Il giudice del dibattimento di fronte alla pericolosità sociale: come orientarsi con la sospensione del processo, le misure di sicurezza e le misure cautelari

17 Gennaio 2020

Con la definitiva chiusura degli OPG e la loro sostituzione con le REMS è stata portata a termine una riforma “epocale”; essa, tuttavia, non avendo trovato un'adeguata e tempestiva attuazione sul piano amministrativo, ha posto rilevantissimi problemi di carattere pratico ai giudici, che si sono trovati di fronte...
Abstract

Con la definitiva chiusura degli OPG e la loro sostituzione con le REMS è stata portata a termine una riforma “epocale”; essa, tuttavia, non avendo trovato un'adeguata e tempestiva attuazione sul piano amministrativo, ha posto rilevantissimi problemi di carattere pratico ai giudici, che si sono trovati di fronte alla materiale indisponibilità di strutture residenziali nelle quali avrebbero dovuto ricoverare, in applicazione della legge, i soggetti socialmente pericolosi; l'autore espone le possibili soluzioni pratiche a tale problema e analizza la riforma della disciplina dell'incapacità processuale e la particolare interpretazione ad essa data da una recente sentenza della Supreme Corte (Cass. Pen., Sez. VI, 23 ottobre 2018, Cannata, n. 55743).

Premessa

La pericolosità sociale è uno dei temi più delicati che il giudice del dibattimento si trova a dover trattare non solo per le sue implicazioni di carattere tecnico-scientifico, ma anche e soprattutto per la normativa, particolarmente complessa e articolata, che la disciplina. A rendere ancor più complicato il compito del giudice sono le evidenti inadempienze delle autorità amministrative nel dare attuazione ad una riforma “epocale”: la definitiva chiusura degli OPG e la loro sostituzione con le REMS.

Svariate sono le situazioni nelle quali il giudice del dibattimento può trovarsi di fronte ad un imputato “socialmente pericoloso”, ma quella che ricorre più frequentemente nella pratica giudiziaria e che, di regola, presenta le maggiori complicazioni, anche in ragione dei tempi ristretti entro i quali il giudice deve prendere le sue decisioni, è quella in cui il disagio mentale del soggetto si manifesta nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto e del conseguente giudizio direttissimo.

Udienza di convalida

Frequentemente accade che, già nell'udienza di convalida, il difensore produce dei documenti (cartelle mediche, attestazioni INPS, ecc.) dai quali emergono patologie psichiatriche che affliggono l'arrestato. È possibile, altresì, che il disagio mentale emerga con chiarezza dalla stessa condotta tenuta dall'arrestato in udienza oppure dalla relazione dell'ufficiale di P.G.

Non ci saranno ancora, però, elementi certi per poter affermare un'eventuale incapacità processuale del soggetto né tantomeno una sua pericolosità sociale.

In tali casi, pertanto, il giudice (fatte salve situazioni particolari) può velocemente portare a termine l'udienza di convalida, dovendo egli, in tale fase, valutare soprattutto la legittimità dell'operato della P.G.

Ipotizziamo che il P.M., oltre a chiedere la convalida dell'arresto, in considerazione della gravità del reato e ritenendo concreto il pericolo di recidiva, avanzi anche istanza di applicazione di una misura cautelare custodiale.

Al riguardo va, anzitutto, precisato che il giudice, in questo momento, non potrebbe mai applicare una misura di sicurezza, neppure una che egli ritenesse meno afflittiva per il reo rispetto alla misura cautelare richiesta dal P.M.

Invero, l'art. 312 c.p.p. espressamente subordina l'applicazione provvisoria di una misura di sicurezza alla richiesta del P.M. e non è consentita alcuna confusione tra misure cautelari in senso stretto e misure di sicurezza.

Si tratta, infatti, di misure diverse, che si basano su presupposti diversi, anche nel caso in cui la misura cautelare trovi fondamento nel pericolo di reiterazione del reato (cfr. Corte Cost. sent. n. 228/99, che ha ben chiarito come la pericolosità sociale, che è la pericolosità criminale generica, cioè la probabilità che la persona commetta nuovi fatti di reato, deve essere distinta dal concreto pericolo di reiterazione di gravi delitti della stessa specie di quelli per i quali si procede, richiesto dall'art. 274 c.p.p. lett. c)).

Non è consentito, dunque, al giudice di trattarle indistintamente nell'ambito di un unico sub procedimento cautelare, in modo tale da poter tranquillamente scegliere tra loro con l'unico limite della minor afflittività per il reo.

Tali principi oltre ad essere affermati in dottrina, sono deducibili da alcune sentenze della Suprema Corte: Cass. Pen., Sez. V, 15 gennaio 2007, n. 5818; Cass. Pen., Sez. III, 13 giugno 2003, n. 1137. In quest'ultima pronuncia, la Cassazione ha affermato che non è possibile, in sede di riesame, sostituire una misura di sicurezza con una misura cautelare, anche nei casi in cui quest'ultima venga ritenuta dal giudicante meno afflittiva della prima.

Quali sono dunque i provvedimenti adottabili dal giudice?

Va premesso che il CSM ha dedicato ai problemi applicativi in materia di superamento di OPG e di istituzione delle REMS la delibera del 19 aprile 2017 e la risoluzione del 24 settembre 2018. Proprio in ottemperanza a quest'ultima, alcuni Tribunali hanno provveduto a stipulare con le Regioni e le ASL dei Protocolli Operativi in tema di misure di sicurezza (il Tribunale di Napoli, ad esempio, ha stipulato il 19 dicembre 2018 un Accordo Operativo in tema di Applicazione delle Misure di Sicurezza con la competente ASL e la Regione Campania).

È importante segnalare che tali accordi, sebbene aventi a oggetto specificamente le misure di sicurezza, si preoccupano di coinvolgere fin dall'inizio i presidi sanitari presenti sul territorio, prevedendo, ad esempio, la possibilità per l'A.G. di chiedere, fin dal momento dell'arresto, informazioni dettagliate sul soggetto, che ben potrebbe essere stato già preso in carico dal DSM.

Tali informazioni, se rese in tempi rapidi, potrebbero essere molto utili ad orientare le decisioni del Giudice.

Prima ipotesi. Il giudice potrebbe ritenere che non sussistano esigenze cautelari, ma solo di cura per il soggetto. È l'ipotesi prevista dall'art. 73, comma 1: il giudice, in tal caso, informa con il mezzo più rapido l'autorità competente per l'adozione delle misure previste dalle leggi per il trattamento sanitario delle malattie mentali.

Qui ci troviamo di fronte a un bisogno terapeutico che ha rilevanza amministrativa e sanitaria: il giudice è tenuto a coinvolgere la competente autorità, che si attiverà per disporre il necessario trattamento.

Al secondo comma, l'art. 73 prevede l'ipotesi in cui non sia possibile aspettare l'intervento dell'autorità amministrativa, perché il ritardo nella somministrazione del trattamento potrebbe esporre il soggetto a pericolo. In tal caso, sarà il giudice a disporre il ricovero provvisorio in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero. Sia ben chiaro Servizio Psichiatrico Ospedaliero e non reparto per malati di mente degli istituti di pena. Le ipotesi previste dal secondo comma, invero, riguardano i casi dove vengono in rilievo solo esigenze di cura e non anche di vigilanza.

Il giudice in tali casi esercita, in supplenza, poteri di natura amministrativa. E in coerenza con la natura dei poteri dai quali discende, l'ordinanza del giudice che ha disposto il ricovero perde immediatamente efficacia al sopravvenire del provvedimento dell'autorità amministrativa.

Seconda ipotesi. Il giudice potrebbe ritenere sussistenti esigenze cautelari.

In tal caso il giudice può scegliere tra due “diversi” provvedimenti:

  1. disporre la custodia cautelare in luogo di cura, prevista dall'art. 286 c.p.p.; ossia la custodia cautelare mediante ricovero in idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero (non strutture private), adottando, però, in tal caso, i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga (il c.d. piantonamento); si tratta, comunque, di custodia cautelare, seppure eseguita con modalità diverse (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 22 ottobre 1993, n. 4374: “La custodia cautelare in luogo di cura, prevista dall'art. 286 cod. proc. pen., non è misura cautelare diversa dalla custodia in carcere, di cui al precedente articolo 285, dovendosi invece ritenere che trattasi, nell'uno e nell'altro caso, di unica misura attuata con diverse modalità; ragion per cui, quando il giudice ritenga che siano venute meno le ragioni giustificatrici della custodia in luogo di cura, può disporre la custodia in carcere senza necessità di apposita richiesta del pubblico ministero, formulata ai sensi dell'art. 291, comma primo, cod. proc. pen.”);
  2. disporre la custodia cautelare in carcere con assegnazione, ex art. 111, comma 5, d.P.R. 230 del 2000, del soggetto alla sezione speciale per infermi di mente e minorati psichici.

In dottrina, si sostiene che il giudice non avrebbe tale alternativa, dovendo egli applicare necessariamente la misura di cui all'art. 286. Tale tesi si fonda sul dato letterale dell'art. 73, comma 3, c.p.p., che prevede che, quando deve essere disposta la misura cautelare nei confronti di un imputato che necessita di cure per il suo stato di mente, il giudice “ordina” che essa sia eseguita nelle forme dell'art. 286.

Tale tesi non trova riscontro nella giurisprudenza della Suprema Corte, che, al contrario, afferma che, in presenza di un'infermità di mente dell'imputato sottoposto o da sottoporre a custodia cautelare, il giudice non è necessariamente tenuto a disporre la custodia in luogo di cura esterno, ai sensi dell'art. 286 c.p.p., ma può invece anche disporre l'assegnazione dell'imputato ad un istituto o sezione speciale per infermi o minorati psichici (cfr. Cass. Pen, Sez. I, 22 ottobre 1993, n. 4374; Cass. Pen., Sez. III, 16 novembre 2007, n. 47335; Cass. Pen., Sez. IV, 10 dicembre 2003, n. 3518). L'orientamento della Suprema Corte si fonda sul dato letterale dell'art. 286 (“Se la persona da sottoporre a custodia cautelare si trova in stato di infermità di mente … il giudice … <<può>> disporre il ricovero …”) e sul richiamo generalizzato a tale articolo contenuto nell'art. 73, comma 3, che coinvolge tutte le proposizioni della norma e, dunque, anche quella che prevede la facoltà (e non l'obbligo) di disporre, nei casi in esame, la custodia cautelare nella sua versione “psichiatrica”.

L'orientamento giurisprudenziale si lascia preferire anche per ragioni di ordine pratico, consentendo al giudice di disporre la custodia cautelare, secondo le modalità più restrittive, quando si trovi di fronte ad esigenze cautelari particolarmente gravi.

Giudizio direttissimo

A questo punto, disposto il giudizio direttissimo, il giudice dovrà disporre una perizia psichiatrica (ai sensi dell'art. 305 c.p.p., durante il periodo assegnato per l'espletamento della perizia, i termini della custodia cautelare, su richiesta del P.M., sono prorogati).

È evidente che la concreta formulazione dei quesiti dipenderà dalle particolarità del caso concreto.

In linea di massima, tuttavia, i quesiti riguarderanno:

  • la capacità di intendere e volere al momento del fatto;
  • la capacità di stare in giudizio - che ha una portata più ampia della capacità di intendere e volere, consistendo essa nella capacità di partecipare in modo consapevole e attivo alla vicenda processuale, interloquendo con gli altri soggetti del processo, allo scopo di esercitare l'autodifesa e di comunicare con il proprio difensore (cfr. Corte Cost., sent. n.341/91) - e l'eventuale irreversibilità dello stato di incapacità;
  • la pericolosità sociale (si tenga presente, però, che il giudizio di pericolosità sociale non potrà fondarsi esclusivamente sulla valutazione criminologica effettuata dal perito, essendo compito del giudice procedere anche all'analisi dei fatti commessi dall'imputato e di ogni altro parametro indicato dall'art. 133 c.p.; cfr. Cass. Pen., Sez. III, 10 maggio 2017, n.38965).

Con specifico riferimento a quest'ultimo profilo, al perito andrà chiesto, nel caso di ritenuta pericolosità sociale, se questa possa essere contenuta con misure di sicurezza di carattere non detentivo e dunque diverse dal ricovero in REMS. Tale quesito è finalizzato a valutare la possibilità di applicare la libertà vigilata, che, a seguito della riforma del 2014 (ma in realtà tale strada era stata già aperta con la sent. n. 253/2003 della Corte Cost.), è diventata la misura di sicurezza da privilegiare.

Sempre con riferimento al medesimo profilo, andrà chiesto al perito se, nel caso in cui egli ritenga necessaria la misura di sicurezza di natura detentiva, vi siano percorsi terapeutici (individuati anche attraverso il supporto di DSM e ASL) da eseguire in strutture residenziali, diverse dalle REMS, che siano idonee a contenere la pericolosità del periziando e a fornirgli le adeguate cure; indicando, in tal caso, le strutture presenti sul territorio. Tale quesito è chiaramente finalizzato a valutare, nel caso di pericolosità sociale che richiederebbe una misura di tipo detentivo, la possibilità di applicare, in luogo della REMS, la libertà vigilata da eseguirsi in un'adeguata struttura residenziale.

Ipotizziamo che le conclusioni del perito siano le seguenti:

  • incapacità processuale reversibile;
  • vizio totale di mente al momento del fatto;
  • pericolosità sociale che, per essere contenuta, richieda necessariamente una misura detentiva.

Il P.M., conseguentemente, chiederà di revocare la misura cautelare in atto e di applicare la misura di sicurezza dell'OPG da eseguirsi in REMS.

Quali saranno i provvedimenti del giudice?

Per quel che riguarda il processo, il giudice non può che sospenderlo, atteso che l'incapacità è reversibile, con conseguente nomina di un curatore speciale per l'imputato; seguiranno verifiche semestrali sullo stato di mente del soggetto.

Per quel che riguarda la misura cautelare custodiale, essa dovrà essere revocata (anche perché, a rigore, una misura cautelare non potrebbe più sussistere quando si è verificato con certezza un vizio totale di mente che impedirà, al termine del processo, l'applicazione di una pena; l'art. 273, comma 2, peraltro, espressamente esclude che possa essere applicata una misura cautelare quando sussiste una causa di non punibilità).

Dovrà essere applicata una misura di sicurezza.

Nella scelta, in applicazione del principio di residualità delle misure di sicurezza detentive introdotto dalla L. n. 81/2014, si dovrebbe preferire una misura non detentiva e dunque la libertà vigilata.

Nel nostro caso, però, il perito ha ritenuto necessaria, per contenere la pericolosità sociale dell'imputato, la misura detentiva.

In tal caso, non rimane che applicare l'OPG da eseguirsi in REMS.

L'indisponibilità di posti nelle REMS

È fatto ormai noto che, soprattutto in determinate Regioni, vi è una scarsa disponibilità di posti nelle REMS.

Prima di analizzare le possibili soluzioni che il giudice del dibattimento può dare al problema della mancanza di disponibilità di posti nelle REMS, appare opportuno ricordare i principali passaggi della riforma che ha portato alla graduale chiusura degli OPG e alla previsione delle REMS quali strutture per l'esecuzione dell'OPG e della Casa di cura e custodia, CCC (tanto nel caso di applicazione definitiva che in quello di applicazione provvisoria della mds detentiva).

Con le REMS si è spostato il baricentro delle misure di sicurezza dal controllo sociale alla cura e alla risocializzazione della persona. È vero che si tratta di strutture residenziali, ma all'interno di esse il soggetto viene avviato a percorsi prettamente terapeutici e riabilitativi, ad opera di personale medico e sanitario, inquadrato nel SSN. È prevista anche la vigilanza, ma è esterna. E per evitare sovraffollamenti poco compatibili con programmi terapeutici è stato previsto che, in ogni REMS, il numero di posti non possa essere superiore a venti, da destinare per lo più a soggetti provenienti dalla stessa Regione ove è stata realizzata la struttura.

Il processo di riforma è stato lento e graduale ed ha avuto inizio con il DPCM del 1° aprile 2008, che ha previsto il passaggio alle Regioni delle competenze sanitarie attinenti agli OPG.

Non appare opportuno ricordare tutti i passaggi di tale articolato processo di riforma, ma solo quelli più importanti, realizzati con la L. n. 9/2012 (D.L. 211/2011), che ha previsto il completo superamento degli OPG e l'istituzione delle REMS, e con la L. n. 81/2014 (D.L. 52/2014), che ha fissato nuovi e fondamentali principi in materia di mds detentive.

Tra questi ultimi, deve essere senza dubbio ricordato il principio di residualità delle misure detentive (art. 1, comma 1, L. n. 81/2014): nel caso di infermità di mente (e semi infermità), l'OPG e la CCC possono essere disposte, anche in via provvisoria, solo se ogni altra misura risulti inadeguata alle esigenze di cura e al controllo della pericolosità sociale. Già la Corte Cost., con la sentenza n. 253/2003, aveva fatto venir meno l'indefettibilità della misura di sicurezza detentiva, consentendo l'applicazione della libertà vigilata, quando questa risultasse adeguata a far fronte alle esigenze di cura e al controllo della pericolosità sociale. Ora con la riforma del 2014, l'applicazione della libertà vigilata non costituisce più solo una possibile alternativa alle misure detentive, ma la regola a cui attenersi nel caso di pericolosità sociale dell'infermo di mente: le misure detentive sono rimaste come extrema ratio.

La più importante delle riforme è forse contenuta nell'art. 1-quater della L. n. 81/2014: “Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive … non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima”.

Con tale norma si è superato il principio dell'indeterminatezza della durata della misure di sicurezza, che consentiva di mantenere in atto la misura fino a quando non fosse concretamente cessata la pericolosità del soggetto (tale principio aveva portato ai c.d. ergastoli bianchi: espressione con la quale si intendeva far riferimento al fatto che un soggetto poteva rimanere sottoposto alla misura detentiva anche per tutta la durata della sua vita ed anche se il fatto di reato da lui commesso non era punito dalla legge con una pena particolarmente alta).

Con la riforma, dunque, si è fissato un termine massimo per tutte le misure di sicurezza detentive, ancorandolo al massimo edittale previsto per il fatto di reato commesso dal soggetto, per determinare il quale, si dovranno applicare i criteri fissati nell'art. 278 c.p.p.

Meno importante ma di sicuro rilievo è un altro punto della riforma: nell'accertamento della pericolosità sociale non potrà più darsi rilievo ai c.d. indicatori esterni (quelli previsti dall'art. 133 n. 4, c.p.) né alla sola mancanza di programmi terapeutici individuali (art. 1, comma 1, L. n. 81/2014).

L'attuazione della riforma è stata molto lenta e travagliata: gli ultimi OPG sono stati concretamente chiusi solo nel 2017, benché la normativa a regime ne avesse previsto la definitiva chiusura nell'aprile 2015; ben poche sono state le REMS realizzate e, conseguentemente, i giudici si sono trovati di fronte ad una situazione nella quale la realtà concreta non corrispondeva a quella presupposta dalla legge: quest'ultima imponeva loro di ricoverare l'imputato in REMS, ma concretamente non vi era disponibilità di posti in tali strutture.

A tal proposito, tornando al nostro giudice del dibattimento, come dovrà comportarsi se non vi è disponibilità di posti nelle REMS per il suo imputato?

La strada maggiormente percorribile e che è stata concretamente percorsa dai giudici di merito (Napoli, Roma, Torino) è quella dell'applicazione della libertà vigilata presso strutture residenziali: in tale caso, ove in precedenza fosse stata applicata la misura dell'OPG in REMS, quest'ultima dovrà essere revocata e sostituita con la libertà vigilata.

Tale soluzione, tuttavia, è stata oggetto di rilievi critici. In particolare, si è sostenuto che tale soluzione porterebbe a trasformare completamente la libertà vigilata, attribuendole natura detentiva: si finirebbe in sostanza per creare una misura di sicurezza atipica, in palese contrasto con i principi di legalità e tassatività.

Tale tesi sembra trovare conforto in alcune pronunce della Suprema Corte: “Nell'ipotesi di applicazione provvisoria della misura di sicurezza della libertà vigilata, il giudice non può imporre, stante il principio di legalità, prescrizioni che ne snaturino il carattere non detentivo” (Fattispecie in cui la Corte ha annullato l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato la misura provvisoria di sicurezza della libertà vigilata con ricovero presso una comunità terapeutica; Cass. Pen., Sez. II, 11 novembre 2014, n. 49497; cfr. anche Cass. Pen., Sez. I, 11 giugno 2013, n. 26702).

Fermo restando il principio affermato dalla Suprema Corte, a parere di chi scrive e di altri giudici di merito, ci sarebbe uno spazio, seppure ristretto, entro il quale percorrere la strada sopra indicata; sarebbe cioè possibile adottare la mds della libertà vigilata in struttura residenziale, senza farle assumere carattere detentivo; tale possibilità, ovviamente, è legata al contenuto delle prescrizioni che concretamente si danno con la misura in questione.

Tale tesi ha recentemente ricevuto l'avvallo della Suprema Corte, che ha affermato che: “Nell'ipotesi di applicazione provvisoria della misura di sicurezza della libertà vigilata, il giudice può imporre la prescrizione della residenza temporanea in una comunità terapeutica, a condizione che la natura e le modalità di esecuzione della stessa non snaturino il carattere non detentivo della misura di sicurezza in atto” (In motivazione, la Corte ha precisato che la prescrizione di un programma terapeutico residenziale non è assimilabile "ex se" ad un ricovero obbligatorio, con sostanziale applicazione di una misura a carattere detentivo; Cass. Pen., Sez. I, 22 maggio 2015, n. 33904).

La Suprema Corte in quest'ultima pronuncia, dunque, ha affermato chiaramente che non vi è incompatibilità assoluta tra libertà vigilata e ricovero in una struttura terapeutica di tipo residenziale.

Lo spazio per il ricorso alla libertà vigilata, dunque, sembra esservi; occorre, tuttavia, stare ben attenti ad evitare di imporre prescrizioni troppo restrittive, che potrebbero finire per dare alla misura carattere detentivo.

Bisogna considerare che la libertà vigilata non ha un contenuto predeterminato: spetta al giudice riempirlo.

Tale misura, inoltre, nell'attuale quadro normativo, deve essere senza dubbio preferita rispetto alle misure detentive, che, a seguito della L. n. 81/2014, hanno oramai assunto un rilievo del tutto residuale.

Va, poi, ricordato che la possibilità di eseguire la libertà vigilata in una struttura psichiatrica, implicitamente, è stata ritenuta compatibile con il nostro sistema costituzionale anche in una lontana pronuncia della Corte Costituzionale, che, sebbene emessa in un diverso contesto normativo, rimane comunque significativa. La Corte, nel dichiarare inammissibile una questione che tendeva ad ottenere una pronuncia additiva, lamentava proprio il fatto che il giudice rimettente non teneva “conto della più recente giurisprudenza, anche di legittimità, secondo cui la libertà vigilata, accompagnata da opportune prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati, può essere eseguita anche in una struttura psichiatrica protetta” (sentenza n. 83/2007).

Determinanti diventano, allora, le concrete prescrizioni che il giudice dà per riempire di contenuto la libertà vigilata.

Ed allora, affinché il profilo detentivo sfumi completamente, in primo luogo, il ricovero nella struttura residenziale dovrà trovare giustificazione in specifiche esigenze di cura e recupero del soggetto ed essere funzionale ad esse: dovrà, pertanto, essere preceduto da un piano terapeutico che espressamente preveda il ricovero nella struttura residenziale (in tal senso sarà importante coordinarsi fin dall'inizio con le autorità sanitarie, magari secondo le modalità fissate nei Protocolli Operativi). Le prescrizioni imposte all'imputato, poi, non dovranno essere troppo stringenti: ad esempio, sarà il caso di non imporre all'imputato il divieto di uscire dalla struttura senza la necessaria preventiva autorizzazione del giudice e di autorizzarlo, invece, ad uscire per esigenze legate al piano terapeutico, accompagnato da uno o più operatori della struttura, magari con obbligo per il responsabile della residenza terapeutica di segnalare le uscite alla P.G. delegata per il controllo.

È chiaro che la strada della libertà vigilata presso strutture residenziali non potrà essere percorsa quando vi sia un elevato grado di pericolosità del soggetto: in tali casi, l'esigenza di salvaguardare la collettività impone l'adozione di una misura di tipo detentivo.

Il giudice, nel valutare il grado di pericolosità del soggetto, dovrà poggiarsi anche sulle conclusioni del perito, al quale (come visto) andrà formulato uno specifico quesito in ordine alla sussistenza di percorsi terapeutici da eseguire in strutture residenziali, diverse dalle REMS, che siano idonee a contenere la pericolosità dell'imputato e a fornirgli le adeguate cure.

Su tali profili sarà opportuno che il perito si coordini anche con le autorità sanitarie presenti sul territorio, che potranno fornire oltre a importanti notizie sulle strutture, il loro fondamentale contributo nell'elaborazione di eventuali programmi terapeutici.

Va ribadita l'importanza di prevedere, fin dall'inizio, che le indagini peritali si estendano anche a tali profili, in modo tale da avere a disposizione, all'esito della perizia, tutti gli elementi per decidere. In modo tale, cioè, da essere già pronti a far fronte ad un'eventuale indisponibilità di posti in REMS. Senza contare che, per il principio di residualità delle misure detentive, l'applicazione della libertà vigilata, seppur nella forma più vincolante dell'esecuzione in struttura residenziale, dovrebbe essere sempre preferita rispetto al ricovero in REMS. Il giudice, dunque, è tenuto, a prescindere dalla disponibilità di posti nelle REMS, a valutare fino in fondo la possibilità di evitare la misura detentiva, applicando la libertà vigilata in strutture residenziali, quando essa risulti idonea a contenere la pericolosità sociale del soggetto.

Nei casi di elevato allarme sociale, non rimane che dare atto della non eseguibilità della misura nella REMS per carenza di posti, con il conseguente mantenimento della misura restrittiva in carcere (sempre con destinazione ad una sezione speciale per gli infermi di mente); si dovrà espressamente prevedere che l'ordine di scarcerazione andrà eseguito solo nel momento in cui si renderà disponibile il posto in REMS.

Unitamente a tali provvedimenti, il giudice formalmente solleciterà il DAP e la Regione di residenza dell'imputato affinché si adoperino, come loro spetta istituzionalmente, per la pronta collocazione della persona in REMS (art. 1 accordo unificato per il superamento degli OPG n. 17 del 26 febbraio 2015).

Variante

Consideriamo ora una variante rispetto al caso prima esaminato: all'esito della perizia, l'imputato risulta affetto da una patologia che ne determina irreversibilmente l'incapacità processuale.

In tal caso, ai sensi dell'art. 72-bis (introdotto dalla riforma Orlando), deve essere emessa sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l'applicazione di una misura di sicurezza (diversa dalla confisca).

Nel nostro caso ricorre proprio quest'ultima ipotesi. Invero, essendo state accertate l'incapacità di intendere e volere al momento del fatto e la pericolosità sociale (tale da richiedere una mds di tipo detentivo), dovrà essere applicata una misura di sicurezza diversa dalla confisca: l'OPG da eseguirsi in REMS.

Anche in tal caso, dunque, sebbene sia stata accertata l'irreversibilità dell'incapacità processuale, dovrà sospendersi il processo, risultando preclusa la sentenza di proscioglimento.

A tal riguardo, deve essere precisato che, in realtà, il testo della norma non prevede espressamente che il giudice, in caso di incapacità irreversibile accompagnata da un giudizio di pericolosità sociale, debba sospendere il processo. Tale omissione, in dottrina, è stata ritenuta frutto di una mera mancanza di coordinamento tra il nuovo art. 72-bis e il riformato art. 71.

La sospensione appare, tuttavia, necessariamente conseguente ad una lettura logico- sistematica delle norme in questione e dei principi espressi in esse, che portano sicuramente ad escludere che possa continuare un processo nei confronti di un soggetto appena accertato come incapace.

Il perdurare all'infinito del processo, nei casi in esame, troverà limite solo nella prescrizione del reato (ex Corte Cost. sent. n. 41/2015 ) ovvero nello scadere del termine massimo della mds applicata in via provvisoria (ex l. n. 81/14). Con riferimento a quest'ultima possibilità, va osservato che, una volta scaduto il termine massimo e non essendo più possibile applicare misure di sicurezza, non vi sarebbe più alcun ostacolo alla sentenza di proscioglimento per incapacità irreversibile (la scadenza del termine massimo di durata, tuttavia, non riguarderà le ipotesi di applicazione della libertà vigilata - neppure nel caso di esecuzione in struttura residenziale - considerato che l'art. 1 quater della L. n. 81/14 ha introdotto il termine massimo solo per le mds detentive).

Il “quadro” esposto è quello reso evidente dalla lettura delle nuove norme, in conformità ai principi espressi in materia dalla Suprema Corte prima della novella.

Una recente sentenza della Suprema Corte, tuttavia, ha dato una lettura delle nuove norme completamente diversa da quella esposta, che, se trovasse seguito, porterebbe a ridurre sensibilmente i casi di processi dalla durata “infinita”.

Mi riferisco alla sentenza Cannata (Cass. Pen., Sez. VI, 23 ottobre 2018, Cannata, n. 55743).

Per comprendere bene la portata della sentenza, occorre fare un passo indietro e ricordare gli orientamenti giurisprudenziali in materia di incapacità processuale e, in particolare, quello avente ad oggetto le “clausole di salvezza” previste dagli artt. 70 e 71 c.p.p.: la perizia e la sospensione del processo vanno disposte, sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento.

A tal riguardo, la Suprema Corte aveva precisato che tra le sentenze di proscioglimento non poteva essere considerata quella per difetto di imputabilità, se ad essa dovesse conseguire anche l'applicazione di una misura di sicurezza (Cass. Pen., Sez. IV, 21 luglio 2009, n. 38246; Sez. V, 13 luglio 2015, n. 43489). In base a tale orientamento, se dalla perizia fosse risultata anche la pericolosità sociale, con conseguente applicabilità di una misura di sicurezza, non ci sarebbe stato spazio per la sentenza di proscioglimento, atteso che l'applicazione di una sanzione afflittiva come la mds non poteva essere disposta all'esito di un giudizio svolto davanti ad un soggetto incapace di difendersi (la Suprema Corte aveva precisato che il legislatore dell'88 non si era preoccupato di prevedere espressamente che, nei casi in esame, non si potesse addivenire all'immediato proscioglimento del soggetto, perché la norma, nel testo originario, ossia quello vigente fino alla sentenza additiva della Corte Cost. n. 340/92, si applicava alle sole ipotesi di incapacità processuale sopravvenuta, nelle quali non era possibile applicare la mds). In tali casi dunque andava sospeso il processo, sebbene, in astratto, vi sarebbe stata la possibilità di emettere una sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilità. Il vizio totale di mente poteva portare all'immediata definizione del processo solo se l'imputato non fosse risultato pericoloso socialmente e, conseguentemente, non vi fosse stata possibilità di applicare una misura di sicurezza. In definitiva, la sospensione serviva per bloccare sentenze in malam partem (Cass. Pen., Sez. VI, 4 luglio 2013, n. 34575).

La lettura del nuovo art. 72-bis prima esposta appare in perfetta coerenza con tali principi: in caso di applicabilità di una misura di sicurezza, anche se l'incapacità è irreversibile, non può essere emessa la sentenza di non doversi procedere; proprio perché, altrimenti, si finirebbe per terminare un processo e applicare una sanzione afflittiva nei confronti di un soggetto non in grado di autodifendersi.

L'interpretazione degli artt. 70 e ss. data nella sentenza Cannata ribalta completamente l'orientamento espresso dalla Suprema Corte prima della riforma Orlando (sebbene tale sentenza, in italgiure, venga indicata come conforme a Sez. IV, 21 luglio 2009, n. 38246 e a Sez. V, 13 luglio 2015, n. 43489, in realtà, essa ribalta completamente i principi affermati in quelle sentenze).

Nel caso all'esame della Cassazione, il Tribunale di Brescia, all'esito del giudizio abbreviato, aveva assolto l'imputato dal reato di evasione in quanto non imputabile per vizio totale di mente; aveva, però, applicato la misura di sicurezza della libertà vigilata presso una residenza sanitaria, essendo stata accertata la pericolosità sociale del soggetto.

Ricorreva la Difesa del Cannata, lamentando che, essendo stata accertata l'incapacità irreversibile dell'imputato, ai sensi dell'art. 72 bis, non era possibile applicare una mds diversa dalla confisca.

La Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha affermato che bene aveva fatto la Corte territoriale (che aveva confermato la sentenza di primo grado) a dare prevalenza al proscioglimento nel merito dell'imputato per vizio totale di mente.

La Suprema Corte, invero, ha sostenuto che l'obbligo di pronunciare, nel caso di accertato vizio totale di mente, l'immediata sentenza di proscioglimento, con possibile applicazione della misura di sicurezza, sarebbe espressamente sancito sia dall'art. 70 che dall'art. 71, che prevedono, rispettivamente, la necessità di disporre la perizia e la sospensione del processo solo se non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento. Tale quadro non sarebbe smentito dall'art. 72 bis (che esclude la dichiarazione di ndp quando deve applicarsi una mds) perché tale norma si inserirebbe sempre in un quadro in cui gli artt. 70 e 71 affermano la prevalenza delle cause di proscioglimento.

In altri termini, gli artt. 70 e 71 affermerebbero la prevalenza, in ogni caso, delle cause di proscioglimento e, dunque, anche di quella per vizio totale di mente. Tale quadro, non essendo stato espressamente derogato dall'art. 72 bis, rimarrebbe tutt'ora vigente, con la conseguenza che il giudice avrebbe l'obbligo, nei casi di incapacità irreversibile, di pronunciare una sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilità (e non una per incapacità irreversibile ex art. 72 bis) con conseguente applicabilità di una mds anche diversa dalla confisca.

L'interpretazione degli art. 70 e ss. operata nella sentenza Cannata, sotto il profilo pratico, consentirebbe di ridurre sensibilmente i casi di processi dalla durata “infinita”.

Occorre, tuttavia, tener presente che essa porta, in totale contrasto con il precedente orientamento giurisprudenziale, ad applicare in via definitiva una misura fortemente afflittiva, come l'OPG in REMS, ad un soggetto che non è stato in grado di autodifendersi, in quanto totalmente incapace.

Essa appare ancor meno convincente sotto il profilo sistematico.

Invero, seguendo quell'interpretazione, in tutti i casi di vizio totale di mente al momento del fatto, anche quando deve essere applicata la mds, dovrebbe essere pronunciato il non doversi procedere per difetto di imputabilità; conseguentemente la pronuncia di improcedibilità per incapacità irreversibile finirebbe per essere applicata ai soli casi di vizio di mente sopravvenuto.

In questi ultimi casi, però, è davvero difficile immaginare che possa essere applicata una mds, considerato che quest'ultima presuppone il vizio di mente originario.

Al riguardo, invero, occorre ricordare che, solo nel caso di incapacità di intendere e volere al momento del fatto, il processo può concludersi con il proscioglimento del soggetto per difetto di imputabilità con conseguente applicazione della mds. Nel caso di vizio di mente sopravvenuto, invece, essendo l'imputato capace d'intendere e volere al momento del fatto, il processo (superata la patologia che ne ha determinato la sospensione) terminerà con la sentenza di condanna alla pena prevista per il reato commesso dall'imputato.

Seguendo l'interpretazione contenuta nella sentenza Cannata, risulterebbe allora poco giustificabile la “clausola di salvezza” contenuta nell'art. 72 bis (“salvo che ricorrano i presupposti per la l'applicazione di una misura di sicurezza”), che sarebbe riferibile a casi (quelli di vizio di mente sopravvenuto) in cui concretamente è davvero difficile ipotizzare l'applicazione di una mds.

La sentenza è passata quasi “inosservata”, sebbene l'orientamento in essa espresso abbia notevoli risvolti di carattere pratico. Bisognerà, comunque, verificare se tale orientamento si consoliderà oppure la Cassazione tornerà ai principi affermati in materia prima della riforma Orlando (non risultano, allo stato, pronunciamenti specifici successivi alla sentenza Cannata).

Guida all'approfondimento

POTETTI, Nota a Cassazione penale, 9 aprile 2014, n.26589, in Cass. Pen., fasc. 7-8, 2015, 2767 e ss.;

AMATO, Sub artt. 285-286 c.p.p., in Comm. Amodio-Dominioni III, 103;

CHIAVARIO, La riforma del processo penale. Appunti sul nuovo codice, Torino, 117;

GATTA, OPG e REMS: a che punto siamo? Le relazioni del commissario unico per il superamento degli OPG, Franco Corleone, in DPC, 27.12.2016;

GATTA, Chiusura completa degli OPG: finalmente a un passo dalla meta, in DPC, 7.3.2017;

DI NICOLA, La chiusura degli OPG: un'occasione mancata, in DPC, 13.3.2015;

BALBI, Infermità di mente e pericolosità sociale tra OPG e REMS, in DPC, 20.7.2015.

DI NICOLA, Vademecum per tentare di affrontare (e risolvere) il problema dell'assenza di posti nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, in DPC, 13.12.2017;

PANSINI, Percorsi del controllo sulla capacità processuale dell'imputato, in Cass. Pen., fasc.4, 2018, 1389 e ss.;

SCOMPARIN, La nuova causa di improcedibilità per incapacità irreversibile dell'imputato: il traguardo di una soluzione attesa e i residui dubbi sui margini dei poteri proscioglitivi del giudice, in Legislazione pen., 2017, 1 e ss.

SPANGHER, Gli eterni giudicabili, in La riforma Orlando, 2017, 101;

VERGINE, Le novità in tema di incapacità dell'imputato, in Le recenti riforme in materia penale, 2017, 132 e s.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario