Lo ha stabilito la Corte costituzionale, con la sentenza n. 14, depositata l'11 febbraio 2020.
Le censure del giudice a quo. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 516 c.p.p., nella parte in cui non prevede, in caso di contestazione di un fatto diverso, la facoltà dell'imputato di chiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Secondo il rimettente, la disposizione censurata violerebbe il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., non consentendo all'imputato di chiedere di essere ammesso al rito speciale a contenuto premiale della sospensione del procedimento con messa alla prova nell'ipotesi in cui, nel corso del dibattimento, gli venga contestato un fatto diverso da quello oggetto della originaria imputazione.
Avendo poi la Corte Costituzionale già dichiarato, con sentenza n. 141/2018, l'illegittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova nell'ipotesi di contestazione di una nuova circostanza aggravante, la mancata previsione di analoga facoltà per l'imputato al quale venga contestato un fatto diverso durante il dibattimento lederebbe, altresì, il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.
Contestazione di un fatto diverso e riti speciali: l'orientamento della Corte Costituzionale. Con una giurisprudenza oramai risalente, la Consulta, muovendo dalla premessa per cui la scelta dei riti alternativi da parte dell'imputato costituisce una delle più qualificanti espressioni del suo diritto di difesa, ha, di volta in volta, dichiarato illegittimi gli artt. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell'imputato di essere ammesso a un rito speciale a contenuto premiale allorché, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, fosse emerso – rispettivamente – un fatto diverso da quello originariamente contestato, ovvero un reato connesso o una circostanza aggravante non previamente contestati all'imputato.
Tali preclusioni sono state ritenute dal giudice delle leggi lesive, altresì, del principio di eguaglianza, venendo l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza dalla maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero (cfr. Corte Cost., n. 265/1994).
L'imputato può chiedere la messa in prova in tutte le ipotesi di nuova contestazione. La Consulta ricorda che, in una prima fase, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale erano state spesso circoscritte all'ipotesi in cui la diversa o nuova contestazione concernesse un fatto già risultante dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale (cfr. Corte Cost., n. 184/2014, n. 333/2009 e n. 265/1994).
Questo criterio limitativo è stato però progressivamente abbandonato dalle pronunce più recenti (cfr., ad es., Corte Cost., n. 82/2019, n. 141/2018 e n. 206 del 2017), nelle quali si è, in sostanza, sottolineato che, in ogni ipotesi di nuove contestazioni – indipendentemente dalla circostanza per cui ciò sia o meno addebitabile alla negligenza del pubblico ministero nella formulazione dell'originaria imputazione – all'imputato deve essere restituita la possibilità di esercitare le proprie scelte difensive, comprensive della decisione di chiedere un rito alternativo.
Tale generale principio è stato applicato anche all'ipotesi di contestazione di nuove circostanze aggravanti nel corso dell'istruttoria dibattimentale di cui all'art. 517 c.p.p., in relazione all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova (Corte Cost., n. 141/2018); istituto che, come osservato dalla Corte, ha effetti sostanziali, perché dà luogo all'estinzione del reato, ma è connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio (cfr. Corte Cost., n. 240/2015, n. 68/2019 e n. 91/2018).
Modifica dell'originaria imputazione: l'imputato può chiedere la messa in prova. Il principio non può che essere esteso anche all'ipotesi – strutturalmente identica – prevista dall'art. 516 c.p.p., che, pertanto, risulta costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, in seguito alla modifica dell'originaria imputazione, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it