Pensione di reversibilità: è sufficiente che l'assegno di divorzio sia riconosciuto prima dell'introduzione della relativa domanda

31 Gennaio 2020

Il diritto dell'ex coniuge all'attribuzione di una porzione della pensione di reversibilità dell'altro presuppone il riconoscimento in suo favore della spettanza dell'assegno divorzile, sia pure in forza di pronuncia emessa in data successiva al decesso dell'ex coniuge titolare
Massima

Il diritto dell'ex coniuge all'attribuzione di una porzione della pensione di reversibilità dell'altro presuppone il riconoscimento in suo favore della spettanza dell'assegno divorzile, sia pure in forza di pronuncia emessa in data successiva al decesso dell'ex coniuge titolare

Il caso

Una coppia, sposata nel 1967, si era separata nel 2001 con riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore della moglie. Nel 2005 era stato introdotto il giudizio di divorzio e in via provvisoria l'importo dell'assegno era stato ridotto; nel 2009 era stata emessa la sentenza parziale sullo status e nel 2012 il marito aveva contratto un nuovo matrimonio. Nell'aprile del 2013 il medesimo marito era deceduto e all'epoca il procedimento di divorzio era ancora pendente. La causa veniva definita solo nel giugno 2013 con la sentenza che attribuiva alla moglie un assegno divorzile decorrente dal deposito della pronuncia.

La moglie divorziata, in seguito, aveva evocato in giudizio il coniuge superstite e l'INPS, per ottenere una quota della pensione di reversibilità e del TFR spettante all'ex marito deceduto. In primo grado la domanda era stata respinta dal Tribunale di Brindisi, che aveva ritenuto insussistente il requisito previsto dall'art. 9 della legge n. 898/1970, in considerazione del fatto che, al momento del decesso del marito, la ricorrente non poteva ritenersi titolare di assegno divorzile, che le era stato riconosciuto solo con la sentenza definitiva di divorzio, emessa in data successiva alla morte dell'ex coniuge.

La Corte d'appello di Lecce aveva riformato parzialmente la decisione, riconoscendo alla ex moglie una quota pari a 35% della pensione, affermando che, per l'attribuzione della quota della pensione di reversibilità, è sufficiente che il provvedimento giudiziale che riconosce il diritto a percepire l'assegno esista al momento della proposizione della domanda, non ritenendo necessario che lo stesso debba essere emesso prima della morte dell'ex coniuge.

Il ricorso cassazione era stato proposto sempre dalla ex moglie, che aveva ritenuto errata la quantificazione della quota, sostenendo che non fosse stato adeguatamente valutato il requisito della durata del matrimonio.

La moglie superstite aveva quindi proposto ricorso incidentale, lamentando la violazione dell'art. 9, commi 2 e 3, della legge n. 898/1970 sostenendo che l'ex coniuge non fosse, al momento del decesso del marito, titolare di assegno, riconosciutole solo successivamente e con decorrenza dalla data della decisione.

La questione

Quando il diritto all'assegno divorzile viene riconosciuto giudizialmente in epoca successiva alla morte del titolare, l'ex coniuge ha diritto alla quota della pensione di reversibilità?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, ancora una volta, è chiamata ad occuparsi dell'interpretazione dell'art. 9 della legge sul divorzio che – probabilmente a causa della eccessiva durata dei giudizi di merito – spesso torna ad essere oggetto di discussione.

Giova ricordare, in merito, che è ormai pacifico che l'attribuzione al coniuge divorziato della pensione di reversibilità, o di una sua quota, ha una funzione solidaristica (cfr. Corte Cost. n. 419/1999), ovvero consentire al coniuge superstite di continuare ad avere il sostentamento che gli era assicurato da quello deceduto, conservando il diritto a un trattamento pensionistico che è geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il vincolo coniugale e, pertanto, elemento costitutivo del diritto è la titolarità dell'assegno divorzile, che, nel caso di specie, ha la funzione di costituire la prova della necessità di assicurare all'ex coniuge adeguati mezzi di sostentamento.

In rima con tale orientamento, anche recentemente, proprio le sezioni unite, con la sentenza n. Cass. civ., sez. un. 22434/2018 hanno affermato che l'attribuzione di un assegno di reversibilità (o di una quota) è sottoposta a una vera e propria “condizione legale”, costituita dalla titolarità dell'assegno divorzile, titolarità che deve essere attuale e definitiva, per cui non è sufficiente che il diritto all'assegno sia stato attribuito in via temporanea e urgente con l'ordinanza presidenziale (in tal senso si erano espresse anche Cass. civ., sez., I 20 febbraio 2018 n. 4107 e Cass. civ., sez. VI, 23 ottobre 2017 n. 25053).

La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, osserva che il giudice di prime cure, nel rigettare la domanda, aveva richiamato alcune pronunce di legittimità che, in realtà, si riferiscono a fattispecie diverse e risultano pertanto inconferenti. In effetti, il giudice del primo grado aveva citato Cass. civ. n. 21022/2008 che aveva negato il diritto alla pensione di reversibilità a un coniuge che percepiva un contributo volontario da parte dell'ex marito, in forza di un accordo delle parti, mai stato formalizzato giudizialmente (difettava dunque il requisito della “titolarità dell'assegno” richiesto, invece dalla norma) e Cass. civ. nn. 12148/2007 e 5422/2006 relative a richieste effettuate da coniugi che ritenevano di avere - in astratto - diritto all'assegno, ma che, in concreto, non ne erano titolari.

La Corte d'appello, invece, rilevata la non pertinenza delle pronunce suddette, aveva affermato che l'art. 9 l. n. 898/1970 prescrive unicamente che l'ex coniuge richiedente debba essere titolare di assegno per il suo mantenimento, ma che la norma non pone alcuno specifico limite temporale al sorgere del diritto e, pertanto, aveva attribuito una quota della pensione, affermando che non era necessario che il provvedimento che riconosce l'assegno dovesse essere emesso prima della morte del titolare della pensione.

Ciò premesso, il Giudice di legittimità ha ribadito che nelle controversie inerenti l'attribuzione della pensione di reversibilità all'ex coniuge, è necessario accertare la sussistenza dei seguenti requisiti: - scioglimento del vincolo coniugale, - riconoscimento, in concreto e non in astratto, del diritto all'assegno, - la titolarità dell'assegno stabilita in un provvedimento di natura giurisdizionale.

Per gli ermellini, ciò che rileva è che un provvedimento giudiziale sia stato emesso prima della formalizzazione della richiesta: il fatto che la decisione sia stata pronunciata successivamente alla morte del marito determina soltanto l'impossibilità di azionare il titolo nei confronti del medesimo, ma la stessa è comunque idonea a costituire il presupposto per la concessione della prestazione previdenziale.

La decisione è in linea con la citata recente decisione delle Sezioni Unite n. 22434/2018 che ha altresì precisato che se il diritto alla pensione di reversibilità ha la funzione di sopperire al venir meno del sostegno economico apportato dal de cuius (in tal senso anche Cass. civ., sez. VI 5 luglio 2017, n. 16602 e Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2014, n. 14793, Cass. civ., sez. I, 21 settembre 2012 n. 16093, Cass. civ., sez. I, 28 novembre 2011, n. 25174) lo stesso sorge solo se viene concretamente a mancare un contributo economico attuale e la “attualità” (che si presume in favore del coniuge superstite) rispetto al coniuge divorziato deve essere attestata dalla titolarità dell'assegno, talché, laddove vi sia stata una corresponsione in un'unica soluzione, deve ritenersi insussistente il presupposto solidaristico che consente l'attribuzione del beneficio.

Osservazioni

La pronuncia in esame, per quanto consta per la prima volta, tratta il tema del momento in cui deve essere emesso il provvedimento che riconosce il diritto all'assegno, ed è chiamata a stabilire se la norma debba essere interpretata nel senso di ritenere che i requisiti della esistenza di un titolo giudiziale e della attualità del diritto debbano precedere temporalmente la morte del titolare della pensione o se, invece, il titolo possa formarsi anche in epoca successiva.

La decisione è assai stringata, tuttavia è evidente che i giudici di legittimità hanno implicitamente affermato che il giudizio con il quale è stato richiesto il riconoscimento dell'assegno divorzile – che deve necessariamente essere stato introdotto prima della morte dell'ex coniuge – deve essere già stato trattenuto in decisione o, comunque, non deve essere stato dichiarato l'evento interruttivo.

Con la decisione n. 4092/2018 della prima sezione, infatti, la Cassazione ha affermato che nel giudizio di divorzio la sopravvenuta morte del coniuge determina la cessazione della materia del contendere, con riferimento sia al rapporto di coniugio, sia a tutti i profili economici connessi (così anche Cass. civ., 8 novembre 2017, n. 26489; Cass. civ., 29 luglio 2015, n. 16051).

Potrebbe quindi accadere che si formi il giudicato sullo scioglimento del vincolo, ma sia ancora pendente il giudizio per l'accertamento del diritto all'assegno e, nel caso in cui la morte del titolare si verifichi prima della pronuncia della sentenza definitiva, e venga così dichiarata cessata la materia del contendere, il titolo idoneo a fondare la richiesta di attribuzione della pensione di reversibilità potrebbe non venire mai ad esistenza.

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