Ascolto del minore e valutazione del suo rifiuto di vedere il padre

11 Febbraio 2020

Accertato, tramite la consulenza tecnica d'ufficio e la relazione dei servizi sociali, che il rifiuto della figlia di vedere il padre è riconducibile alla sua volontà e non al plagio della madre, non possono essere resi i provvedimenti di cui all'art 709 ter cpc contro l'altro genitore.
Massima

Il rifiuto della minore nei confronti del padre riconducibile alla sua volontà e non a plagio della madre giustifica la mancata applicazione delle misure previste dall'art 709-ter c.p.c. Sulle modalità di ascolto del minore provvede il giudice di merito con valutazioni che sfuggono al sindacato di legittimità.

Il caso

Il Tribunale di Torino aveva dichiarato la separazione dei coniugi LF e SM, disponendo l'affido condiviso della figlia con collocamento presso la madre e la sospensione degli incontri con il padre per alcuni mesi, sollecitando i genitori ad attuare un percorso di sostegno psicoterapico per la minore. Tale provvedimento aveva trovato conferma anche da parte della Corte di Appello. Il Tribunale di Torino, adito da LF per la modifica delle condizioni di separazione, aveva pronunciato decreto, con cui, nel respingere tale istanza, aveva evidenziato che la minore soffriva di uno stato di malessere, dipendente dalla persistente conflittualità tra i genitori e che la ragazza non intendeva modificare la quotidianità che viveva con la madre, rifiutando di incrementare gli incontri con il padre, per una scelta personale e non perché plagiata dalla madre. Avverso tale decreto proponeva reclamo LF, lamentando di essere stato costretto più volte a rivolgersi all'autorità giudiziaria per fare modificare le modalità di affidamento della figlia, al fine di poter esercitare il ruolo di padre. La Corte di Appello respingeva il reclamo, rilevando che dalla compiuta istruttoria non emergeva che il difficile rapporto, acuitosi nel tempo con il padre, fosse causato dalla, non dimostrata, opera denigratoria della madre, e confermava quanto fosse inopportuno disporre l'affido esclusivo della minore al padre, con l'effetto di sradicarla dal contesto materno, tanto più che la ragazza era ormai prossima alla maggiore età. Avverso tale decreto, LF proponeva ricorso in Cassazione.

La questione

Accertato, tramite la consulenza tecnica d'ufficio e la relazione dei servizi sociali, che il rifiuto della figlia di vedere il padre è riconducibile alla sua volontà e non al plagio della madre, non possono essere resi i provvedimenti di cui all'art 709-ter c.p.c. contro l'altro genitore. Poichè, inoltre, è stato mantenuto il regime dell'affido condiviso, nessuna violazione del diritto alla genitorialità paterna può essere invocata, essendosi limitati i giudici di merito a rigettare la domanda di affido esclusivo posta dal padre. Viene, altresì, ribadita l'autonomia del giudice nella scelta delle modalità di ascolto del minore, non essendo previsto alcun obbligo per lo stesso di avvalersi di un professionista specializzato e ben potendo procedere autonomamente a tale incombenza.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato il primo e secondo motivo di gravame di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e violazione di legge in relazione agli artt 112,115,116 c.p.c., 614-bis e 709-ter c.p.c. e mancata adozione dei provvedimenti ex art 709-ter c.p.c., risolvendosi entrambi i motivi nel tentativo di ottenere una impropria rivalutazione degli elementi fattuali alla base della decisione impugnata. La Cassazione ha ritenuto che correttamente non siano stati applicati nei confronti della madre i provvedimenti ex art 709-ter c.p.c., essendo stato valutato, a seguito di un attento esame dei fatti rilevanti nella vicenda, emersi dall'attività istruttoria, compresa la denuncia di abusi sessuali in danno della figlia minore rivelatasi infondata, l'atteggiamento assunto dalla minore nei confronti del padre (divenuta maggiorenne nel corso del giudizio) come riconducibile alla sua volontà e non ad un plagio della madre.

Per quanto concerne il terzo motivo di censura e cioè violazione e falsa applicazione degli artt 336-bis, 337-ter e octies c.c., 5 ss della Convenzione di New York e 6 della Convenzione di Strasburgo nonché 91 e 92 c.p.c., la Corte rileva come lo stesso sia composto da una serie di censure sostanzialmente basate sulla necessità di garantire il rapporto padre-figlia. Ma tale necessità per i giudici di legittimità non è mai stata trascurata, essendo stato mantenuto il regime di affido condiviso ed essendosi la corte di appello limitata a rigettare la domanda di affido esclusivo del padre, dopo una complessa attività istruttoria e un approfondito esame della conflittualità esistente fra la figlia ed il padre.

Quanto alle modalità di audizione della minore, per cui si lamenta la mancata assistenza da parte di un professionista specializzato e la mancata indagine sulle autentiche motivazioni sottese alle esternazioni verbali della ragazza, la Corte ribadisce che sulle modalità di ascolto del minore provvede il giudice di merito con valutazioni non soggette al sindacato di legittimità.

Con riguardo alla mancata adozione di misure dissuasive verso la madre, i giudici di legittimità ribadiscono quanto già espresso in precedenza, precisando che la mancata applicazione dell'art 614-bis c.p.c. si giustifica non essendovi un provvedimento esecutivo cui la madre fosse rimasta inadempiente.

Quanto alla cesura relativa alle spese, la Corte ribadisce che la scelta di non addivenire alla compensazione delle stesse non è sindacabile in sede di legittimità. Quanto al quarto motivo, la Corte rileva che la querela di falso non è esperibile rispetto alle valutazioni svolte dai Servizi sociali, le quali sono prive di fede privilegiata.

Infondato è anche il quinto motivo, non avendo il giudice di merito l'obbligo di indicare specificatamente le norme applicate, essendo sufficiente che dalla sua decisione emergano le ragioni in diritto della decisione.

Osservazioni

Due sono i temi su cui l'ordinanza in commento impone una riflessione. Il primo è quello dell'ascolto del minore e del valore da attribuirsi alla sua volontà. Il quadro normativo che si presenta oggi all'interprete è il risultato di un percorso lungo, poiché la necessità di tenere in considerazione la volontà del minore e procedere al suo ascolto nei processi civili, che lo riguardano, era stata da tempo sottolineata nella disciplina transnazionale e convenzionale, e al contempo inspiegabilmente trascurata dal nostro legislatore. L'art. 12 della Convenzione di New York prevedeva una audizione del minore nell'ambito di «ogni procedura giudiziaria o amministrativa» che lo riguardi, e richiedendo, quale unica condizione, la capacità di discernimento. La Convenzione europea di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei fanciulli all'art. 3 ha poi da un lato ribadito il diritto del minore (capace di discernimento) di essere consultato ed esprimere la propria opinione in tutti i procedimenti che lo riguardano, e ha altresì stabilito all'art. 5 che ai minori devono essere riconosciuti ulteriori specifici diritti azionabili nel processo. Anche l'art. 23 del Regolamento CE n. 2001/200311 stabilisce che le statuizioni relative alla responsabilità genitoriale sono riconosciute solo se, salvo casi di urgenza, la decisione è stata resa garantendo al minore la possibilità di essere ascoltato. Un rinnovato impulso è stato fornito dalle Linee guida del Consiglio d'Europa del 2010 (art. III.D), che pongono l'interesse del minore al centro del processo, delineando le forme di una giustizia ad hoc per lo stesso. In Italia solo nel 2006, con l'entrata in vigore della l. 8 febbraio 2006, n. 54 sul c.d. affidamento condiviso, si è assistito alla prima rilevante apertura. Ma sul tema ha inciso l'ultima grande riforma della filiazione, tra la l. 10 dicembre 2012, n. 219 e il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, con cui sono stati introdotti gli artt. 315-bis, 336-bis e 337-octies,c.c. L'ascolto è diventato un «adempimento necessario» (come ormai la Cassazione lo qualifica), in tutte le ipotesi in cui il giudice sia chiamato ad assumere decisioni che riguardano il minore (sulla responsabilità genitoriale, l'affidamento, le frequentazioni), sotto pena di dirette ricadute in termini di invalidità dell'iter processuale. Tale incombente è deputato a raccogliere «le opinioni e i bisogni rappresentati dal minore» e orientare il giudice nelle relative scelte processuali. Il giudice è tenuto a farsi scrupoloso interprete delle istanze del minore. Se quanto da quest'ultimo espresso non si rivela del tutto autentico ma fonte di suggestioni e direttive eteronome (sovente provenienti dagli stessi genitori), potrà essere necessario un approfondimento peritale; e così pure, se le istanze espresse, pur genuine, possano in qualche modo rilevarsi dannose per il minore, il compito del giudice rimane comunque quello di adoperarsi per far sì che questi possa recuperare un pieno equilibrio. Le risultanze dell'ascolto non possono essere considerate alla stregua di prove legali in senso stretto, sia perché ci troviamo in un campo denso di variabili personali, psicologiche, sociali e cronologiche e sia perchè il giudice, nel valutare la situazione e i dati emersi nell'ascolto, ha il dovere di adottare i provvedimenti che siano nel superiore interesse del minore, anche se non in linea con le sue volontà. Nel caso in esame, i giudici di merito avevano valutato le dichiarazioni rese dalla minore alla luce di una complessa e approfondita attività istruttoria, da cui era emerso che il rifiuto della figura paterna non era frutto del plagio della madre ma di una precisa volontà della minore.

Il secondo tema è quello relativo all'applicazione dell'art 709-ter c.p.c. Si tratta di un procedimento strumentale alla verifica della concreta funzionalità rispetto all'interesse del minore del provvedimento in precedenza assunto in sede giudiziale. Quest'ultimo è il presupposto giuridico essenziale per l'adozione dei rimedi di cui all'art 709-ter c.p.c., la cui funzione è quella di rendere effettiva la sua ottemperanza, in presenza di ostacoli che derivano dalla condotta di uno dei genitori. Nel caso in esame, quello che ha rilevato è da un lato che, nonostante la conflittualità genitoriale, era stato mantenuto il regime dell'affido condiviso, e, pertanto, il padre non aveva visto conculcati i suoi diritti, essendosi limitati i giudici di merito a respingere la sua richiesta di affido esclusivo. Dall'altro che, dopo una compiuta e attenta attività istruttoria, l'atteggiamento della minore nei confronti del padre era risultato espressione di un suo personale convincimento e non del plagio materno, che non vi è prova avesse osteggiato la figura paterna.