Il direttore sanitario risponde delle carenze organizzative della struttura nella quale svolge il suo compito
10 Febbraio 2020
Massima
L'indicazione dei compiti del direttore sanitario risale alla l. 12 febbraio 1968, n. 128 che prevede l'obbligatoria nomina di tale figura professionale in ogni casa di cura privata, prevedendo un rapporto diretto del medesimo col medico provinciale (ora A.S.L.); il direttore sanitario risponde personalmentedell'"organizzazione tecnico-funzionale" e del "buon andamento dei servizi igienico-sanitari". Il direttore sanitario, quindi, costituisce un diretto referente, nell'ambito delle strutture sanitarie private, degli organi pubblici titolari dei poteri di controllo ed intervento sull'attività delle strutture stesse. Egli, pertanto, assume la responsabilità della gestione della casa di cura sotto il profilo sanitario e, per quanto attiene all'organizzazione, dei diversi servizi tecnici della casa di cura stessa. Il caso
Il Tribunale di Roma, con sentenza confermata dalla Corte d'Appello, aveva condannato tre medici (primario ostetrico, anestesista e direttore sanitario) a pene variabili da un anno e quattro mesi a otto mesi di reclusione, per omicidio colposo, ex art. 589 c.p., nonché al risarcimento dei danni nei confronti dei parenti, per il decesso di una paziente avvenuto nel 2010 in una casa di cura privata. In particolare, veniva addebitata all'ostetrico la responsabilità di aver avviato la paziente al parto gemellare senza monitorare puntualmente le condizioni delle due placente, una delle quali era risultata previa marginale all'esame ecografico a suo tempo effettuato. La stessa sarebbe inoltre stata avviata al parto cesareo, senza considerare che gli esami effettuati avevano evidenziato che fosse anemica. Non era stato infine installato alcun drenaggio per monitorare l'abbondante (seppure non visibile) perdita ematica verificatasi nel corso del cesareo, e la paziente era stata inviata presso una struttura adeguatamente attrezzata quando versava ormai in condizioni disperate per lo shock emorragico, per cui il decesso si verificava inesorabilmente nelle ore successive. L'anestesista sarebbe intervenuto nel parto cesareo senza controllare i dati aggiornati della paziente e senza aver predisposto un'adeguata scorta di sangue, determinando un ritardo nella terapia trasfusionale necessaria ad evitare l'emorragia letale per la paziente stessa. La struttura sanitaria era inoltre priva di emoteca e quindi inidonea alla gestione di un simile intervento e delle sue possibili complicanze. Il direttore sanitario, dunque, sarebbe stato reo della mancata applicazione della Raccomandazione n. 6 del Ministero della Salute del 31 marzo 2008 per la prevenzione del decesso materno, non avendo impedito l'effettuazione di parti cesarei in una casa di cura priva dei requisiti strutturali per la gestione delle possibili complicanze post partum. Egli, inoltre, non aveva vigilato sulla presenza di un numero sufficiente di sacche di emazie o di plasma in sala parto e sul rispetto del divieto di accettazione di gestanti, in assenza di adeguate procedure e di un sanitario di riferimento. Sua, infine, era anche la responsabilità per l'omessa organizzazione di periodiche esercitazioni per il trattamento delle emergenze post partum. La questione
Al direttore sanitario di una casa di cura vengono riconosciute specifiche responsabilità di carattere manageriale, in quanto numerose fonti legislative assegnano a lui il compito di verificare l'appropriatezza delle prestazioni medico-chirurgiche erogate, la corretta conservazione delle risorse a disposizione della struttura nella quale svolge il suo compito e l'organizzazione della logistica dei pazienti. Egli sarà dunque direttamente responsabile per condotta omissiva, per un eventuale illecito commesso nella clinica a lui affidata, al pari del personale sanitario direttamente coinvolto nella prestazione delle cure? Le soluzioni giuridiche
L'imputazione a carico dei professionisti sanitari coinvolti nel procedimento consisteva nell'aver cagionato la morte della paziente, agendo in violazione dei doveri di prudenza, diligenza, perizia ed osservanza dei protocolli sanitari su di loro gravanti, quali esercenti la professione medica ed il ruolo di direttore sanitario. A prima vista, la sentenza in esame appare abbastanza tipica nel panorama dei provvedimenti che purtroppo interessano la responsabilità medica, ma una certa novità consiste nell'interpretazione fornita dai giudici circa il compito e le incombenze attribuite al ruolo del direttore sanitario. Viene infatti sottolineata la sua responsabilità di coordinamento ed organizzazione dell'intera struttura e la sua posizione chiave nell'aver causato, con la sua condotta omissiva, il decesso della paziente. La Cassazione ricorda espressamente come già il Decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128, abbia disciplinato le attività attribuite al direttore sanitario, tra le quali vanno evidenziate: a) la previsione degli schemi di norme interne per la organizzazione dei servizi tecnico-sanitari; b) le decisioni sull'impiego, sulla destinazione, sui turni e sui congedi del personale sanitario, tecnico, ausiliario ed esecutivo addetto ai servizi sanitari dell'ospedale, cui è preposto in base ai criteri fissati dall'amministrazione; c) la vigilanza sul personale da lui dipendente; d) la vigilanza sulle provviste necessarie per il funzionamento sanitario dell'ospedale e per il mantenimento dell'infermo.
La Suprema Corte penale sottolinea inoltre che i compiti del direttore sanitario sono stati successivamente estesi all'espletamento dell'attività di controllo, vigilanza e sorveglianza, anche da numerose ed ulteriori fonti legislative.
L'ampiezza e la rilevanza del suo ruolo sono state infatti confermate anche dal D.P.C.M. 27 giugno 1986, n. 495600 ("Atto di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle Regioni in materia di requisiti delle case di cura private"): «il direttore sanitario cura l'organizzazione tecnico sanitaria della casa di cura privata sotto il profilo igienico ed organizzativo, rispondendone all'amministrazione e all'autorità sanitaria competente"; "propone all'amministrazione, d'intesa con i responsabili dei servizi, l'acquisto di apparecchi, attrezzature ed arredi sanitari (...); vigila sul funzionamento dell'emoteca (...)». Pertanto, in ordine alle regole rilevanti nel caso in specie, al direttore sanitario competeva la vigilanza sul funzionamento dell'intera struttura, dell'emoteca e di tutti gli aspetti relativi all'attività trasfusionale. Anche le disposizioni del decreto del Ministero della sanità in data 1/9/1995 qualificano il direttore sanitario quale referente diretto per la gestione delle problematiche relative all'impiego del sangue all'interno della clinica, estendendo il suo dovere di vigilanza per tutte le attività relative al suo approvvigionamento, distribuzione e trasporto. La Cassazione richiama infine la Raccomandazione n. 6 del 31/3/2008, destinata ad incoraggiare l'adozione di appropriate misure organizzative per evitare o minimizzare l'insorgenza di eventi avversi nell'assistenza al parto e post-partum. La stessa prevede, per quanto attiene al caso in esame: a) la corretta valutazione del rischio della donna, da effettuare sulla base di criteri condivisi dall'équipe assistenziale e accuratamente riportati nella documentazione clinica, differenziati in base ai livelli assistenziali ed organizzativi esistenti; b) l'obbligo di ogni struttura ospedaliera di dotarsi di protocolli e percorsi assistenziali scritti, disponibili e condivisi tra tutti gli operatori sanitari coinvolti, in grado di favorire la raccolta anamnestica completa, l'appropriatezza dei ricoveri in base al livello di punto nascita e le modalità di trasporto in caso di emergenza ostetrica; c) l'obbligo di ogni unità operativa ostetrica di messa a punto di un proprio sistema di comunicazione sulle modalità di comportamento da adottare in fase di emergenza, con la predisposizione di turni di servizio, nel rispetto di criteri di sicurezza e garanzia per le donne e per i professionisti stessi; d) l'obbligo di predisporre la documentazione clinica in modo da fornire tutti gli elementi necessari a rendere rintracciabili e verificabili le attività terapeutiche intraprese, inclusi il decorso della gravidanza e il partogramma; e) l'obbligo di attuare misure di prevenzione, tenendo presenti gli aspetti legati all'appropriatezza dei percorsi diagnostico terapeutici e la qualità della documentazione clinica, con particolare riferimento alle cause di rischio di morte materna, come l'emorragia post partum; f) l'importanza di una formazione aziendale che preveda un training specifico per il personale coinvolto in occasione di travaglio, parto e puerperio, con riferimento ai fattori di rischio ed alla prevenzione della mortalità materna; g) la possibilità per le aziende e per I professionisti sanitari di avvalersi di strumenti di indirizzo quali linee guida, protocolli e percorsi clinico-assistenziali, per migliorare lo standard delle cure erogate e garantirne l'appropriatezza nei percorsi clinico-organizzativi, nonché l'opportunità della partecipazione di tutte le figure professionali a periodiche esercitazioni di simulazione di emergenze ostetriche; h) l'obbligo delle direzioni aziendali di predisporre una procedura standardizzata per l'individuazione di idonee misure preventive della morte materna correlata al travaglio e/o parto. Secondo la Suprema Corte, la condotta superficiale del direttore sanitario è dunque riscontrabile nella mancata predisposizione di adeguate procedure che consentissero di evitare il ricovero di una paziente così ad alto rischio, indirizzandola verso una struttura maggiormente attrezzata, o di subordinarne l'ospedalizzazione all'adozione di particolari precauzioni.
Tale condotta imprudente si era quindi aggiunta a quella dei medici, che avrebbero dovuto tener conto delle condizioni della struttura e della paziente e adottare maggiori cautele per prevenire situazioni di emergenza: «al direttore sanitario di una casa di cura privata spettano poteri di gestione della struttura e doveri di vigilanza e organizzazione tecnico-sanitaria, compresi quelli di predisposizione di precisi protocolli inerenti al ricovero dei pazienti, all'accettazione dei medesimi, all'informativa interna di tutte le situazioni di rischio, alla gestione delle emergenze, alle modalità di contatto di altre strutture ospedaliere cui avviare i degenti in caso di necessità e all'adozione di scorte di sangue e/o di medicine in caso di necessità». Colpa, dunque, derivante dalle carenze nell'organizzazione della casa di cura, fondata sull'inottemperanza del direttore sanitario nell'adottare le cautele gestionali necessarie a prevenire il decesso della paziente. La Cassazione ha respinto pertanto il ricorso dei medici, nonostante i reati fossero nel frattempo estinti per intervenuta prescrizione, con la condanna alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti delle intervenute parti civili.
Osservazioni
Questa decisione della Suprema Corte interviene con chiarezza su una questione che non è certo di poco conto, sulla scia di analoghi provvedimenti che, in linea con l'impostazione fornita dalla l. n. 24/2017, hanno sempre più interessato il cosiddetto rischio d'impresa che grava sulle strutture sanitarie. In questo caso, però, la Cassazione si è spinta ancora più avanti, delineando con grande efficacia, dovizia di particolari e riferimenti normativi, la funzione e la responsabilità degli elementi apicali dell'organizzazione delle strutture private. Com'è noto, l'imputabilità penale di un soggetto giuridico trova una certa difficoltà ad essere invocata, fatta eccezione per poche fattispecie di illecito. Tra queste ultime, il più comunemente coinvolto resta l'illecito risalente alla mancata osservanza della l. n. 231/2001, che verte proprio sull'organizzazione e gestione delle società. I vertici che le compongono assumono personalmente la responsabilità della loro organizzazione e ne rispondono direttamente anche penalmente ed in questo provvedimento la liaison che interessa il ruolo del direttore sanitario risulta addirittura palmare: «al direttore sanitario di una casa di cura privata spettano poteri di gestione della struttura e doveri di vigilanza e organizzazione tecnico-sanitaria.». A questo proposito, c'è da notare come sul piano della responsabilità civile, che concerne l'operatività delle polizze di assicurazione, questo problema non sia stato ancora compiutamente affrontato. Se la funzione di direttore sanitario è salvaguardata all'interno delle coperture che interessano l'ambito pubblico, infatti, non è possibile riscontrare analoghi livelli di protezione nel settore privato, anche se, come ricorda la Suprema Corte, già a partire dalla legge 12 febbraio 1968 le strutture private prevedono obbligatoriamente tale ruolo. Gli assicuratori delle polizze di RC professionale sanitaria concedono infatti senza particolari problemi l'estensione della copertura alla responsabilità derivante dalla funzione di direttore di struttura complessa, o di analoga funzione organizzativa presso enti ospedalieri o cliniche universitarie, ma questa estensione prevede quasi sempre l'esclusione delle funzioni svolte dall'assicurato presso strutture private. Questo tipo di ruolo, a detta delle compagnie, andrebbe coperto direttamente all'interno della polizza acquistata dalla struttura, il che è corretto ed in linea con quanto previsto anche dalla legge Gelli e dalla più recente giurisprudenza, ma non dobbiamo dimenticarci che molte strutture private non prevedono tale estensione (perché la loro polizza non è ancora completamente coerente con i requisiti della normativa in vigore) o non sono di fatto assicurate (perché ricorrono alla cosiddetta autoassicurazione o autoritenzione del rischio). La normativa vigente, inoltre, ha cancellato le differenze esistenti tra strutture pubbliche e private e la responsabilità personale dei dipendenti di queste ultime dovrebbe rientrare nella polizza della struttura stessa, salvo rivalsa sul dipendente in caso di accertata colpa grave. In pratica, quindi, sui direttori sanitari di strutture private grava il pericolo di rispondere con il proprio patrimonio, direttamente o in sede di surroga da parte dell'ente, per la responsabilità derivante da eventuali carenze nell'organizzazione delle strutture in cui svolgono il loro compito. Se non prevista la specifica estensione sulla polizza della società e su quella personale, infatti, l'unico baluardo a loro difesa resterebbe l'eventuale polizza Directors & Officers (che copre proprio il fatto dei direttori e delle figure apicali dell'azienda): ma questi contratti assicurativi sono veramente pochissimi.
La sentenza Questa della Corte di Cassazione in esame contribuisce quindi ad incoraggiare una maggiore consapevolezza dei rischi corsi da questi professionisti sanitari, e – ci auguriamo - una più attenta ed esauriente offerta da parte del mercato assicurativo, nell'ottica della salvaguardia dei diritti dei pazienti mutuata dalla normativa vigente. MARTINI F., Il regresso dell'azienda sanitaria privata verso il medico libero professionista e collaboratore. Il decalogo fissa i limiti sostanziali dell'azione, in Ridare.it ; ZEPPILLI V., Responsabilità medica: i compiti del direttore sanitario, Studio Cataldi: Il diritto quotidiano ; ALTOMARE C., I limiti dell'azione di regresso della struttura verso il medico libero professionista che opera al suo interno, in Ridare.it; CIARDO S., Analogie tra la responsabilità solidale della banca e quella dell'Azienda ospedaliera per fatto proprio dei medici, in Ridare.it. |