Il TAR Lombardia sulla legittimazione processuale dell'ANAC ex art. 211 del Codice e sulla nozione di organismo di diritto pubblico

10 Febbraio 2020

La delibera autorizzativa del Consiglio dell'ANAC assume rilevanza processuale e risulta necessaria al fine di comprendere compiutamente la ragioni a sostegno dell'atto espressivo della legittimazione straordinaria conferita all'Autorità giacché la motivazione espressa dal Consiglio dell'ANAC costituisce un requisito necessario per l'esercizio del potere. La figura dell'organismo di diritto pubblico e, in generale, l'approccio funzionalistico e teleologico del diritto dell'Unione mira ad evitare di sottrarre spazi di applicazione alla normativa che potrebbero comportare la sostanziale vanificazione degli obiettivi di non discriminazione e tutela della concorrenza su cui si basa il sistema delle procedure ad evidenza pubblica, e non mira, invece, ad effettuare il mero conferimento di funzioni e prerogative tipiche della pubblica amministrazione.

Il caso. La decisione in esame muove dal ricorso proposto dall'Autorità Nazionale Anticorruzione, in forza dei poteri conferiti all'art. 211 del D.lgs. n. 50/2016, avverso la lex specialis di un affidamento di convenzioni-quadro per la fornitura di apparecchi di illuminazione pubblica indetta dall'Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti (A.S.M.E.L.).

In particolare l'ANAC, che prima di instaurare il giudizio aveva segnalato all'amministrazione procedente le criticità riscontrate negli atti di gara e l'aveva invitata a conformarsi al parere reso, sosteneva anzitutto il difetto, in capo all'Associazione, dei requisiti per qualificarsi come centrale di committenza (e, pertanto, la capacità di bandire gare per la stipulazione di convenzioni-quadro). In secondo luogo lamentava l'illegittimità della previsione, contenuta nel disciplinare di gara, in base alla quale i concorrenti avrebbero dovuto produrre, in sede di offerta e quale suo elemento essenziale, un “atto unilaterale d'obbligo” con cui s'impegnavano a corrispondere ad ASMEL una (non trascurabile) somma di denaro prima dell'eventuale stipulazione della convenzione-quadro, e ciò “indipendentemente dal plafond assegnato”. ANAC lamentava, infine, un'eccessiva discrezionalità nei criteri di individuazione dell'aggiudicatario e la previsione di un termine troppo ristretto per la (formulazione e) presentazione delle offerte.

L'Associazione, costituitasi in giudizio, eccepiva anzitutto l'inammissibilità del ricorso per carenza dei presupposti fissati all'art. 211 del Codice (sub specie mancata produzione della delibera del Consiglio dell'Autorità contenente l'autorizzazione ad esercitare il potere di ricorrere) e resisteva nel merito affermando il proprio status di organismo di diritto pubblico (siccome formata da enti locali, un'associazione di comuni e da alcuni soggetti “formalmente privati ma con partecipazione pubblica totalitaria”).

In sede cautelare ANAC, in adempimento all'ordinanza del Collegio, depositava copia delle delibere autorizzative ed il T.A.R., riscontrata la capacità processuale dell'Autorità ed i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, accoglieva l'istanza di sospensiva (cfr. T.A.R. Milano, Sez. II, ord. 2 novembre 2019 n. 1446).

Il quadro normativo. La rilevanza della pronuncia in oggetto involge questioni, tanto processuali quanto di merito, di non poco momento.

In punto di rito il T.A.R. lombardo si è pronunciato sulla legittimazione processuale di ANAC e sulle condizioni di ammissibilità dei ricorsi proposti motu proprio dall'Autorità.

Com'è noto i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater dell'art. 211 del Codice (introdotti dal decreto-legge 24 aprile 2017 n. 50, convertito con modificazioni dalla Legge 21 giugno 2017 n. 96) riconoscono all'Autorità, in virtù della funzione di vigilanza e controllo che le è propria, una “legittimazione straordinaria ed eccezionale(cfr. Cons. di Stato, Comm. Spec., parere n. 1119 del 26 aprile 2018, il quale ha specificato che trattasi di un “eccezionale potere di azione finalizzato alla migliore cura e tutela possibile dell'interesse pubblico sotteso alle procedure per l'affidamento dei contratti pubblici”) ad impugnare autonomamente ed in via diretta bandi, atti generali o provvedimenti relativi a contratti “di rilevante impatto” ritenuti violativi delle norme sui pubblici affidamenti (comma 1-bis) ovvero i provvedimenti viziati “da gravi violazioni”, previo invio alla stazione appaltante di un motivato parere e sua mancata conformazione nei termini stabiliti (cfr. comma 1-ter).

L'Autorità, in forza della previsione del comma 1-quater (avente“funzione evidentemente limitativa di quella eccezionale legittimazione ad agire”, cfr. Cons. di Stato, parere cit.), ha regolato il predetto potere mediante il Regolamento adottato con delibera 13 giugno 2018 n. 572, il cui capo II disciplina il “ricorso diretto” e il capo III il “ricorso diretto previo parere motivato”.

Il Consiglio di Stato ha precisato come la facoltà di agire in giudizio sia soggetta ad uno stringente dovere motivazionale giacché "ogni qualvolta l'Autorità, nel rispetto delle previsioni di legge e di regolamento, eserciterà in concreto quei poteri di azione eccezionalmente attribuiti dovrà concretamente motivare la relativa decisione: una diversa opzione interpretativa potrebbe dar luogo a seri dubbi anche di costituzionalità della stessa norma attributiva del potere regolamentare sotto il profilo della ragionevolezza e della razionalità” (Cons. di Stato, parere cit.).

Quanto al merito, la vicenda sottesa inerisce non solo l'istituto delle convenzioni-quadro, definite all'art. 3, comma 1, lett. cccc), n. 1, del Codice come “strumenti di acquisto” (a dire “strumenti di acquisizione che non richiedono apertura del confronto competitivo”) stipulati “da CONSIP S.p.A. e dai soggetti aggregatori” e regolate all'art. 26 della Legge 23 dicembre 1999 n. 488 (c.d. Legge finanziaria per l'anno 2000), ma anche delle nozioni di amministrazione aggiudicatrice (cfr. G. FESTA, Amministrazione aggiudicatrice, in l'amministrativista.it), organismo di diritto pubblico e centrale di committenza (definite, rispettivamente, all'articolo 3, comma 1, lettere a), d) ed i).

In particolare è d'uopo richiamare, senza pretesa di esaustività, come l'organismo di diritto pubblico “sorge come strumento di estensione delle regole sovranazionali dettate in materia di appalti e mira a superare i limiti applicativi altrimenti derivanti da un approccio meramente formale”.

I requisiti (cumulativi) della fattispecie si rinvengono all'art. 3, comma 1, lett. d) del Codice, laddove il legislatore ha chiarito che l'organismo debba essere “istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale” (c.d. requisito teleologico), dotato di personalità giuridica e finanziato “in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

Le soluzioni giuridiche. Il Collegio, nel decidere la controversia, ha anzitutto risolto le questioni di rito emerse nel corso del giudizio.

Circa la legittimazione ad agire di ANAC il T.A.R. ha affermato la “precipua rilevanza processuale” della deliberazione del Consiglio dell'Autorità, che dev'essere prodotta in giudizio ed espressamente motivata (mediante la canonica diarchia tra “ragioni fattuali a sostegno dell'intervento di ANAC” e “presupposti giuridici su cui si fonda l'azione”, la cui unione rappresenta un “idoneo impianto motivazionale”) onde consentire di “comprendere compiutamente le ragioni a sostegno dell'atto espressivo della legittimazione straordinaria ed eccezionale conferita all'Autorità” (donde l'ontologica differenza rispetto all'ordinaria deliberazione dell'organo statale competente a promuovere la lite, che inerisce il rapporto - interno - tra Amministrazione ed Avvocatura dello Stato).

Richiamando il disposto dell'art. 3 del citato Regolamento, i Giudici hanno rinvenuto nella fattispecie controversa anche il requisito della rilevanza richiesto all'art. 211, comma 1-bis, del Codice, stante il notevole importo posto a base di gara, la durata dell'affidamento e la previsione di un'opzione per un termine uguale all'originario.

Si evidenzia inoltre sin d'ora che il T.A.R. ha ricondotto l'(unitaria) azione promossa da ANAC rispettivamente alla previsione del comma 1-bis con riferimento al primo motivo di ricorso ed alla previsione del comma 1-ter rispetto al secondo (essendo rimaste assorbite le ulteriori doglianze).

Quanto al merito della vertenza il Collegio, dopo aver qualificato l'oggetto della gara come convenzione-quadro ed averne ricordato la natura giuridica (“un pactum de modo contrahendi, ossia un contratto “normativo” dal quale non scaturiscono effetti reali o obbligatori, ma la cui efficacia consiste nel vincolare la successiva manifestazione di volontà contrattuale delle stesse parti”), ha negato la legittimazione di ASMEL a svolgere le funzioni di centrale di committenza negandone lo status di organismo di diritto pubblico (e di amministrazione aggiudicatrice), eppertanto la possibilità di operare come centrale di committenza.

I Giudici, riconosciuta l'affermazione dello status come funzionale non già a “sottoporre le … attività alle regole pubblicistiche” bensì a “rivendicare il ruolo di player nel mercato degli affidamenti pubblici da svolgere per conto di altre amministrazioni”, hanno infatti sancito che la nozione di organismo di diritto pubblico elaborata in sede comunitaria “non assume rilievo ex se ma è strumentale al fine della sottoposizione dell'ente ad una specifica disciplina” (anche alla luce del derivato principio di neutralità delle forme ex art. 106 T.F.U.E.) bensì“ad imputare allo specifico soggetto così qualificato il complesso delle regole pubblicistiche per l'attività propria che lo stesso svolge ma non anche ad edificare in capo allo stesso poteri amministrativi da esercitare per conto di altri soggetti pubblici”.

Rigettando quindi l'“autopoiesi della funzione amministrativa … finalizzata non al raggiungimento degli scopi propri del diritto dell'Unione … ma all'attribuzione di prerogative pubbliche” il T.A.R. ha negato la sussistenza in capo ad ASMEL di tutti i tre requisiti per potersi qualificare come organismo di diritto pubblico, evidenziando l'assenza della personalità giuridica (in quanto associazione non riconosciuta), dell'influenza pubblica dominante (a fronte del fatto che l'Associazione si finanzia mediante le quote dei partecipanti, con conseguente “polverizzazione del contributo finanziario che non rende predicative un sostanziale ed effettivo controllo”, nonché dalle somme versate dall'aggiudicatario della gara indetta) e del requisito teleologico (giacché il contributo richiesto all'aggiudicatario rappresenta una finalità lucrativa).

Quanto esposto ha quindi comportato l'illegittimità dell'attività di centralizzazione affidata dai soggetti partecipanti ad ASMEL in base all'assunto per cui “il ricorso ad un soggetto privato che svolga l'attività di centralizzazione della committenza o le attività di committenza ausiliaria possa avvenire, secondo il diritto dell'Unione, esclusivamente ricorrendo alle regole di evidenza pubblica per la scelta del soggetto privato chiamato a svolgere tale servizio e non mediante un affidamento diretto che risulterebbe consentito solo laddove il soggetto chiamato a svolgere simile servizio sia sostanzialmente pubblico”.

Infine il Collegio ha accolto il secondo motivo di ricorso (dichiarando assorbiti i restanti), relativo all'obbligo per l'aggiudicatario di corrispondere ad ASMEL un ingente contributo economico, in quanto tale onere non risultava rapportato alle spese procedimentali bensì diretto ad ottenere una remunerazione per l'attività di “centralizzazione” svolta.

Osservazioni. La pronuncia de qua assume particolare rilievo non solo per le questioni di merito ampiamente (ed esaustivamente) trattate (ad esempio la ratio sottesa all'attribuzione dello status di organismo di diritto pubblico) ma anche per essere la prima sentenza emessa all'esito di un giudizio introdotto dall'Autorità Nazionale Anticorruzione in forza dei poteri conferiti dall'art. 211 del Codice.

Al riguardo si segnala come il Collegio, facendo applicazione dei principi sanciti dal Consiglio di Stato nel parere reso circa lo schema del Regolamento elaborato dall'ANAC in forza del disposto del comma 1-quater, ha affermato il ruolo centrale della delibera autorizzativa del Consiglio dell'Autorità, che dev'essere prodotta in giudizio (ancorché “afferent(e)…alla capacità processuale della parte, come tali, non soggett(a) a preclusioni processuali”), al fine di provare la sussistenza della capacità processuale dell'Autorità e la necessità che essa sia “sorretta da un idoneo impianto motivazionale”, evidenziandone al contempo la differenza ontologica rispetto alle deliberazioni degli organi statali competenti a promuovere la lite.

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