Inadeguatezza del padre all’assunzione del ruolo genitoriale: opportuno l'affido esclusivo alla madre

Marta Rovacchi
30 Gennaio 2020

Le circostanze emerse nel corso del giudizio fanno desumere una condizione di manifesta carenza e inadeguatezza del padre all'assunzione del ruolo genitoriale, pertanto è opportuno, nell'esclusivo interesse del minore, un'ulteriore limitazione della responsabilità genitoriale.
Massima

Le circostanze emerse nel corso del giudizio, l'assenza del convenuto nel procedimento fanno desumere una condizione di manifesta carenza e inadeguatezza del padre all'assunzione di un maturo e consapevole ruolo genitoriale tale da fare ritenere necessaria ed opportuna, nell'interesse esclusivo della minore, l'ulteriore limitazione della responsabilità genitoriale mediante l'attribuzione alla madre del potere di assumere in via autonoma anche le decisioni di maggiore interesse per la figlia.

Il caso

In questo giudizio di cessazione degli effetti civili di matrimonio, la ricorrente chiedeva che il Tribunale di Bergamo si pronunciasse a favore dell'affidamento esclusivo dei figli alla madre, oltre alla statuizione di un contributo a titolo di mantenimento dei figli di € 300,00 mensili per ciascuno di loro, nonché l'ulteriore somma di € 500,00 a titolo di assegno divorzile.

La prima udienza si svolgeva nell'ottobre 2014: poiché avanti il Presidente compariva la sola ricorrente, venivano disposti numerosi rinvii volti ad acquisire la prova della notifica del ricorso al marito, residente in Germania. Soltanto nel luglio 2017 il Presidente adottava i provvedimenti provvisori e urgenti disponendo l'affidamento esclusivo dei figli alla madre ed un assegno di mensile di € 150,00 a titolo di mantenimento della moglie ed uno di € 250,00 ciascun figlio oltre il 50% delle spese straordinarie a carico del convenuto, contumace pur regolarmente citato in giudizio.

Accertata la sussistenza della giurisdizione italiana in relazione alla domanda di divorzio e anche in relazione alle richieste in ordine alla responsabilità genitoriale (riguardanti la sola figlia minore perché nel frattempo il figlio maschio aveva raggiunto la maggiore età) e alle conseguenti istanze di mantenimento, il collegio rileva anche la applicabilità della legislazione italiana a tutte le domande avanzate con il ricorso.

Con ampia motivazione, entrando nel merito, il Tribunale di Bergamo nel dichiarare la cessazione degli effetti civili di matrimonio, affidava dunque la figlia minore in via esclusiva alla madre con collocamento presso l'abitazione della stessa, limitando la responsabilità genitoriale del padre alle decisioni di maggior interesse relative a istruzione, educazione, salute e residenza abituale della minore.

Disponeva altresì che la madre potesse assumere in via autonoma tutte le decisioni di maggior interesse per la minore relative alla istruzione, alla educazione, alla salute, alla scelta della residenza abituale della figlia.

Gli incontri tra il padre e la figlia minore sarebbero dovuti avvenire previo accordo con la madre pur sempre nel rispetto della volontà e dei bisogni della figlia.

La sentenza poneva, poi, a carico del convenuto l'obbligo di corrispondere a favore della ricorrente la somma complessiva di € 500,00 (€ 250,00 per ciascun figlio) a titolo di contributo al mantenimento indiretto dei figli (di cui una minorenne ed uno maggiorenne non economicamente autosufficiente, oltre alla partecipazione nella misura del 50% alle spese straordinarie necessarie per la prole, che il provvedimento elencava e dettagliava.

Veniva rigettata, infine, la domanda di assegno di assegno divorzile avanzata dalla moglie.

La questione

Le questioni più rilevanti esaminate dalla sentenza in esame sono, sostanzialmente tre: a) la competenza giurisdizionale nel caso di divorzio tra cittadini italiani, di cui uno residente all'estero; la competenza giurisdizionale sulle questioni relative alle domande in ordine alla responsabilità genitoriale ed al mantenimento dei figli e del coniuge; la legge applicabile nella fattispecie de qua; b) l'esame della sussistenza dei presupposti per l'affidamento esclusivo; c) la valutazione del diritto, o meno, in capo alla ricorrente di percepire un assegno divorzile.

Le soluzioni giuridiche

-Riguardo la giurisdizione e la legge applicabile: il collegio bergamasco, di fronte alla domanda di divorzio avanzata nei confronti di una persona residente all'estero, si è posto, preliminarmente, il problema di accertare la propria competenza.

Facile accertamento, nel caso di specie, in quanto trattasi di parti entrambe cittadini italiani e che, durante il corso della vita matrimoniale, avevano fissato la loro residenza abituale nel territorio nazionale, dove, peraltro, risiedeva la ricorrente al tempo della domanda.

Ne consegue che ai sensi e per gli effetti dell'art. 3 Reg. CE n. 2201/2003 la domanda di divorzio avanzata dalla ricorrente è soggetta alla giurisdizione italiana.

Quanto alla questione riguardante la responsabilità genitoriale nei confronti della figlia minore, il riferimento normativo è l'art 8 Reg. CE n. 2201/2003 che recita «Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi». Poichè si è accertato che la figlia viveva stabilmente in Italia con la madre, anche su questo punto sussiste la giurisdizione italiana.

Stessa competenza è da attribuirsi anche in relazione alle domande di mantenimento aventi contenuto economico ai sensi dell'art lettere c) e d) del Reg. CE n. 4/2009: sia la richiesta di assegno divorzile sia quella di contributo al mantenimento dei figli, infatti, sono da considerarsi domande accessorie all'azione relativa allo stato delle persone con la conseguenza che è il giudice italiano quello competente a deciderle.

Quanto alla legge applicabile, le fonti normative che hanno indotto il Tribunale di Bergamo a ritenere la legge italiana applicabile a tutte le domande contenute nel ricorso per divorzio, sono le seguenti: l'art 8 lettera C) Reg. UE n. 1259/2010 stabilisce che alla domanda di divorzio si applica la legge dello stato di cui entrambi i coniugi sono cittadini. E nella fattispecie in esame le parti sono cittadini italiani.

L'art 17 Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996, ratificata con l. n. 101/2015, stabilisce che all'esercizio della responsabilità genitoriale si applica la legge dello stato di residenza abituale del minore che, in questo caso, è l'Italia.

Infine, il combinato disposto degli artt. 15 Reg. CE n. 4/2009 e 3 del protocollo dell'Aja del 23 novembre 2017, disponendo l'applicazione della legge dello stato di residenza del creditore alle obbligazioni alimentari, sancisce di fatto l'applicabilità della legge italiana, in questo caso, anche per le relative domande di mantenimento avanzate dalla ricorrente.

- Riguardo l'affidamento esclusivo: l'istruttoria ha evidenziato la totale assenza del padre dalla vita della figlia, con la quale, da anni, non intratteneva alcun rapporto nemmeno telefonico. La circostanza, poi, che il convenuto, contumace, non abbia adempiuto all'obbligo di mantenimento della prole statuito nella sentenza di separazione, ha indotto il collegio bergamasco, oltre a ritenere sussistenti i presupposti per l'affidamento esclusivo, a limitare ulteriormente la responsabilità genitoriale del padre attribuendo alla madre il potere di assumere in via autonoma anche le decisioni di maggior interesse per la figlia relative alla istruzione, alla educazione, alla salute, alla scelta della residenza abituale e a tutte le pratiche amministrative che riguardassero la minore, ai sensi e per gli effetti dell'art 337-quater, comma terzo.

A causa della manifesta carenza ed inadeguatezza del padre a svolgere il ruolo genitoriale e, al contempo, grazie alla favorevole valutazione di piena idoneità genitoriale della madre, la sentenza in esame ha stabilito che il genitore non affidatario potesse vedere e incontrare la figlia solamente previo accordo con la madre e sempre nel rispetto della volontà e degli impegni della minore.

Quanto al contributo di natura economica in capo al padre a favore dei figli, alla luce della espletata istruttoria, pur ammettendo la mancanza di dati certi in ordine alla situazione reddituale del convenuto, il Tribunale riteneva equo e congruo confermare la somma stabilita in sede di separazione, ovvero mensili € 250,00 a favore del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente ed € 250,00 a favore della figlia minorenne, oltre alla partecipazione nella misura della metà alle spese straordinarie come dettagliate ed elencate nel protocollo vigente presso il Tribunale di Bergamo.

-Riguardo la domanda di assegno divorzile: l'istruttoria ha fatto emergere che la ricorrente per oltre 9 anni aveva convissuto con un compagno fino all'anno 2018 allorché il convivente veniva posto in stato di detenzione.

Tale circostanza, rilevata dalla difesa della moglie solo in sede di comparsa conclusionale, veniva addotta per giustificare l'esigenza della signora, priva di attività lavorativa, di ottenere un assegno divorzile a causa della mancanza della possibilità del compagno di essere per lei di aiuto economico.

Applicando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la scelta libera e consapevole di una persona di intraprendere una stabile e duratura convivenza more uxorio esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l'altro coniuge, il Tribunale di Bergamo ritiene venuto definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile a favore della moglie.

Vengono, tuttavia, fatti salvi per il pregresso gli effetti dell'assegno di € 150,00 mensili previsti e sanciti in sede di provvedimenti presidenziali provvisori.

Osservazioni

I riferimenti della sentenza in esame ai Regolamenti CE n. 2201/2003 e n. 4/2009, al Protocollo Aja del 23 novembre 2007 ed alla Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996, per chiarire la sussistenza della giurisdizionale italiana e l'applicabilità al caso di specie della nostra legge nazionale, appaiono opportuni e scrupolosi.

Altrettanto pertinente ed adeguatamente motivata si ritiene la decisione circa l'affidamento esclusivo della figlia minore alla madre.

Se, infatti, il nostro ordinamento stabilisce che il giudice debba valutare prioritariamente la possibilità che i figli siano affidati ad entrambe i genitori e che l'ipotesi dell'affidamento esclusivo debba essere considerata come ipotesi residuale, non vi è dubbio che nel caso sottoposto al vaglio del collegio bergamasco non sussistesse il presupposto caratterizzante l'affido condiviso, ovvero quello del comune impegno progettuale dei genitori in ordine alla cura ed alle scelte relative alla vita della prole.

Dimostrata, infatti, la totale assenza fisica e psicologica del padre nella vita della figlia minore (circostanza confermata in sede testimoniale anche dal figlio maggiorenne della coppia), i giudici hanno tenuto anche in debito conto la contumacia del convenuto nel giudizio per trarne un disinteresse nei confronti della stessa domanda di affido esclusivo avanzata dalla madre.

Le acquisite prove, anche in ordine al violato obbligo di provvedere a contribuire al mantenimento dei figli, hanno indotto i giudici a sancire la completa inidoneità del padre ad esercitare un maturo e consapevole ruolo genitoriale: è opportuna, giusta e corretta, pertanto, la decisione del tribunale di attribuire alla madre (risultata idonea e responsabile) anche il potere di assumere autonomamente le decisioni più rilevanti per la figlia.

Il collegio, in questo frangente, ha infatti realizzato il concreto preminente interesse della minore, non essendo pensabile che, a fronte di una totale assenza del padre dalla vita della figlia, il genitore affidatario e collocatario possa continuare ad occuparsi della salute, educazione e crescita della figlia e, quindi, del suo supremo interesse, se obbligato a condividere rilevanti scelte, verso le quali il padre ha dimostrato totale disinteresse, riguardanti la minore stessa.

Padre, peraltro, residente all'estero e di cui non è mai stata nemmeno chiarita l'ubicazione lavorativa ed il reale reddito.

A questo proposito, è interessante analizzare le motivazioni poste a fondamento della quantificazione del giudice bergamasco dell'assegno di mantenimento posto a carico del padre a titolo di contributo del mantenimento dei figli: la domanda della ricorrente volta, infatti, ad ottenere l'emanazione da parte del Tribunale di un ordine di esibizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c nei confronti del convenuto avente ad oggetto le dichiarazioni dei redditi dei redditi e delle buste paga da parte delle aziende tedesche presso le quali il padre risultava prestare attività lavorativa, viene presa in considerazione dal Giudice istruttore attraverso l'applicazione delle disposizioni del Reg. CE n. 1206/2001 che, all'art 4, prescrive le forme ed i contenuti della richiesta da compilarsi, in questo caso, in lingua tedesca dall'interessato ed inoltrata alle autorità dello stato membro. Va chiarito che il fine del regolamento in oggetto è quello di agevolare e facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie dei vari stati membri nell'acquisizione di prove civili.

Poiché il Giudice Istruttore, con ordinanza emessa nel corso del giudizio, avesse invitato la ricorrente alla compilazione del Formulario indicato dal regolamento de quo per i fini di cui alla domanda, e poiché la stessa non vi aveva provveduto, il tribunale ha dichiarato decaduta la moglie dalla relativa richiesta di esibizione.

Questo è il motivo per il quale il collegio ha quantificato la somma dovuta dal convenuto a titolo di mantenimento dei figli basandosi esclusivamente sulle due sole buste paga prodotte dalla difesa della ricorrente e sulle dichiarazioni del figlio maggiorenne.

Suscita, in chi scrive, qualche perplessità detta quantificazione per non avere considerato, il Tribunale, le mutate e aumentate esigenze dei figli nel corso degli anni: confermando, infatti, la somma stabilita a loro favore in sede di separazione, avvenuta nel 2010, reiterata dai provvedimenti presidenziali nel 2017, avrebbe il collegio potuto tenere in debita considerazione, nella redazione della sentenza del 31 ottobre 2019, ciò che la giurisprudenza sostiene unanimemente, ovvero che l'aumento delle esigenze del figlio non ha bisogno di specifica dimostrazione, legittimando di per sé la revisione dell'assegno di mantenimento, anche in mancanza di miglioramenti reddituali e patrimoniali del coniuge tenuto alla contribuzione.

Quanto infine al rigetto della domanda di riconoscimento di assegno divorzile avanzata dalla ricorrente, è noto che già dal 2011, con successivo conforme costante orientamento, la Suprema Corte ha ritenuto che l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, fosse la espressione della volontà di rescindere ogni connessione con il modello di vita caratterizzante la pregressa convivenza matrimoniale, con la conseguenza di far venire meno ogni presupposto per la riconoscibilità di qualsivoglia assegno divorzile.

A maggior ragione, a parere del collegio, nella fattispecie in esame, laddove dall'istruttoria orale è emerso che la convivenza della ricorrente con il nuovo compagno risaliva al 2009, epoca addirittura antecedente alla pronuncia di separazione personale tra i coniugi.

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