rispettivamente, alle categorie particolari di dati di cui all'articolo 9 del regolamento (Ue)2016/679 (Trattamento di categorie particolari di dati personali) e ai dati di cui all'articolo 10 del medesimo regolamento (Trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati). In conclusione
l. CAMALDO Le innovazioni previste dalla legge anticorruzione in tema di intercettazioni con captatore informatico, in penalecontemporaneo.it C. CAZZOLLA, Se i reati sono connessi le intercettazioni possono essere usate in altri processi, in www.sicurezzaegiustizia.it l. GIORDANO, Divieto di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi: il rilievo dell'unitarietà iniziale, in questa rivista M. GRIFFO, Una proposta costituzionalmente orientata per arginare lo strapotere del captatore, in www.penalecontemporaneo.it R. ORLANDI, Usi investigativi dei cosiddetti captatori informatici. Criticità e inadeguatezza di una recente riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 544 ss.; P. RIVELLO, Le intercettazioni mediante captatore informatico, in O. Mazza (a cura di), Le nuove intercettazioni, Giappichelli, Torino, 2018, p. 101 ss.; S. SIGNORATO, Modalità procedimentali dell'intercettazione tramite captatore informatico, in G. Giostra - R. Orlandi (a cura di), Nuove norme in tema di intercettazioni. Tutela della riservatezza, garanzie difensive e nuove tecnologie informatiche, Giappichelli, Torino, 2018, p. 269 ss. |