Il mutamento di natura e funzione dell'assegno divorzile non costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai fini della sua revisione

Katia Mascia
24 Gennaio 2020

Il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell'assegno divorzile, da rendersi alla luce dei rinnovati principi giurisprudenziali. Pur considerando l'ampiezza della formula adottata dal legislatore, consentire l'accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei “giustificati motivi” un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possono far sorgere l'interesse ad agire per il mutamento, tra i quali anche una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, non pare opzione esegetica percorribile, in quanto non considera che l'interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa, né nel mondo fenomenico, né quale fonte normativa.

Il caso. Nel 2014 il Tribunale di Roma rigettava l'istanza con la quale un uomo, ai sensi dell'art. 9 l. n. 898/70, chiedeva di essere assolto dall'obbligo di versare all'ex moglie l'assegno divorzile e di vedersi ridotto l'assegno corrisposto per il mantenimento della figlia, con la corresponsione del versamento diretto in favore della stessa. Avverso il decreto del giudice di prime cure veniva presentato reclamo dinanzi alla Corte di Appello capitolina, la quale nel 2016 lo rigettava. L'obbligato proponeva, quindi, ricorso per Cassazione avverso il decreto della Corte territoriale sulla base di nove motivi. La donna resisteva in giudizio con controricorso. Con ordinanza interlocutoria del gennaio 2019 la Suprema Corte disponeva la trattazione della causa in pubblica udienza, trattandosi di questione di rilievo nomofilattico.

Motivi di impugnazione. Il ricorrente, con i nove motivi di impugnazione, lamenta sostanzialmente che la Corte d'Appello, con la propria decisione, non abbia tenuto conto di una serie di fatti e più precisamente: che la controricorrente, in seguito ad una acquisizione ereditaria, ha migliorato in modo significativo la propria posizione economica; che anche il reddito da lavoro della stessa è quasi raddoppiato rispetto a quello considerato in seno alla pronuncia di divorzio, avvenuta nel 2012; che non si è proceduto ad un raffronto dei redditi, il cui esame avrebbe evidenziato un forte squilibrio, sopravvenuto, nelle condizioni delle parti; che le condizioni di salute del ricorrente sono peggiorate in seguito ad una malattia; che lo stesso ha contratto nuovo matrimonio e fornisce anche un sostegno economico alla madre anziana.

Osservazioni della Corte di Cassazione. I Supremi Giudici della legittimità, nel pronunciarsi, fanno una doverosa premessa. Affermano che, a partire da una sentenza risalente al 1990, emessa dalla Corte a Sezioni Unite, è stato riconosciuto carattere esclusivamente assistenziale all'assegno divorzile, il cui presupposto è stato individuato nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Una volta accertata l'esistenza di tale presupposto, la liquidazione in concreto dell'assegno deve effettuarsi in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. L'orientamento viene modificato, a distanza di quasi trent'anni, a seguito di un'altra sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (n. 11504/17), con la quale sostanzialmente si afferma che il parametro dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato alla luce del principio dell'autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai persona singola, e all'esito dell'accertamento della condizione di non autosufficienza economica. Le Sezioni Unite, intervenute nuovamente sulla materia con una pronuncia del 2018 (sentenza n. 18287), hanno affermato che all'assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa. Ai fini del riconoscimento dell'assegno si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età dell'avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l'unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo. Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell'unione matrimoniale.
Fatte queste doverose premesse, la questione che si poneva nel caso de quo, di revisione dell'assegno divorzile già riconosciuto, era se il mutamento di natura e funzione dell'assegno divorzile, costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell'art. 9 l. n. 898 oppure se sia comunque necessario il previo accertamento dei giustificati motivi sopravvenuti. Il Collegio ritiene corretta quest'ultima opzione e si richiama alla consolidata giurisprudenza di legittimità a mente della quale, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, e in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata.

I motivi di ricorso per la Suprema Corte sono inammissibili. Le censure non considerano che i fatti dedotti in esse sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte d'Appello, la quale ha ritenuto che le circostanze allegate non erano da reputarsi sopravvenute e non assumevano carattere significativo. In altre parole non erano decisive.
I giudici della Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, dichiarano inammissibile il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese. Trattandosi di procedimento esente, ritengono, altresì, non dovuto il raddoppio del contributo unificato.

fonte: dirittoegiustizia.it

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