Successione di un cittadino straniero coniugato con un'italiana: alle SS.UU. la questione sulla legge applicabile

Luca Tantalo
10 Gennaio 2020

È necessario che le Sezioni Unite si occupino di una serie di questioni complesse che riguardano l'applicazione della lex rei sitae e della lex successoria, anche ai sensi della legge n. 218/1995, onde individuare la norma materiale applicabile alle successioni di cittadini stranieri, in particolare per quel che riguarda i beni situati in Italia e in presenza di contestazioni sulla validità del testamento.

Il caso. Nel febbraio del 2001, la moglie italiana di un cittadino inglese (di chiare origini italiane), conveniva in giudizio i figli del de cuius, con il quale aveva contratto matrimonio nell'ottobre 1999, deceduto poi a Milano due mesi dopo le nozze, sostenendo che il marito nel 1997 (quindi quando ancora non vi era il vincolo matrimoniale), con testamento le aveva lasciato un legato di 50 mila sterline, attribuendo i restanti beni ai cinque figli nati dal primo matrimonio. Riferiva poi che, essendo il de cuius di nazionalità inglese, il testamento doveva considerarsi revocato per effetto del secondo matrimonio, cioè quello contratto con l'allora attrice, e pertanto la successione si doveva ritenere ab intestato. Di conseguenza, chiedeva di riconoscerle la piena proprietà di tutti i beni mobili rientranti nell'asse, in aggiunta al legato, oltre alla quota di un terzo degli immobili siti in Italia, in applicazione della legge successoria italiana. In via subordinata, chiedeva (nell'ipotesi in cui il testamento fosse ritenuto valido), di ridurre le disposizioni testamentarie lesive della sua quota e di ordinare agli eredi il rendimento del conto.
Questi si costituivano in giudizio, deducendo che il testamento fosse regolato dalla legge italiana e che non potesse essere dichiarato inefficace.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 2009, accoglieva le domande della vedova, attribuendole la quota di 1/3 degli immobili, che assegnava però agli eredi in sede di divisione, con condanna di questi ultimi al pagamento di un forte conguagli in favore dell'attrice.
La pronuncia veniva confermata in sede di appello. La Corte territoriale riteneva, infatti, che la successione fosse regolata dal diritto inglese, avendo il de cuius mantenuto il domicilio di origine, e stabiliva che il testamento dovesse ritenersi revocato per effetto del secondo matrimonio, ritenendo quindi che l'intera successione fosse ab intestato. La Corte riteneva altresì che, visto che il diritto internazionale privato inglese prevede un rinvio alla legge dell'ultimo domicilio del defunto per la successione relativa ai beni mobili e alla legge di situazione per la successione relativa a quelli immobili, la vedova avesse diritto ad un terzo dei cespiti situati in Italia, in applicazione della lex rei sitae.
Per la cassazione della sentenza, proponeva ricorso uno degli eredi con otto motivi, nonché controricorso in replica al ricorso incidentale della originaria attrice; un altro degli eredi proponeva ricorso incidentale articolato in cinque motivi, depositando anche memoria illustrativa e controricorso in replica al ricorso incidentale della vedova del di lui padre. Con ordinanza interlocutoria, la Suprema Corte ha ordinato la notifica dei ricorsi agli altri coeredi, già parti del giudizio di merito, i quali però hanno ritenuto di non svolgere difese nel giudizio di cui all'ordinanza in commento.

È necessario che le Sezioni Unite chiariscano quale sia la legge applicabile per la successione di un cittadino inglese, in presenza di suo testamento e richiesta di annullamento da parte della moglie italiana, in particolare vista la presenza di immobili sul suolo italiano e il decesso avvenuto in Italia.

La Corte di Cassazione ha esaminato approfonditamente la questione, assai complessa, anche alla luce della presenza di un testamento, peraltro precedente alle nozze, della scelta del de cuius di rimanere cittadino inglese, del suo decesso in Italia, e della presenza di numerosi cespiti sul territorio italiano.
La lunga disamina effettuata nell'ordinanza ricorda peraltro la presenza, nel nostro ordinamento, della legge n. 218/1995, che introducono le norme di diritto internazionale privato, e che si applicano nel caso in esame, dato che la successione si è aperta nel 2000.
Di conseguenza, la seconda Sezione ha deciso di rinviare la questione alle Sezioni Unite, affinché stabiliscano: a) se la lex rei sitae possa costituire essa stessa la fonte di regolazione del titolo successorio per effetto del rinvio contenuto nelle norme di diritto Internazionale privato straniero che contemplano il sistema della scissione; b) se invece detta legge venga sempre in rilievo, anche nel sistema della legge n. 218/1995 ai soli fini della regolazione del la modalità di acquisto dei beni ereditari. Infine, l'ordinanza ha posto le seguenti questioni di particolare rilevanza: 1) Se per il combinato disposto degli artt. 13, comma 1, 15 e 46, comma 1, della legge n. 218/1995 la qualificazione degli istituti e delle materie, ai fini dell'individuazione delle norme sostanziali applicabili nei singoli casi, debba operarsi in base all'inquadramento effettuato dall'ordinamento straniero può in base alle norme della lex fori; 2) Se l'operatività del rinvio ex articolo 13 come primo della legge 218 sia escluso quando la legge straniera sia in contrasto con il principio di universalità e unitarietà della successione peraltro recepito dal nostro ordinamento nell'articolo 46 della legge 218; 3) L'ordinanza chiede anche di sapere se nel caso in cui si debba tenere conto delle norme di rinvio contenute nella legge straniera e queste prevedano il sistema della scissione, se e in quali limiti e con quale modalità, detto rinvio investa anche la validità ed efficacia del titolo successorio: 4) se il rinvio alla lex rei sitae, oggetto della norma straniera richiamata comporta invece solamente l'applicabilità delle norme concernenti le modalità di acquisto dei beni ereditari.
Avendo la seconda sezione rilevato che su queste questioni, ritenute di particolare rilevanza, non esistono precedenti, e nemmeno indicazioni dottrinali uniformi, ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Presidente della Corte di Cassazione per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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