Criticità interpretative medico legali delle recenti Sentenze della Cassazione in tema di “danno morale” e “danno differenziale”

13 Febbraio 2020

Le recenti Sentenze della Terze Sezione della Cassazione, pur non rappresentando, in se, un “trattato di medicina legale”, hanno sicuramente fornito al Tecnico Specialista della Materia autorevoli spunti di discussione in tema di valutazione del “danno alla persona”, rimanendo tuttavia irrisolte alcune “criticità” interpretative circa il reale valore probatorio dei parametri attualmente utilizzabili in sede valutativa, allorché si debbano oggettivamente definire tutte le variabili biologiche delle poste risarcitorie del danno non patrimoniale. Analoghe criticità tecniche emergono in relazione all'esclusivo inquadramento valutativo del c.d. “danno differenziale” nel contesto del concetto di “danno incrementativo” che – talora - può non trovare “giustificazione interpretativa” medico legale, ai fini dell'applicazione dei successivi parametri risarcitori afferenti alle Tabelle di liquidazione utilizzate di prassi anche in sede extra giudiziale, col rischio di limitare – in tali sedi - le possibilità conciliative tra le Parti.
La sofferenza correlata

Dalla lettura delle recenti Sentenze della terza Sezione Civile della Cassazione emergono alcune sostanziali "criticità" interpretative tecniche che sembrano derivare dalla parziale conoscenza del Giurista dell'esatto contenuto probatorio del danno biologico, sia in termini di correlazione con gli aspetti di ricaduta sul “fare”, sia in termini di correlazione con gli aspetti sul "sentire" del danneggiato al quale è stato riconosciuto un determinato periodo di Inabilità biologica e che si ritrova a convivere con una determinata invalidità permanente biologica.

Il Giurista, in genere, si trova spesso ad affrontare tematiche liquidative relative ad una casistica estremamente limitata (in genere macro danni) o di "particolare tipologia circostanziale" rispetto alla enorme mole di danni di medio e medio-lieve entità, che afferiscono alla routinaria casistica professionale dello Specialista medico legale, arrivando a conclusioni giuridiche che spesso possono contrastare con l'effettiva realtà risarcitoria delle componenti biologiche di danno non patrimoniale accertabili e definibili dal Medico Legale.

Ed è proprio l'esperienza quotidiana del Medico Legale , valutatore del danno alla persona, ora inserita nel contesto della complessiva stima del "danno non patrimoniale", che impone la necessità di una integrazione dei parametri “ quantitativi (IT e IP) con indicatori di “qualità” della lesione documentata e della menomazione obiettivata in sede “tecnica”, partendo dal presupposto che non esiste alcun automatismo tra “disfunzionalità psichica o fisica” e sofferenza ad essa correlata, mentre esula dalle stretta competenza del medico legale l'apprezzamento di differenti componenti di “Sofferenza” non intrinsecamente correlabili alla lesione temporanee e permanente della integrità psichica o fisica del danneggiato.

Questa distinzione non deve trarre in inganno presupponendo che si possa così pervenire sempre ad una duplicazione risarcitoria.

Nel primo caso (sofferenza lesione/menomazione correlata), si tratta di autonomo parametro tecnico, spesso sconnesso dal parametro di disfunzionalita, ma sempre presente, che dovrebbe essere finalizzato ad una auspicabile e equilibrata rimodulazione dei parametri risarcitori automatici della componente di danno morale , quale prevista, pur con differenti prospettive, da tutte le tabelle di Liquidazione Nazionali, nell'ottica di favorire, nella stragrande maggioranza dei casi, le transazioni extragiudiziarie, oltre ad agevolare il Giudice nella proprie determinazioni liquidative.

La sofferenza conseguente alla lesione di differenti diritti della persona (che in genere ricorre solo in particolari fattispecie di eventi illeciti) è – concettualmente e tecnicamente – una altro aspetto del danno non patrimoniale: in sostanza una sofferenza morale “evento – correlata“, ovviamente non qualificabile tecnicamente , che può coesistere con la lesione della integrità psicofisica o sussistere autonomamente

Nell'ord. n. 7513/2018 della terza Sezione della Cassazione si afferma che il sentimento di “vergogna, disistima, paura, patema d'animo, etc..” non afferisce alle competenze del medico legale, essendo stimabile dal Giudice anche con solo criterio di “presunzione”.

Ciò è vero solo in parte, cioè quando il dato “soggettivo” non riguarda riferimenti probatori afferenti all'entità della lesione e della menomazione della integrità psichica o fisica: ad esempio la “sofferenza morale” afferente alle sole modalità circostanziali dell'evento illecito, oppure da violazione di altri diritti della Persona.

Al contrario se la “paura , la vergogna, la percezione del disvalore della propria integrità e identità psicofisica fisica, il patema d'animo, ecc..” trovano riferimento in conseguenze lesive o menomative dell'integrità psicofisica del danneggiato, il concetto di “presunzione“ deve trovare primariamente “riscontro“ di compatibilità medico legale e quindi assurgere a parametro di “ qualificazione “presuntiva“ tecnica della sofferenza correlata, rispetto alla "oggettiva" realtà della lesione, al suo decorso e al definitivo stato menomativo “ accertati in sede medico legale”.

Il problema rimane comunque aperto nei casi di esclusivo “danno estetico” che non può di certo essere considerato, di per se', un “danno funzionale”, trattandosi- nella maggior parte dei casi, di un “puro” danno al sentire del danneggiato/a, la cui compatibilità comunque, non può prescindere da un coesistente apprezzamento “oggettivo” di ordine tecnico (secondo Bareme), constatabile necessariamente in sede medico legale.

La “generalizzazione” tecnica del danno incrementativo

Un altro punto critico, che emerge dalla lettura della recente sent. n. 28986/2019, riguarda i presupposti valutativi del cd danno “differenziale“ che -secondo l'orientamento della Corte- dovrebbe sempre essere inquadrato dal Medico Legale nel contesto di un danno incrementativo , da tradurre in un calcolo “risarcitorio“ sostanzialmente automatico (sia quantitativo, sia qualitativo) del danno non patrimoniale e quindi con applicazione delle Tabelle del Tribunale di Milano o di Roma, a seconda dei distinti Indirizzi.

Secondo la citata Sentenza «l'accertamento del danno alla salute in presenza di postumi permanenti anteriori all'infortunio, i quali siano in rapporto di concorrenza con i danni permanenti causati da quest'ultimo, richiede al medico-legale di valutare innanzitutto il grado di invalidità permanente obiettivo e complessivo presentato dalla vittima, senza alcuna variazione in aumento od in diminuzione della misura standard suggerita dai baréme medico-legali, e senza applicazione di alcuna formula proporzionale. Gli richiederà poi di quantificare in punti percentuali, il grado di invalidità permanente della vittima prima dell'infortunio, e fornire al giudice queste due indicazioni…».

Il testo poi precisa che«il danno biologico patito da persona già portatrice di postumi preesistenti consisterà dunque in una differenza: per l'esattezza, esso è pari allo scarto tra le conseguenze complessivamente patite dalla vittima dell'infortunio (i postumi complessivi), e le più lievi conseguenze dannose che la vittima avrebbe invece teoricamente dovuto tollerare a causa della sua patologia pregressa, se l'infortunio non si fosse verificato».Arrivando infine alle seguenti conclusioni «…. la stima del danno alla salute patito da chi fosse portatore di patologie pregresse richiede innanzitutto che il medico legale fornisca al giudicante una doppia valutazione: -) l'una, reale e concreta, indicativa dell'effettivo grado percentuale di invalidità permanente di cui la vittima sia complessivamente portatrice all'esito dell'infortunio, valutato sommando tutti i postumi riscontrati in vivo e non in vitro, di qualunque tipo e da qualunque causa provocati; -) l'altra, astratta ed ipotetica, pari all'ideale grado di invalidità permanente di cui la vittima era portatrice prima dell'infortunio».

Tale prospettiva – sulla base della Nostra comune esperienza casistica – risente di una eccessiva “generalizzazione metodologica“ che non tiene conto di un preliminare aspetto tecnico fondamentale rappresentato - per la specifica fattispecie, secondo “ lege artis“ medico legale - dal «criterio di efficienza lesiva di aggravamento e quindi di idoneità della concausa sopravvenuta nel determinismo di un effettivo aggravamento disfunzionale, rispetto allo stato anteriore patologico del danneggiato , indipendentemente dall' incremento percentualistico del disvalore biologico accertato».

Se è pur vero che il “metodo“ di calcolo indicato nelle sentenza può avere dei corretti presupposti tecnici in molte fattispecie ove l'efficienza causale della lesione sopravvenuta e la conseguente idoneità nell'aggravamento di condizione menomativa preesistente, sono oggettivamente significative e determinabili , esistono tuttavia casi in cui il disvalore funzionale accertato a seguito di lesione sopravvenuta, è talora incerto o minimale rispetto allo stato anteriore “patologico“ del danneggiato, con ipotesi di possibili sperequazioni liquidative, allorchè il danno sia calcolato con criterio “ incrementativo”.

Per fare un esempio: se un soggetto portatore di una grave disfunzionalità vertebrale (ad esempio una grave , plurima discopatia lombare sintomatica, stimabile orientativamente con un disvalore biologico del 15%) subisce, per colpa di terzi, la frattura composta di un paio di processi trasversi lombari, idonei a determinare ( con criterio applicativo analogico del baréme di legge ) una IP non superiore al 5%, risulterebbe oggettivamente “anomalo” riconoscere l'equivalente economico di un danno incrementativo compreso tra il 15 ed il 20% , rispetto alle effettiva entità del “disvalore funzionale“ realizzatosi. Quindi una lesione, di per se' ascrivibile al contesto delle cd. Micro invalidità, che diventerebbe una macro invalidità, suscettibile, peraltro, di corrispondente anomalia liquidativa anche della inabilità temporanea.

È bene ricordare, infine, che talora risulta difficile definire con precisione la percentuale di invalidità relativa al “disvalore funzionale preesistente” ovvero stabilire l'entità di quello che si sarebbe comunque realizzato senza la concausa sopravvenuta ai fini del calcolo incrementativo. Una cosa è certa: come giustamente ricordato nella citata sentenza, lo “stato patologio preesistente“ va distinto da possibili condizioni degenerative “parafisiologiche“ (in genere senili), che rappresentano esclusivamente “concause di lesione“ e non di menomazione, cosi da decadere qualsiasi ipotesi valutativa inquadrabile nel contesto del “danno differenziale“.

Altra criticità applicativa, in vero, potrebbe riguardare la richiesta di quantificazione del danno biologico con criterio “incrementativo” nel caso in cui due eventi lesivi – ascrivibili a differenti responsabili civili- determinino contemporaneamente, stabilizzatasi la malattia, un'unica condizione menomativa, in situazioni in cui non sussiste alcuna preesistenza menomativa.

Per esempio, l'ipotesi di un soggetto “sano” che in corso di sinistro stradale subisce una frattura diafisaria di femore che –usualmente, ove adeguatamente trattata– guarisce con esiti mediamente inferiori al 9% di IP.

Se però , a seguito di intercorrente errore chirurgico, la frattura si consolida in maniera peggiore, con lieve procurvazione, maggior rigidità articolare ed eccessivo accorciamento dell'arto così da condizionare un disvalore biologico finale apprezzabile 13 -14%, c'è il fondato rischio che – calcolando il danno col solo criterio incrementativo- il danneggiato ottenga un risarcimento maggiore rispetto a quello che risulterebbe se la valutazione fosse espressa con criterio “ripartitivo“ rispetto alla specifica efficienza lesiva dei due distinti eventi (quello traumatico e quello iatrogeno) nel determinismo della condizione menomativa definitiva.

Il danno differenziale e sofferenza correlata

Restando in tema di “ equità risarcitoria , il problema poi si complica se al danno incrementativo non si associa una valutazione della effettiva “ sofferenza incrementativa correlata “ , essendo evidente che quest'ultimo aspetto “qualitativo“ del danno non patrimoniale non ha alcun rapporto automatico con l'incremento del disvalore “ funzionale “ accertato, ove non si consideri lo stato anteriore del danneggiato e la sua preesistente “ qualità di vita “ che , a seguito di ulteriore decremento disfunzionale potrebbe essere , a seconda dei casi ed indipendentemente dal disvalore funzionale accertato, pressoché invariata, ovvero drasticamente peggiorata.

In conclusione

Le recenti Sentenze della Terza Sezione della Cassazione parrebbero dunque indirizzare verso una eccessiva e non condivisibile “generalizzazione” delle procedure valutative medico legali , foriera di possibili sperequazioni risarcitorie , ove non si consenta al CTU di modulare entrambe le componenti biologiche del “danno non patrimoniale“ (disfunzionalità e sofferenza correlata), ovvero non si possa definire, con adeguata criteriologia medico legale , in caso di danno differenziale, l'effettiva realtà clinico–menomativa conseguente all'incremento di “disfunzionalità (e quindi l'effettiva posta risarcitoria) dell' accertato maggior danno, che talora potrebbe difficilmente inquadrarsi – secondo logica interpretativa medico legale - nel contesto di una apprezzabile “ stima incrementativa”.

Elementi probatori “tecnici“ che, in vero, devono poi trovare riscontro risarcitorio all'interno delle attuali Tabelle di Liquidazione, usualmente utilizzate anche in ambito extra-giudiziario , col rischio di ridurre- in tale sede - il margine di conciliabilità tra le Parti.

L' avvento del “ danno non patrimoniale“ ha comunque consentito allo Specialista Medico legale la possibilità di un intervento tecnico più appropriato ed approfondito per l' individuazione di parametri utilizzabili dal Giudice ( o comunque dall'Operatore di Settore) ai fini applicativi del principio di '” equità risarcitoria” del danno alla Persona , in linea coi presupposti applicativi della “lege artis“ della Medicina Legale , ma tale , comunque , da richiedere attualmente – in analogia con quanto previsto anche dall'art. 15 della legge n. 24/2017 - una effettiva e comprovata “speciale competenza” in materia, soprattutto nel contesto dell'espletamento di Attività Giudiziaria.

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