Le motivazioni della Corte d'Assise di Milano sull'assoluzione di Marco Cappato
31 Gennaio 2020
È priva di rilevanza penale la condotta di chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella trova intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Sono state depositate ieri le motivazioni della decisione n. 8/19 della Corte d'Assise di Milano con la quale Marco Cappato è stato assolto dal reato di istigazione al suicidio “perché il fatto non sussiste”.
Riepilogando la vicenda processuale… L'imputato era stato rinviato a giudizio per il reato di induzione e aiuto al suicidio di cui all'art. 580 c.p. per aver rafforzato il proposito suicidiario di Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico a seguito di un incidente stradale, accompagnandolo in Svizzera presso una struttura in cui si era suicidato tramite iniezione di un farmaco letale. La Corte d'Assise aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 580 c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e quindi a prescindere dal contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidiario. La Consulta ha inizialmente rinviato la sua pronuncia in attesa di un intervento legislativo sul tema, in assenza del quale si è dunque espressa con la sentenza n. 242/19. Gli atti sono dunque tornati presso la Corte d'Assise che con la pronuncia in oggetto ha condiviso la formula assolutoria proposta dal PM.
Induzione al suicidio. Il Giudice delle Leggi ha individuato una circoscritta area di non conformità costituzionale della norma nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste in materia di consenso informato e DAT, «agevoli l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente». Le modalità con cui deve essere accertata la sussistenza di tali condizioni sono quelle previste dagli artt. 1 e 2 l. n. 219/2017 in tema di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, fermo restando che per le condotte precedenti a tale pronuncia la punibilità può essere esclusa se l'agevolazione sia stata prestata anche con modalità diverse ma comunque «idonee a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti».
Agevolazione al suicidio. Quanto invece al diverso profilo della condotta di agevolazione al suicidio, ripercorrendo la storia e il percorso sanitario intrapreso da dj Fabo, oltre che le testimonianze e le altre risultanze probatorie raccolte, la Corte giunge ad affermare che Cappato ha aiutato Fabo a morire solo dopo aver accertato che la sua decisione fosse stata autonoma e consapevole, che la sua patologia fosse grave e irreversibile e che gli fossero state prospettate le possibili alternative con modalità idonee ad offrire garanzie equivalenti a quelle richieste dalla pronuncia della Corte Costituzionale.
Per un commento approfondito sulla sentenza, si rinvia a al commento di Lorenzo Cattelan, L'assoluzione di Marco Cappato apre indiscriminatamente la strada alla liceità delle condotte di agevolazione associate a dinamiche suicidarie?
Fonte: Diritto e Giustizia |