Donna coniugata riconosce il figlio come concepito fuori dal matrimonio: quali azioni per il marito

Alberto Figone
13 Febbraio 2020

Come deve essere qualificata l'azione con cui il marito di colei che riconosca un figlio come concepito con uomo diverso dal coniuge, intende invece far accertare la propria paternità sul nato?
Massima

In osservanza del principio processuale della "ragione più liquida" deve essere respinta la domanda (da qualificarsi come reclamo dello stato, ex art. 239 c.c.) del marito di colei che, alla nascita del figlio, lo abbia dichiarato come concepito con persona diversa dal coniuge, ove l'accoglimento della domanda dell'attore che, intenda far valere la propria paternità, possa presumibilmente compromettere lo sviluppo e l'equilibrio del figlio, a causa della condotta abbandonica dell'uomo ed i suoi precedenti penali. Ciò a prescindere da ogni eventuale questione di legittimità costituzionale dell'art. 249 c.c., che attribuisce la legittimazione all'azione di reclamo al solo figlio.

Il caso

Nel corso dell'unione matrimoniale fra Tizio, cittadino straniero e l'italiana Caia, nasce una bimba, che la madre riconosce come concepita con uomo diverso dal marito; costui, all'epoca del parto era in stato di detenzione e successivamente ne veniva disposta l'espulsione, senza aver mai instaurato un rapporto con la figlia. Quando ella raggiunge i tre anni, Tizio agisce giudizialmente, per far accertare la propria paternità, nei confronti di Caia e del curatore speciale della minore. Il tribunale respinge la domanda.

La questione

Come deve essere qualificata l'azione con cui il marito di colei che riconosca un figlio come concepito con uomo diverso dal coniuge, intende invece far accertare la propria paternità sul nato? Quali sono i rapporti tra l'interesse del minore alla bigenitorialità e l'accertamento del vincolo di discendenza biologica?

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, con la costituzione dello stato unico di figlio, sono in parte mutati i presupposti costitutivi della filiazione all'interno del matrimonio (definita in precedenza come filiazione legittima), in oggi rappresentati da: esistenza di un matrimonio tra i genitori; parto della moglie; concepimento, ma pure semplice nascita in costanza di matrimonio; paternità del marito. La celebrazione del matrimonio risulta dagli atti dello stato civile, mentre la paternità del marito è oggetto della presunzione di cui all'art. 231 c.c., con le precisazioni temporali di cui all'art. 232 c.c. La ricorrenza dei presupposti di cui sopra è necessaria, ma non sufficiente per l'attribuzione dello status, occorrendo anche la formazione di un conforme atto di nascita del figlio come nato nel matrimonio, ossia da donna coniugata. A seguito della riforma del 1975, l'art. 250 c.c. consente invero ad entrambi i genitori di riconoscere i figli, anche se concepiti con persona diversa dal coniuge, con espressa abrogazione del pregresso odioso divieto di riconoscimento dei figli c.d. "adulterini". Se per l'uomo tale riconoscimento è agevole, per la donna la questione è giuridicamente più complessa, per la concorrente presenza del ricordato art. 231 c.c.. La giurisprudenza da tempo ha peraltro precisato come la presunzione di paternità operi solo nei casi in cui la donna non ritenga di riconoscere il nato come concepito con persona diversa dal marito, posto che, in caso contrario, si darebbe luogo ad una grave discriminazione tra i genitori, in ragione del sesso. Rarissimi sono stati i casi in cui il marito della madre (o, in caso di suo decesso, gli eredi) abbia inteso contestare la dichiarazione di costei e, quindi, ottenere l'accertamento della propria paternità sul nato.

Come ricorda la sentenza in commento, nell'ambito delle azioni di stato, per loro natura tipiche, la fattispecie non è espressamente disciplinata. Agevole pensare ad un'azione di reclamo dello stato di figlio (prima della riforma del 2012/2013, della legittimità): si vuole infatti far accertare e dichiarare lo status di figlio "matrimoniale", invocando la suddetta presunzione, sempre che, nel frattempo, il figlio non sia stato riconosciuto da altro uomo. In questo caso, l'azione dovrebbe essere necessariamente preceduta da una sentenza, passata in giudicato, di accoglimento dell'impugnazione di quel riconoscimento per difetto di veridicità. Sta di fatto che l'art. 249 c.c., nella sua attuale formulazione, attribuisce la legittimazione attiva all'azione di reclamo solo al figlio, che intenda rivendicare uno status differente da quello attribuitogli; nessuna legittimazione compete pertanto in capo a soggetti differenti, in primis proprio il marito della madre, che potrebbe trovarsi inerme di fronte ad una mendace dichiarazione delle propria moglie, per escluderne la genitorialità.

Due allora le opzioni che sono state prospettate in giurisprudenza. La prima (e lo ricorda puntualmente la decisione in esame) fatta propria da un recente precedente (Trib. Messina 3 marzo 2016, in questo Portale) è quella di accedere ad un'interpretazione estensiva, costituzionalmente orientata dell'art. 249, c.c., sì da attribuire legittimazione attiva anche al genitore pretermesso; la seconda, invece, suggerisce di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma suddetta, per irragionevolezza delle scelta legislativa e violazione del diritto d'azione ex art. 24 Cost. I giudici modenesi, pur dichiarando di non condividere il precedente di merito or ora richiamato, preferiscono percorrere invece una terza via, fondata sulla "ragione più liquida", sulla scorta dei recenti orientamenti formatisi nell'applicazione dell'art. 250 c.c., nel caso in cui il genitore, che intenda riconoscere il figlio, voglia superare il mancato consenso dell'altro, che per primo abbia già effettuato il riconoscimento. Si ritiene infatti che l'autorizzazione al "secondo" riconoscimento presupponga un accertamento in concreto dell'interesse del minore ad instaurare uno status filiationis anche con colui che rivendichi la genitorialità. Nella specie, il comportamento abbandonico dell'attore, serbato per anni, insieme con i suoi precedenti penali e l'intendimento di far valere la presunta paternità per ragioni anche personali (rientro in Italia dopo l'espulsione dal territorio) ma pure con la particolare condizione della bambina, che, dopo una vita travagliata, aveva ritrovato faticosamente un proprio equilibrio, inducono il tribunale a rigettare la domanda, senza necessità di attendere un pronunciamento della Consulta, che sarebbe stato altrimenti necessario.

Osservazioni

L'azione di reclamo è stata profondamente modificata dalla riforma del 2012/2013, atteso che l'attuale art. 239 c.c. individua una serie di ipotesi in cui essa può essere esperita. Si fa in particolare riferimento all'esercizio dell'azione per reclamare uno stato di figlio conforme alla presunzione di paternità, in caso di riconoscimento in contrasto con essa. L'art. 249 c.c. attribuisce peraltro la legittimazione ad agire in capo al solo figlio e la relativa azione viene espressamente qualificata come imprescrittibile, in conformità a quanto in oggi previsto per il disconoscimento di paternità e l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità.

La norma non ammette dunque altri soggetti all'esperimento dell'azione. Dovrebbe allora concludersi che il marito di colei che abbia dichiarato il figlio come concepito con persona diversa dal marito, ove intenda far valere la presunzione di paternità, ne sarebbe impedito, difettando di legittimazione. Il Tribunale di Modena prospetta due possibilità per superare questa situazione, la prima già percorsa da una decisione del Tribunale di Messina, con un'estensione interpretativa della platea dei soggetti legittimati, tali da ricomprendere anche il marito della madre. La soluzione risponde ad esigenze di giustizia sostanziale, ma si scontra con la rigidità delle azioni di stato, per loro natura tipiche, nella struttura e negli elementi costitutivi. Una seconda soluzione sarebbe quella di sollevare questione di costituzionalità, per irragionevolezza delle scelte del legislatore (delegato, essendo come noto la disciplina vigente frutto del d.lgs. n. 154/2013), soluzione più aderente al sistema. Eppure, a ben vedere, esiste un'ulteriore possibilità, all'interno della stessa disciplina del reclamo dello stato, senza dover richiamare il diritto vivente in relazione all' art. 250 c.c. e senza dover necessariamente sollevare incidente di costituzionalità. L'ultimo comma dell'art. 249 c.c. prevede infatti che all'azione di reclamo si applichi, tra l'altro, il sesto comma dell'art. 244 c.c., afferente la disciplina dell'azione di disconoscimento della paternità. In base a tale disposizione normativa, l'azione può essere promossa anche da un curatore speciale, nominato dal giudice, su istanza del figlio che abbia compiuto i quattordici anni, ma pure su istanza del pubblico ministero o dell'altro genitore, in caso di età inferiore. È da escludere che il marito della madre, che abbia riconosciuto un figlio come non matrimoniale, possa agire direttamente per la nomina di un curatore speciale, non potendosi qualificare come "genitore". Lo stesso invece ben potrà rivolgersi al pubblico ministero, con un'istanza finalizzata a provocarne la richiesta di nomina di curatore al tribunale competente: la fattispecie corrisponde a quella del genitore biologico che intenda opporsi alla paternità attribuita ex lege al marito di colei che ha partorito, con un'azione di disconoscimento della paternità medesima.

Pare questa la soluzione più corretta, tale da evitare sovrapposizioni fra azioni di stato differenti, come invece affermato dal Tribunale di Modena in funzione della ragione più liquida.

La decisione in commento, dopo aver qualificato correttamente l'azione proposta dall'attore (reclamo dello stato di figlio e non già richiesta di autorizzazione al riconoscimento) e dopo aver nominato un curatore speciale del minore, che aveva chiesto la reiezione della domanda attorea, richiama la giurisprudenza formatasi in ordine all'art. 250 c.c. negli ultimi anni. In precedenza, come noto, si affermava ricorrere una sostanziale presunzione di interesse del minore ad avere due genitori, con la conseguenza che, a fronte dell'opposizione del primo genitore al riconoscimento anche da parte dell'altro, si riteneva che quest'ultimo avrebbe potuto essere autorizzato di regola dal giudice, salvo suoi gravi comportamenti pregressi, tali da poter dar luogo ad interventi ablativi o fortemente limitativi della (allora) potestà, ove questa gli fosse stata attribuita; ciò nel presupposto della ricorrenza di un diritto soggettivo del genitore al riconoscimento del figlio (Cass. 3 gennaio 2008, n. 4; Cass. 3 febbraio 2011, n. 2645). In oggi si richiede invece di procedere ad una valutazione concreta dell'interesse del minore ad avere uno status filiationis con colui che intende riconoscerlo, valutazione che deve riflettere in primis l'accertamento della capacità genitoriale e della fondatezza delle ragioni dell'opposizione del "primo genitore" (Cass. 28 febbraio 2018, n. 4763; Cass. 27 marzo 2017, n. 7762; Trib. Catania 30 novembre 2016; al riguardo Figone, Procedimento ex art. 250 c.c.: profili controversi di rito e di merito; ma v.altresì, in diversa prospettiva, Cass. 14 febbraio 2019, n. 4526).

Le azioni di cui agli artt. 250 e 239 c.c. hanno presupposti ed oggetto differenti: con la prima si chiede al giudice l'autorizzazione al riconoscimento di un figlio, con la seconda (quanto meno nel caso di specie) l'attribuzione della paternità in forza della presunzione ex art. 231 c.c. Le stesse presentano peraltro una stretta connessione ove si ammetta, nell'ambito di quest'ultima, la possibilità per il minore, rappresentato dal curatore speciale, di proporre una sorta di domanda riconvenzionale, volta alla declaratoria di infondatezza della domanda attorea, perché contrastante con il dato genetico piuttosto, che con l'interesse del minore; più volte infatti si è affermato in giurisprudenza che il favor veritatis non rappresenta un valore assoluto, ben potendo cedere al favor minoris. In altri termini, a fronte della domanda del padre che invochi la presunzione legale di paternità per invalidare il riconoscimento materno del figlio come concepito con altro uomo, il giudice dovrà accertare se sussista o meno l'interesse del minore alla declaratoria della paternità, posto che in caso contrario si perverrebbe all'inaccettabile conclusione di obbligare il figlio, una volta accolto il reclamo paterno, a dover instaurare un successivo giudizio di disconoscimento della paternità.

In ragione di quanto sopra esposto, può esprimersi una valutazione positiva nei confronti del ragionamento del Tribunale di Modena, che, ritenuta superflua la preventiva rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell'art. 249 c.c., ha fatto ricorso alla ragione più liquida, individuando un criterio di collegamento tra gli artt. 250 e 239 c.c., tenendo principalmente conto dell'interesse della minore, rappresentata in giudizio dal curatore speciale. La conclusione così raggiunta consente ancora una volta di ripensare all'intero regime delle diverse azioni di stato, per una migliore coordinazione alla luce del presupposto implicito, rappresentato dal perseguimento dell'interesse del minore, il cui perseguimento è imposto non solo dalla disciplina interna, ma anche delle più importanti Convenzioni internazionali. Osserva correttamente la pronuncia in esame come «dovendosi effettuare una valutazione prognostica e un bilanciamento tra i vari interessi in gioco, il rischio concreto che possa essere alterato lo sviluppo armonico della minore ed il suo equilibrio è nettamente superiore al possibile apporto che la figura del ricorrente ... potrebbe dare».

Guida all'approfondimento

AA.VV., Filiazione, Pratica professionale, diretta da Fasano e Figone, I, Milano 2019;

Ravot, Reclamo e contestazione dello stato di figlio, in ilfamiliarista.it.

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