Le motivazioni della Corte d'Assise di Milano sull'assoluzione di Marco Cappato

Redazione Scientifica
06 Febbraio 2020

È priva di rilevanza penale la condotta di chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella trova intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.

Sono state depositate ieri le motivazioni della decisione n. 8/19 della Corte d'Assise di Milano con la quale Marco Cappato è stato assolto dal reato di istigazione al suicidio “perché il fatto non sussiste”.

Riepilogando la vicenda processuale… L'imputato era stato rinviato a giudizio per il reato di induzione e aiuto al suicidio di cui all'art. 580 c.p. per aver rafforzato il proposito suicidiario di Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico a seguito di un incidente stradale, accompagnandolo in Svizzera presso una struttura in cui si era suicidato tramite iniezione di un farmaco letale. La Corte d'Assise aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 580 c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e quindi a prescindere dal contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidiario. La Consulta ha inizialmente rinviato la sua pronuncia in attesa di un intervento legislativo sul tema, in assenza del quale si è dunque espressa con la sentenza n. 242/19. Gli atti sono dunque tornati presso la Corte d'Assise che con la pronuncia in oggetto ha condiviso la formula assolutoria proposta dal PM.

Induzione al suicidio. Il Giudice delle Leggi ha individuato una circoscritta area di non conformità costituzionale della norma nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste in materia di consenso informato e DAT, «agevoli l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente». Le modalità con cui deve essere accertata la sussistenza di tali condizioni sono quelle previste dagli artt. 1 e 2 l. n. 219/2017 in tema di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, fermo restando che per le condotte precedenti a tale pronuncia la punibilità può essere esclusa se l'agevolazione sia stata prestata anche con modalità diverse ma comunque «idonee a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti».
Con riguardo al caso di specie, l'ordinanza di rinvio della Consulta aveva già sottolineato la sussistenza delle condizioni per escludere l'illiceità delle condotte di agevolazione contestate a Cappato con riguarda all'autonomia, libertà e consapevolezza della decisione di dj Fabo di porre fine alla propria vita e con espresso riguardo alla ricorrenza delle condizioni di salute che legittimavano l'agevolazione della sua scelta.
Richiamando dunque l'ordinanza di rimessione, la Corte ha dunque confermato l'esclusione della sussistenza della condotta di induzione al suicidio.

Agevolazione al suicidio. Quanto invece al diverso profilo della condotta di agevolazione al suicidio, ripercorrendo la storia e il percorso sanitario intrapreso da dj Fabo, oltre che le testimonianze e le altre risultanze probatorie raccolte, la Corte giunge ad affermare che Cappato ha aiutato Fabo a morire solo dopo aver accertato che la sua decisione fosse stata autonoma e consapevole, che la sua patologia fosse grave e irreversibile e che gli fossero state prospettate le possibili alternative con modalità idonee ad offrire garanzie equivalenti a quelle richieste dalla pronuncia della Corte Costituzionale.
In conclusione, quanto alla formula assolutoria da adottare, la Corte ritiene di aderire all'orientamento della pubblica accusa secondo il quale «la pronuncia di incostituzionalità riduce sotto il profilo oggettivo la fattispecie, escludendo che configuri reato la condotta di agevolazione al suicidio che presenti le caratteristiche descritte. È il maccanismo di riduzione dell'area di sanzionabilità penale che non opera come scriminante ma incide sulla struttura oggettiva della fattispecie». Marco Cappato viene dunque assolto dal reato ascritto perché il fatto non sussiste.

Per un commento approfondito sulla sentenza, si rinvia a al commento di Lorenzo Cattelan, "L'assoluzione di Marco Cappato apre indiscriminatamente la strada alla liceità delle condotte di agevolazione associate a dinamiche suicidarie?".

Fonte: dirittoegiustizia.it

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.