Autodifesa: esiste la possibilità per l'avvocato-imputato e per l'imputato nel processo penale di difendersi da soli?

Lucia Randazzo
22 Gennaio 2020

L'avvocato-imputato e l'imputato nel processo penale hanno facoltà di difendersi da soli? Con recente sentenza la Cassazione risponde a tale quesito ribadendo che l'avvocato imputato nel processo penale non possa difendersi da solo: “Nel processo penale non è consentito all'imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l'autodifesa, difettando un'espressa previsione di legge che la legittimi con la precisazione che la preclusione dell'autodifesa esclusiva nel processo penale opera nel senso della incompatibilità dell'imputato-avvocato a proporre impugnativa e nel giudizio in cassazione lascia altresì esclusa, ove il ricorrente è un avvocato cassazionista, lo svolgimento alle attività difensive d'udienza”...

L'avvocato-imputato e l'imputato nel processo penale hanno facoltà di difendersi da soli?

Con recente sentenza la Cassazione risponde a tale quesito ribadendo che l'avvocato imputato nel processo penale non possa difendersi da solo: “Nel processo penale non è consentito all'imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l'autodifesa, difettando un'espressa previsione di legge che la legittimi con la precisazione che la preclusione dell'autodifesa esclusiva nel processo penale opera nel senso della incompatibilità dell'imputato-avvocato a proporre impugnativa e nel giudizio in cassazione lascia altresì esclusa, ove il ricorrente è un avvocato cassazionista, lo svolgimento alle attività difensive d'udienza” (Cass. pen. Sez. VI, 3 ottobre 2019, n.44618)

Con la suddetta sentenza la Corte di legittimità riteneva inammissibile il ricorso dell'imputato in quanto proposto da soggetto non legittimato. Il ricorso, infatti, era stato firmato personalmente dall'imputato: “L'art. 613 c.p.p., è stato modificato, con riguardo alla possibilità che l'atto di ricorso potesse essere sottoscritto personalmente dall'imputato per effetto della L. n. 103 del 2017, applicabile ai ricorsi proposti successivamente alla data di entrata in vigore (3 agosto 2017). Le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 8914 del 21 dicembre 2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010) hanno precisato che il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento, compresi quelli in materia cautelare, non può essere proposto dalla parte ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione: le modalità di proposizione del ricorso, infatti, attenendo al concreto esercizio del diritto di impugnazione, spettante alla parte personalmente, vanno tenute distinte dal concreto esercizio del potere di impugnazione per il quale si richiede la necessaria rappresentanza tecnica del difensore”. Sebbene il ricorrente-imputato rivestisse la qualità di avvocato cassazionista la Corte riteneva che non potesse applicarsi alcuna deroga al principio enunciato dalle Sezioni Unite richiamando altresì altre decisioni in tal senso (Cass. pen., Sez. VI, 30 gennaio 2008, n. 25790, P.O. in proc. Poddighe, Rv. 241238).

L'avvocato-imputato non ha, infatti, il necessario distacco – nonostante la preparazione tecnica- per garantire “effettività della difesa e contrasto all'accusa alla luce della rilevanza costituzionale riconosciuta all'attività di difesa dei diritti quale componente non rinunciabile dello Stato di diritto (art. 24 Cost.)”.

Non può applicarsi per analogia la norma di cui all'art. 86 c.p.c. rubricato difesa personale della parte che prevede espressamente che: “La parte o la persona che la rappresenta o assiste, quando ha la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore”. Nel caso del processo penale oltre alla differente natura degli interessi sottesi allo stesso quali la libertà personale manca una norma di carattere generale che sancisca l'autodifesa. La Corte nelle motivazioni della sentenza in commento precisa che alla difesa personale e all'autodifesa è collegata la partecipazione dell'imputato nel processo mediante l'esercizio dei poteri processuali necessari ad influire sul convincimento del giudice, sia nel caso in cui siano riservati esclusivamente all'imputato sia nel caso in cui siano approvati nel loro esercizio con il difensore ai sensi degli articoli 99 c.p.p., comma 1, prima e seconda parte, e dell'articolo 111, comma 3, Cost.

Non è consentito nemmeno all'avvocato coimputato nel medesimo procedimento difendere gli altri imputati.

La Corte con precedente sentenza aveva precisato, inoltre, che non era consentito all'avvocato coimputato esercitare la difesa nei confronti degli altri imputati nello stesso procedimento: “Nel processo penale non è consentito all'imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l'autodifesa, difettando un'espressa previsione di legge che la legittimi. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'imputato-avvocato non può neppure esercitare il proprio ufficio rispetto alle persone coimputate nel medesimo procedimento)” Cassazione penale , Sez. VI , 19 settembre 2018 , n. 46021.

Considerazioni a 42 anni dall'assassinio di Fulvio Croce

Proprio in relazione alla mancanza della possibilità nel processo penale di difendersi da soli è significativo il tragico episodio, sebbene avvenuto alla vigenza del vecchio codice di procedura penale del 1930 “Codice Rocco”, dell'assassinio dell'Avv. Fulvio Croce all'epoca Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Torino. Durante il processo nel 1976 ad alcuni membri delle Brigate Rosse, tra cui Renato Curcio, Alberto Franceschini, Paolo Maurizio Ferrari e Prospero Gallinari, gli imputati revocarono il mandato ai difensori di fiducia minacciando di morte gli avvocati che avessero accettato la nomina quali difensori d'ufficio. In seguito alla revoca del mandato il Presidente della Corte d'Assise Guido Barbaro richiese al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Torino di indicare un elenco di difensori d'ufficio al fine di procedere alle nomine.

Gli imputati, però, dissero che non intendevano accettare la nomina di difensori d'ufficio e minacciarono ulteriormente che "qualora i difensori accettassero la nomina saranno ritenuti come collaborazionisti del regime, con le conseguenze che ne potranno derivare". Nella seconda udienza del 24 maggio 1976 i difensori d'ufficio rinunciarono all'incarico. Il processo si bloccò proprio perché non si poteva procedere nei confronti degli imputati senza garantire la difesa. Il Presidente della Corte Barbaro nominò, come previsto dal codice vigente all'epoca (R.D. 19 ottobre 1930, n. 1399) dei fatti in particolare all'art. 130, il Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Torino l'Avvocato Fulvio Croce. In base a tale citato articolo, infatti, qualora non fosse possibile reperire un difensore d'ufficio il Presidente degli Ordine degli Avvocati doveva assumere l'incarico difensivo.

Il civilista Fulvio Croce, nella consapevolezza del pericolo a cui andava incontro, accettò l'incarico difensivo nominando tra i Consiglieri dell'Ordine gli altri difensori. Alla successiva udienza del 25 maggio 1976 gli imputati attraverso un altro proclama continuarono a minacciare sia Fulvio Croce che gli altri avvocati nominati: "Gli avvocati nominati dalla corte sono di fatto degli avvocati di regime. Essi non difendono noi, ma i giudici. In quanto parte organica ed attiva della contro-rivoluzione, ogni volta che prenderanno iniziative a nostro nome agiremo di conseguenza". Sia all'udienza del 25 maggio 1976 che alla quarta udienza del 26 maggio 1976 gli avvocati subirono insulti e minacce ogni qual volta presero la parola.

All'udienza del 7 giugno 1976 l'avvocato Franzo Grande Stevens, d'accordo con l'avvocato Fulvio Croce, sollevò una eccezione di incostituzionalità dell'art. 130 del codice di procedura penale (Rocco), la norma che imponeva la obbligatorietà della difesa tecnica anche per l'imputato che la rifiutasse. Con tale eccezione venne invocata la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che conferisce il diritto all'imputato di scegliersi un difensore o difendersi da solo (art. 6, comma 3 lett. c). L'avv. Grande Stevens sostenne che la difesa è un diritto ma non un obbligo e che l'avvocato secondo la citata Convenzione europea poteva intervenire come amicus curie, cioè come garante della legalità. Il giorno successivo in data 8/6/1976 venne assassinato a Genova il magistrato Francesco Coco insieme alla sua scorta e l'agguato fu rivendicato dalla Brigate Rosse al processo di Torino. La Corte d'Assise ritenne manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità e così Fulvio Croce assunse la veste di difensore d'ufficio dei Brigatisti.

Il 28 aprile 1977 un gruppo formato da tre uomini e una donna uccise l'avv. Croce a colpi di pistola nei pressi del suo studio legale. Nel pomeriggio le Brigate Rosse rivendicarono l'omicidio.

L'avvocato Croce è morto per garantire il diritto di difesa.

Guida all'approfondimento

La sentenza in commento del 3 ottobre 2019, n. 44618 della sesta sezione della Corte di Cassazione si occupa anche della compatibilità con la Convezione EDU “All'indicato principio si accompagna quello, fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte (così: Sez. I, n. 7786 del 29 gennaio 2008, Stara, Rv. 239237), per il quale non vi è contrasto tra il sistema della difesa quale imprescindibile garanzia del regolare esercizio del potere giurisdizionale-giudiziario penale adottato dall'ordinamento italiano e la Convenzione e.d.u. (art. 6, art. p. 3, lett. c) nella puntualizzazione che quest'ultimo, là dove stabilisce che ogni imputato ha diritto di difendersi da sé medesimo o mediante l'assistenza di un difensore, non ponga all'imputato l'alternativa di scegliere tra autodifesa o difesa tecnica, volendo piuttosto assicurare al primo un sistema minimo di garanzie diretto a salvaguardare il diritto all'autodifesa in quegli ordinamenti degli Stati aderenti in cui potrebbe non esservi il diritto alla difesa tecnica. E' così che il sistema penale dell'ordinamento italiano, in cui si assiste ad un concorso dell'attività difensiva dell'imputato con quella del professionista, difensore tecnico, non urta con il principio convenzionale non traducendosi in una compressione o esclusione della difesa personale, ma nella integrazione di essa con l'attività defensionale tecnica, in tal modo assicurando all'imputato una più incisiva tutela delle sue posizioni, nell'osservanza del principio di effettività sancito dalla Convenzione”.

Si veda anche la seguente sentenza emessa prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale:

È manifestamente infondata - in relazione all'art. 24, secondo comma della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale degli artt. 125 e 128 del codice di procedura penale, che prevedono a pena di nullità, nella fase dibattimentale, la presenza del difensore, sotto il profilo che le predette norme negherebbero all'imputato il diritto di rifiutare la difesa tecnica e di difendersi personalmente” Cassazione penale, Sez. I, 29 marzo 1979, n. 6714.

Per la incompatibilità in materia penale dell'autodifesa da parte dell'imputato si vedano anche: Cass. pen. Sez. VI, 19 settembre 2018, n. 46021, Antonucci Fausto, Rv. 274281; Cass. pen., Sez. VI, 16 ottobre 2018, n. 10893, dep. 2019, n. m. e Cass. pen., Sez. II, 16 marzo 2018, n.35651: “L'autodifesa nel processo penale non è consentita, poiché l'obbligo della difesa tecnica esclude che le parti possano essere difesa da se stesse, anche se abilitate all'esercizio della professione forense”.

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