Gestore di una pista da slittino: obblighi di valutazione dei rischi e di vigilanza sull'attività del delegato

Giovanni Caspani
21 Gennaio 2020

La materia della sicurezza nella pratica non agonistica degli sport invernali da discesa e da fondo è regolamentata, a livello statale, dalla legge 24 dicembre 2003, n. 363. Si tratta di una disciplina che detta i principi informatori e che rinvia alla normativa regionale gli aspetti di dettaglio. L'art. 22, comma 1, prevede che: “Le regioni... sono tenute ad adeguare la propria normativa alle disposizioni di cui alla legge stessa e a quelle che costituiscono principi fondamentali in tema di sicurezza individuale e collettiva nella pratica dello sci e degli altri sport della neve”.
Abstract

Il gestore di una pista di slittino ha l'obbligo, non delegabile, di valutare tutti i rischi connessi all'esercizio della pista medesima, sicché egli risponde, a titolo di colpa, della morte di un utente della pista, deceduto a causa di un incidente provocato da una situazione di pericolo che non era stato valutato dal gestore medesimo prima della messa in esercizio della pista.

Il delegante rimane titolare di una posizione di garanzia, il cui contenuto precettivo muta per effetto della delega e che si concretizza nel dovere di vigilanza sull'attività del delegato.

Il caso

Il sinistro mortale si è verificato l'1° marzo 2012 lungo il campo da slittino denominato “Croda Rossa” quando il minore R.C. è fuoriuscito dalla pista, priva di protezioni laterali, finendo nella scarpata a destra del rettilineo ed urtando contro un ostacolo. Il ragazzo si trovava insieme ad altri minori ed era accompagnato da un maestro.

Sono stati rinviati a giudizio M.W., amministratore delegato della società Sextner Dolomiten, E.R., dirigente responsabile della sicurezza delle piste ed il maestro di sci, A.T.

I tre imputati sono stati condannati da entrambi i giudici del merito e la Cassazione, con un primo pronunciamento (sentenza 30927/2018), ha rigettato i ricorsi del dirigente e del maestro di sci, ma ha annullato con rinvio la condanna dell'amministratore.

La Suprema Corte ha imposto alla Corte d'Appello di “meglio approfondirsi il contenuto dell'atto di conferimento dell'incarico, anche avuto riguardo allo spazio di discrezionalità comunque proprio della funzione dirigenziale attribuita”. Si è censurata la mancata analisi del contenuto delle attribuzioni conferite al dirigente ed in particolare se le omissioni, contestate e riconosciute, afferissero i compiti attribuitigli.

La Corte d'Appello di Trento ha confermato la condanna di M.W. ritendo sì la validità della delega conferita al dirigente, ma individuando un duplice e concorrente profilo di colpa, ritenuto tale anche dalla Cassazione, che ha quindi rigettato il ricorso.

La normativa

La materia della sicurezza nella pratica non agonistica degli sport invernali da discesa e da fondo è regolamentata, a livello statale, dalla legge 24 dicembre 2003, n. 363. Si tratta di una disciplina che detta i principi informatori e che rinvia alla normativa regionale gli aspetti di dettaglio. L'art. 22, comma 1, prevede espressamente che: “Le regioni... sono tenute ad adeguare la propria normativa alle disposizioni di cui alla legge stessa e a quelle che costituiscono principi fondamentali in tema di sicurezza individuale e collettiva nella pratica dello sci e degli altri sport della neve”. Richiami alle leggi regionali sono sparsi anche nei vari articoli, tra i quali l'art. 3, comma 1, che recita: “I gestori delle aree individuate ai sensi dell'art. 2 assicurano agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza, provvedendo alla messa in sicurezza delle piste secondo quanto stabilito dalle regioni”.

A mero titolo esemplificativo si ricordano la legge n. 14/2010 emanata dalla Provincia di Bolzano e la legge n. 2/2009 promulgata dalla Regione Piemonte. L'art. 16 di quest'ultima individua la figura del gestore della pista che, prevede: “È assunta dal titolare della gestione dell'impianto di risalita funzionalmente collegato alla pista medesima”. Nella legge nazionale è infatti assente la definizione di gestore.

La sentenza. L'obbligo di valutazione del rischio

La sentenza della Suprema Corte ha censurato la condotta dell'imputato, quale gestore, per aver omesso la valutazione dei rischi conseguenti all'utilizzo di una pista ad alta difficoltà. Si legge testualmente che vi è stata "sottovalutazione del rischio insito nell'intrinseca pericolosità della pista”. Ed ancora “il gestore ha l'obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti sulla pista da slittino, avuto riguardo ai luoghi in cui essa è ubicata e alla casistica concretamente verificabile in relazione all'utilizzo della pista medesima e deve adottare le misure precauzionali ed i dispositivi di protezione per tutelare la salute e la sicurezza degli utenti”.

A fondamento di tale obbligo la Corte ha indicato il secondo periodo dell'art. 3, comma 1, che impone “l'obbligo di proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste mediante l'utilizzo di adeguate protezioni degli stessi e segnalazioni delle situazioni di pericolo”. Tale richiamo non convince in quanto trattasi di norma dal contenuto ben preciso e delimitato e, dalla ricostruzione del fatto desumibile dalla lettura della motivazione, pare che l'ostacolo fosse esterno alla pista e che la censura abbia riguardato piuttosto l'assenza di protezioni laterali. Al contrario è l'obbligo generale di garantire la pratica degli sport invernali in sicurezza, previsto dal già richiamato art. 3, comma 1, primo periodo, che presuppone, necessariamente, la valutazione dei rischi derivanti dall'utilizzo delle piste.

La Cassazione precisa che non si tratta di un principio generale la cui applicabilità richieda il “passaggio” di norme di dettaglio, di fonte regionale, bensì di “una regola cautelare immediatamente precettiva” sebbene “di natura elastica”. I suoi contenuti sono infatti “individuati sulla base di un'accorta disamina delle condizioni specifiche il cui l'agente si trova ad operare”. Ciò non significa che il gestore delle piste diventi artefice delle regole cautelari in quanto, seppur è vero che la legge nazionale contiene poche regole di condotta (oltre all'art. 3 si ricordano l'obbligo di segnaletica di cui all'art. 7, comma 1, e l'obbligo di rimozione dei pericolo atipici o, in alternativa, di chiusura degli impianti di cui all'art. 7, commi 2 e 4), le leggi regionali alle quali rinvia presentano un contenuto precettivo ben più specifico e dettagliato. Ad esempio l'art. 18 della legge regionale del Piemonte individua un lungo elenco di obblighi del gestore, a cui si aggiungono gli obblighi del direttore delle piste imposti dall'art. 19 e quelli inerenti la manutenzione (art. 21), la delimitazione (art. 22) e la segnalazione (art. 24).

Con il richiamo alla preventiva valutazione dei rischi, si opera il medesimo ragionamento che informa il d.lgs. 81/2008 (e, ancora prima, il d.lgs. 626/94) e cioè che un sistema efficiente di sicurezza pone alla propria base la valutazione degli stessi e, successivamente, l'adozione delle misure preventive e protettive finalizzate ad eliderli o ridurli al massimo.

Nel prosieguo della motivazione tale aspetto viene esplicitato in quanto si richiama l'art. 17 comma 1 lettera a) d.lgs. 81/2008, ritenuto non direttamente applicabile all'ambito delle piste per gli sport invernali, ma “estendibile per identità di ratio stante l'intrinseca pericolosità della messa in esercizio di una pista da slittino”.

Chi scrive rileva che la sussistenza dell'obbligo di valutazione del rischio, derivante dalla gestione delle piste, si ricava anche dalla qualificazione di queste ultime quali luoghi di lavoro. È indubbio che lungo le piste svolge attività lavorativa una congerie di soggetti che provvede alla loro quotidiana manutenzione e a garantire che siano fruibili in sicurezza (come già ampiamente specificato). Ora, a prescindere dalla natura formale del rapporto esistente tra gli stessi ed il gestore, nessun dubbio che i primi siano esposti a rischi in parte identici a quelli degli utenti, in parte ben più marcati e specifici. Quindi, a prescindere dal portato precettivo della l. 243/2003 e delle leggi regionali, l'obbligo di valutazione dei rischi per chi riveste la duplice qualifica di gestore/datore di lavoro, discende direttamente dall'art. 17 d.lgs. 81/2008.

Ora, va considerato che è ormai jus receptum che le norme previste da tale decreto e, più in generale, da quelle che costituiscono il sistema della prevenzione degli infortuni, siano poste a tutela non solo dei lavoratori, ma di chiunque entri in contatto con il contesto lavorativo in cui si applicano.

Il soggetto beneficiario delle tutela è anche il terzo estraneo all'organizzazione dei lavori, sicché dell'infortunio che sia occorso all'extraneus risponde il garante della sicurezza (Cass. Sez IV, n. 38200/2016; n. 43168/2014; n. 37840/2009; n. 10842/2008).

Si discute circa i limiti del contenuto di tale posizione di garanzia rispetto alle condotte di terzi che si trovino a subire un infortunio dopo che essersi inseriti illegittimamente nell'ambito lavorativo.

L'orientamento della giurisprudenza più recente richiede che l'evento lesivo rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata e che il terzo non abbia posto in essere una volontaria esposizione al rischio. Quest'ultima escluderebbe la responsabilità del gestore del rischio perché eccentrica rispetto all'area rispetto alla quale è tenuto ad esercitare il proprio governo (Cass. Sez. IV, n. 49821/2012). L'attenzione si concentra sulla natura della regola prevenzionistica, per delimitarne l'esatto e concreto contenuto.

A medesimi risultati pervenivano le decisioni più risalenti che si sono mosse nell'alveo della giurisprudenza tradizionale formatasi in ordine ai comportamenti interruttivi del nesso causale tra condotta colposa del datore di lavoro (o, più in generale, del titolare di posizione di garanzia) ed evento. Tale efficacia veniva riconosciuta ai fattori sopravvenuti eccezionali, atipici, anomali, abnormi (Cass Sez. IV n. 44206/2001; n. 11360/2005).

Ma tali considerazioni sono estranee al caso del ragazzo morto a seguito dell'urto con un oggetto dopo essere uscito dalla pista. Il deceduto infatti era una un regolare utente della pista, un cliente della società che la gestisce. Nessun dubbio che fosse quindi un extraneus la cui tutela tutela rientrasse nell'ambito dell'area di rischio che doveva essere governata dal gestore/datore di lavoro. O, utilizzando una terminologia più tradizionale, nell'ambito della posizione di garanzia, quale posizione di controllo della fonte di pericolo, ricoperta da quest'ultimo.

Pare utile richiamare la sentenza 31521/2016 della quarta sezione che, affrontando il caso di un cliente di un supermercato caduto su un tratto di pavimento non bagnato, privo di adeguate segnalazioni, ha condannato per la violazione dell'art. 590, comma 3, c.p. il direttore dell'esercizio, ribandendo i principi sopra richiamati in tema di tutela dell'extraneus.

Dall'applicabilità della norma prevenzionistica discende la configurabilità delle aggravanti di cui al secondo comma dell'art. 589 e terzo comma dell'art. 590 c.p., con quanto ne consegue in termini di competenza del tribunale e non del giudice di pace (aspetto limitato alle lesioni personali); di procedibilità d'ufficio in caso di lesioni gravi; di termini prescrizionali (per la violazione dell'art. 589 c.p.) e di pene.

Riconducendo il tema affrontato alla specifica violazione dell'obbligo di valutazione dei rischi o, in caso di corretta e completa valutazione, all'omessa previsione delle misure preventive che ne discendono e/o alla loro mancata attuazione, in capo al gestore sarà contestabile tanto la violazione dell'art 3 l. 363/2003, quanto quella degli artt. 17 comma 1 lettera a) e 28, comma 2 lettere a) e b) del d.lgs. n. 81/2008.

Si tratta di contestazione propria del gestore/datore di lavoro, in quanto l'obbligo di valutazione dei rischi non è delegabile.

(Segue). L'obbligo di vigilanza sull'attivita del delegato

Anche i temi della delegabilità degli obblighi e del permanere di una residua posizione di garanzia in capo al delegante sono affrontati nelle sentenza in commento.

Il secondo profilo colposo riconosciuto in capo all'amministratore della società riguarda infatti “l'assenza di un intervento sostitutivo da parte del gestore in caso di colpevole inerzia del delegato”. La Corte territoriale aveva ritenuto valida la delega conferita da M.W. al dirigente nella materia della sicurezza ed aveva individuato, in capo al primo, condotte colpose inerenti la residua area di gestione del rischio (alias, posizione di garanzia) che restava in capo al delegante. Area che, è stato ben chiarito, è delimitata dal contenuto della delega, ma che impone il dovere di vigilanza sull'attività del delegato.

Sul punto preme riportare il seguente passaggio della motivazione: “Perché tale dovere di vigilanza possa essere concretamente ed efficacemente attuato è indispensabile che il delegante sia informato dei principali eventi lesivi che si verifichino sulla pista e delle conseguenti azioni di contrasto intraprese dal delegato. Il delegante, perciò, all'atto di conferimento della delega deve perciò predisporre adeguati processi che garantiscano un flusso informativo, in modo da acquisire le notizie più rilevanti in tema di sicurezza delle piste al fine di verificare il puntuale adempimento dei doveri a cui il delegato è preposto e, in caso di inerzia di costui, provvede in sua vece”.

Nel caso di specie, pochi giorni prima rispetto all'evento mortale si era già verificato, con modalità analoghe, un infortunio. Tale evento “avrebbe dovuto comportare l'immediata reazione da parte del delegato”. Quanto al delegante “avrebbe dovuto informarsi in ordine alle iniziative assunte per eliminare i rischi all'origine di quel sinistro”, esercitando la c.d. vigilanza alta, da attuare mediante riunioni od altri canali informativi. A sua volta quest'ultima costituisce il necessario presupposto del conseguente potere/dovere sostitutivo in caso di inerzia del delegato o di inadeguatezza della risposta fornita da questi alla situazione di rischio.

Con la presente decisione la Cassazione ha ribadito i principi di diritto espressi nel tempo con riguardo agli obblighi residui del delegante, prendendo come riferimento il d.lgs. 81/2008. La sentenza 30927/2018, che aveva dato luogo al rinvio alla Corte d'Appello di Trento per la posizione dell'amministratore delegato, ha esplicitamente chiarito come tale normativa, con l'art. 16, individui il “modello idoneo di traslazione delle responsabilità e di conferimento dei relativi poteri, da parte dell'imprenditore al delegato”. Un'estensione che riguarda quindi la gestione delle varie aree di rischio per la sicurezza il cui governo è demandato ai poteri/doveri dell'imprenditore, a prescindere dal coinvolgimento dell'incolumità dei lavoratori. Nel caso di specie veniva in considerazione la sicurezza degli utenti le piste da sci.

Si conferma quindi la tendenza della giurisprudenza nel mutuare il modello prevenzionistico disciplinato dal d.lgs. 81/2008 come archetipo di ogni sistema complesso che coinvolga la sicurezza delle persone.

Rispetto all'obbligo di vigilanza del delegato, espressamente previsto dall'art. 16, comma 3, d.lgs. 81/2008, lo stesso non ha ad oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni, concernendo la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte dello stesso, con la conseguenza che non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni (Cass. Sez. IV n. 25977/2019; n. 44141/2019).

Allo stesso tempo il suo esercizio, affinché sia effettivo, richiede la predisposizione di procedure che assicurino la conoscenza delle attività compiute e delle modalità esecutive seguite dal delegato (Cass. Sez. IV n. 14915/2019). In altre parole “necessita di un'attività di coordinamento e di alta organizzazione e controllo che deve restare radicato nel vertice come contenuto di un dovere non delegabile, essendo il riflesso della qualità di imprenditore” (Cass. Sez. IV n. 39266/2011).

Viene in considerazione il sistema di verifica e controllo previsto dall'art. 30, comma 4, d.lgs. 81/2008 che disciplina il modello di organizzazione e gestione, idoneo ad avere efficacia esimente dalle responsabilità amministrativa dell'ente. Infatti l'adozione ed efficace attuazione del c.d. modello 231, comporta, ex art. 16, comma 3, la presunzione semplice di adempimento dell'obbligo di vigilanza.

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