Reclamo avverso gli atti dei professionisti delegati alle vendite

29 Marzo 2023

L'importanza del ruolo del p.d. è molto sentita dal legislatore dell'ultima riforma, il quale, da un lato, amplia e meglio definisce le attribuzioni ed i compiti del professionista delegato; dall'altro, impone al giudice l'onere di vigilare sullo svolgimento e sulla celerità delle attività delegate.
Inquadramento

Attualmente, alla luce della nuova formulazione dell'art. 591-bis c.p.c. che consente di delegare la vendita anche agli avvocati ed ai dottori commercialisti che non esercitano alcuna funzione pubblica, prevale l'idea che il delegato alle operazioni di vendita sia un ausiliario del giudice con conseguente applicabilità dell'art. 68 c.p.c. (sul punto, v. amplius, L. Caradonna, Delega delle operazioni di vendita, in IUS Processo civile, ius.giuffrefl.it).

Poiché il delegato è un ausiliario del magistrato titolare del procedimento, occorre che quest'ultimo possa controllarne gli atti, tanto a priori, quanto a posteriori.

Specularmente al delegato va assicurata la possibilità di rapportarsi al giudice dell'esecuzione, interpellandolo al fine di acquisirne le istruzioni sul modus operandi da adottare in ragione delle contingenze.

Al magistrato spetta dunque il compito di risoluzione di tutte le questioni, tanto materiali, quanto giuridiche, che sorgono durante lo svolgimento delle attività correlate alla delega.

A titolo esemplificativo, va considerato che non spetta al delegato individuare i beni da sottoporre a vendita, trattandosi di una attività svolta dal creditore procedente. Può però accadere che il professionista delegato non rinvenga nel pignoramento o nella trascrizione di questo le indicazioni necessarie per il compimento delle operazioni commesse, per cui non potrà fare altro che interpellare il giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 591-ter.

Non spetta ai professionisti delegati neppure verificare la corrispondenza allo stato di fatto delle indicazioni contenute nell'atto di pignoramento notificato e trascritto, perché è compito dell'esperto offrire ogni utile chiarimento circa possibili discordanze tra atto di pignoramento e realtà che facciano mettere in vendita beni non appartenenti al debitore esecutato o comportino simili eventi. Spetta però al professionista delegato, prima di procedere al compimento delle operazioni delegate, verificare (dopo che analoga verifica è stata già compiuta dal giudice con la pronuncia dell'ordinanza di delega) che il bene possa essere venduto in danno del debitore, perché a lui appartenente secondo la documentazione depositata ai sensi dell'art. 567 c.p.c.; controllo questo che deve essere eseguito sulla (sola) base della documentazione depositata ai sensi della norma ora indicata. Se tale verifica risulti positiva, si può procedere alla vendita con o senza incanto, a seconda delle modalità scelte dal giudice nel provvedimento di nomina.

È invece compito del delegato la determinazione del valore dell'immobile, sulla base oggi del solo valore di mercato.

Professionista delegato e giudice: il sistema di controllo previsto dai “nuovi” artt. 591-bis e 591-ter c.p.c.

Nell'espletamento delle operazioni di vendita il professionista è chiamato ad assumere decisioni suscettibili di ripercuotersi tanto sulle parti del processo esecutivo quanto sui terzi.

L'importanza del ruolo del p.d. è molto sentita dal legislatore dell'ultima riforma, il quale, da un lato, amplia e meglio definisce le attribuzioni ed i compiti del professionista delegato; dall'altro, impone al giudice l'onere di vigilare sullo svolgimento e sulla celerità delle attività delegate, con l'obbligo di provvedere immediatamente alla sostituzione del professionista in caso di mancato o tardivo adempimento (si v. l'art. 591-bis ai commi 12 e seguenti).

Al contempo, il d.lgs. n. 149/2022 è intervenuto anche sul regime di impugnazione degli atti del professionista delegato, introducendo significative novità.

Ciò premesso, occorre ricordare che il regime degli atti del delegato è regolato dall'art. 591-ter c.p.c.

La norma, sotto la rubrica “Ricorso al giudice dell'esecuzione”, prevede che, ove incappi in una difficoltà nell'espletamento del proprio ufficio, il delegato possa rivolgersi al giudice dell'esecuzione; quest'ultimo “risolverà” la difficoltà mediante decreto.

Il professionista, quale delegato del giudice, può risolvere le questioni, i problemi e le difficoltà che incontra nella delega, sia di fatto che di diritto, e, pur in presenza di controversie e contestazioni delle parti, può dirimerle lui stesso.

Nelle ipotesi in cui sia in dubbio sulla legittimità od opportunità della condotta da tenere, il delegato potrà però rivolgersi al giudice, senza particolari formalità, chiedendogli di provvedere con decreto inaudita altera parte.

Le difficoltà possono riguardare sia questioni di fatto, sia di diritto.

La “difficoltà” è nozione dilatata e onnicomprensiva, entro il cui alveo si colloca ogni sorta di criticità riscontrata durante la fase esecutiva della delega.

Stando al testo dell'art. 591-ter vigente sino al 28 febbraio 2023, il decreto con cui il g.e. risolve le difficoltà incontrate dal p.d. nell'esercizio della delega è reclamabile allo stesso giudice dell'esecuzione dalle parti e dagli interessati. Il giudice, dopo aver disposto la comparizione delle parti, provvede con ordinanza.

La riforma mantiene inalterata tale previsione, tuttavia collocandola in un separato comma. Il nuovo primo comma dell'art. 591-ter c.p.c., infatti, espressamente stabilisce che «quando nel corso delle operazioni di vendita insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell'esecuzione, il quale provvede con decreto».

La disposizione nulla prevede quanto al regime impugnatorio di siffatto provvedimento; tale omissione, a parere di chi scrive, non è frutto di una svista del legislatore, ma di una precisa scelta. Il decreto che risolve le difficoltà incontrate dal professionista delegato nello svolgimento delle attività delegate, infatti, è un provvedimento avente carattere organizzativo/interno che non tocca gli interessi delle parti, come dimostra la circostanza che per la sua adozione il legislatore sceglie la forma del decreto, non occorrendo attuare il rispetto del contraddittorio, sulla falsariga dell'art. 610 c.p.c.

Il carattere meramente ordinatorio del decreto, unito anche alla sua nuova collocazione sistematica, inducono allora a ritenere che detto provvedimento non sia in alcun modo impugnabile.

Ne è conferma la circostanza che nella nuova versione dell'art. 591-ter c.p.c. solo avverso gli atti del professionista (e non anche nei confronti del predetto decreto come invece previsto nella attuale formulazione della norma) è ammesso reclamo delle parti e degli interessati.

È però evidente che laddove le indicazioni contenute nel decreto che risolve le difficoltà pratico-operative, confluiscano in un atto del professionista delegato che la parte (o altro interessato) ritiene illegittimo, tale atto potrà essere impugnato secondo le modalità e i termini previsti dai nuovi secondo e terzo comma dell'art. 591-ter c.p.c.

Il reclamo avverso gli atti del professionista delegato

Con la recente riforma, il rimedio del reclamo, dunque, residuerà solo nei confronti degli atti del professionista, che possono così essere contestati al giudice.

Il procedimento di reclamo è incidentale, nel senso che s'inserisce nel processo esecutivo all'interno della fase delle operazioni delegate al professionista.

Legittimati attivi sono tutte le parti del processo esecutivo e, quindi, i creditori (quello procedente e quelli intervenuti), il debitore esecutato, il terzo assoggettato all'espropriazione, nonché gli interessati, quali l'offerente all'incanto, l'aggiudicatario provvisorio e l'offerente in aumento del quinto.

Nell'attuale vigenza (i.e. quella valevole sino al 28 febbraio 2023), a causa dell'assenza di ogni indicazione in merito, si era posto il problema dell'individuazione del termine per la proposizione del reclamo. Oggi, tale questione può dirsi definitivamente risolta, giacché il nuovo secondo comma della norma prevede espressamente che il reclamo è proponibile «con ricorso al giudice dell'esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal compimento dell'atto o della sua conoscenza».

Dunque, in applicazione dei principi generali in tema di preclusione e di nullità degli atti processuali, la mancata contestazione dell'atto posto in essere dal p.d. nel termine di venti giorni dal suo compimento o dalla sua conoscenza comporterà la definitiva stabilizzazione dello stesso, nel senso che non potrà più essere contestato dalle parti interessate, fatto salvo il potere del giudice di revocarlo o modificarlo.

Una volta proposto reclamo, il giudice dell'esecuzione dispone la comparizione delle parti e provvede con ordinanza.

È escluso, quindi, che si possano impugnare direttamente gli atti del professionista delegato con uno strumento diverso dal reclamo al giudice dell'esecuzione.

Infine, la proposizione del reclamo non sospende le operazioni di vendita, salvo che il giudice disponga altrimenti, concorrendo gravi motivi.

Il controllo avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione

Riassuntivamente, dal novellato sistema delineato dagli artt. 591-bis e 591-ter c.p.c., si desume la possibilità, nel corso dell'espletamento del delega, di adottare:

a) decreti ad opera del giudice dell'esecuzione per risolvere le difficoltà sorte nello svolgimento delle operazioni delegate al professionista, i quali tuttavia non possono più essere reclamati con ricorso allo stesso giudice dell'esecuzione;

b) atti del professionista reclamabili con ricorso al giudice dell'esecuzione.

Le ordinanze emesse dal g.e. in esito al reclamo avverso gli atti del delegato sono a loro volta impugnabili.

Nel testo previgente alla riforma del 2015, l'ordinanza decisoria con cui il giudice dell'esecuzione definiva il reclamo poteva essere impugnata con l'opposizione agli atti esecutivi. A tale conclusione si perveniva in considerazione del fatto che l'art. 591-ter c.p.c., nel suo ultimo periodo, stabiliva che «restano ferme le disposizioni di cui all'art. 617».

Inoltre, dalla lettera dell'art. 591-ter c.p.c. si evinceva che il reclamo previsto dalla norma fosse l'unico mezzo per impugnare gli atti posti in essere “di iniziativa” dal professionista. Difatti, era esclusa la possibilità di proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. direttamente contro gli atti del delegato (Cass. civ., 26 giugno 2006, n. 14707; Cass. civ., 20 gennaio 2011, n. 1335), ritenendosi che l'opposizione agli atti esecutivi fosse il mezzo esperibile contro le ordinanze del giudice dell'esecuzione pronunciate a seguito del reclamo delle parti del processo esecutivo e non anche il mezzo per contestare direttamente gli atti del delegato.

Di contro, laddove i vizi della procedura delegata precedenti l'aggiudicazione non fossero stati oggetto di reclamo, essi, in quanto riverberatisi sul decreto di trasferimento, ne permettevano l'impugnabilità ai sensi dell'art. 617 c.p.c. per nullità derivata. Pertanto, gli interessati, quando non avessero esperito il reclamo, potevano, comunque, impugnare con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. il decreto di trasferimento poiché esso costituiva l'atto con cui il giudice dell'esecuzione, recepiti i risultati del procedimento liquidatorio svolto a cura del professionista, portava a compimento la vendita forzata.

La novella del 2015 (d.l. n. 83/2015), nel modificare l'art. 591-ter, ha previsto espressamente che contro l'ordinanza del g.e. è ammesso reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.

E' stato affermato che il legislatore è approdato alla soluzione introdotta, non perché abbia voluto trasformare l'istituto del reclamo di cui all'art. 591 ter c.p.c., “in conseguenza di una rivisitazione complessiva dei criteri che improntano lo svolgimento delle opposizioni esecutive, ma in virtù di una mera scelta di opportunità pratica” (Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Milano, 2017 (e-book), 999).

Come si desume anche dalla lettura della Relazione illustrativa al d.l. n. 83/2015, invero, la soluzione prescelta nasce dall'esigenza di far sì che la risoluzione delle controversie endoesecutive scaturite dallo svolgimento della attività delegata venga realizzata utilizzando un rimedio snello, contemporaneamente idoneo ad apprestare una decisione ponderata, in quanto proveniente dal tribunale in composizione collegiale.

La (non) ricorribilità in cassazione dell'ordinanza resa all'esito del reclamo ex art. 591-ter secondo la recente giurisprudenza di legittimità

La previsione dell'esperibilità del rimedio del reclamo in luogo dell'opposizione agli esecutivi ha determinato il sorgere della questione della impugnabilità con il ricorso per cassazione dell'ordinanza collegiale resa al termine del procedimento di reclamo ex art. 591-ter.

Sul punto è intervenuta Cass. civ., 9 maggio 2019, n. 12238, la quale, disattendendo le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale, ha stabilito che l'ordinanza collegiale pronunciata ai sensi dell'art. 591-ter ultimo periodo e 669-terdeciesc.p.c. non è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., giacché detto provvedimento non solo non la forma della sentenza, ma, soprattutto, è priva dei requisiti della decisorietà e della definitività.

Le motivazioni della Corte di cassazione

Per la Corte, infatti, l'ordinanza resa dal collegio ex art. 591-ter c.p.c. deve ritenersi priva di contenuto decisorio per varie ragioni.

In primo luogo, scopo del subprocedimento incidentale è quello di superare eventuali incagli pratici o vincere le perplessità del professionista delegato, ma non quello di risolvere con efficacia di giudicato questioni di diritto.

Partendo da questa premessa, allora, la Cassazione deduce che i decreti e le ordinanze pronunciati dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 591-ter c.p.c., costituiscono esercizio di un'attività ordinatoria di impulso, coordinamento e controllo (e non un'attività decisoria finalizzata a risolvere con efficacia di giudicato una questione controversa), giustificata dalla particolare natura del rapporto tra giudice delegante e professionista delegato, il quale ultimo è un ausiliario del tutto sui generis ed espleta funzioni in tutto equiparate a quelle giurisdizionali del delegante.

In altre parole, il controllo del collegio sulle ordinanze emesse del giudice dell'esecuzione in esito al ricorso ex art. 591-ter c.p.c. costituisce un “controllo su un'attività ordinatoria”, e ne mutua tale natura.

Del resto, stando alla S.C., anche la lettera della legge conforta questa soluzione.

Come già accennato, l'art. 591-ter permette al professionista delegato di chiedere istruzioni al g.e. in caso di difficoltà: ora, in tutte le norme dove ricorre il sostantivo difficoltà (artt. 534-ter, 610, 613, 669-duodecies, 678 c.p.c.) si fa riferimento ad impedimenti materiali, ad ostacoli fisici o contrattempi operativi, dinanzi ai quali il giudice impartisce ordini per rimuovere tali ostacoli, non per risolvere definitivamente una controversia.

Oltre che priva di natura decisoria, l'ordinanza collegiale pronunciata all'esito del reclamo avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione pronunciati ai sensi dell'art. 591-ter deve, ad avviso della S.C., ritenersi inoltre priva del carattere della definitività.

Dalle premesse poste ne discende, ad avviso della giurisprudenza di legittimità, che l'ordinanza collegiale di cui all'art. 591-ter, ultimo periodo, c.p.c. (nel testo modificato dalla riforma del 2015) non è ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c.

Per la giurisprudenza, inoltre, eventuali nullità verificatesi nel corso delle operazioni delegate al professionista sono destinate a trasmettersi agli atti successivi riservati al giudice dell'esecuzione, i quali possono essere impugnati con l'opposizione agli atti esecutivi, facendo valere la nullità derivata dall'errore commesso dal professionista delegato nei limiti ed alle condizioni di cui all'art. 617.

Il diverso orientamento sostenuto da parte della dottrina

La scelta di escludere la ricorribilità per cassazione dell'ordinanza resa all'esito del procedimento di reclamo di cui all'art. 591-ter ha suscitato la reazione di parte della dottrina, che ha portato a fondamento della sua posizione numerosi argomenti.

In primo luogo, dal sistema delineato dalla legge pare evincersi che gli atti del delegato abbiano una efficacia verso le parti del processo e verso i terzi identica a quella dei provvedimenti emessi dal giudice dell'esecuzione; come è stato osservato (Leuzzi, Il controllo dell'attività del delegato e il nuovo meccanismo della reclamabilità “diffusa”,in www.inexecutivis.it, §2), la «delega in null'altro si compendia se non nella devoluzione delle operazioni di vendita ad un soggetto che, per quanto estraneo all'ordinamento giudiziario, dispone di prerogative singolari, tra le quali un potere di audizione, che esercita con modalità analoghe al giudice dell'esecuzione (per esempio per deliberare sulle offerte: art. 572, comma 1, c.p.c.); altri poteri inconfutabilmente decisori sono declinati dall'art. 572, comma 3, c.p.c.»; sussiste in capo al p.d. «la facoltà di irrogare addirittura sanzioni (esemplificativamente spicca la perdita della cauzione, a norma dell'art. 584 c.p.c.)».

Peraltro, la circostanza che l'art. 591-ter c.p.c. contempli uno specifico incidente di esecuzione, se da un lato porta ad escludere la contestuale accessibilità del rimedio dell'opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c., non può dall'altro spingere alla conclusione dell'assenza di un sistema di controllo idoneo a produrre i medesimi effetti dell'opposizione agli atti esecutivi.

Escludendo la possibilità di contestare l'ordinanza conclusiva del reclamo avverso gli atti del delegato, infatti, si finisce per creare un doppio binario impugnatorio a seconda che il giudice abbia ritenuto o meno opportuno delegare la vendita ad un professionista.

Nella procedura senza delega al professionista, contro i singoli atti esecutivi è sempre proponibile l'opposizione agli atti, che si conclude con sentenza ricorribile per cassazione; onde evitare una disparità di trattamento occorre allora ammettere che anche avverso la decisione sul reclamo ex artt. 591-ter e 669-terdecies si possa esperire il ricorso per cassazione.

Peraltro, privare il reclamo del carattere di rimedio impugnatorio idoneo a conferire stabilità agli atti oggetto del controllo finisce per pregiudicare gravemente il principio di stabilità della vendita forzata; laddove la vendita si svolga direttamente davanti al giudice dell'esecuzione, i singoli atti esecutivi possono essere impugnati con l'opposizione agli atti esecutivi e, in mancanza, sono stabilizzati per effetto dell'inutile decorso del termine dei venti giorni, mentre nella diversa fattispecie della vendita delegata, tutti i vizi (eventualmente occorsi dalla ordinanza di delega in poi), sono destinati a riverberarsi sul decreto di trasferimento, provvedimento esclusivo del giudice dell'esecuzione e, pertanto, impugnabile mediante opposizione ex art. 617 c.p.c., così mettendo a repentaglio la stabilità della vendita (G. Parisi, Inammissibile il ricorso straordinario avverso l'ordinanza del tribunale che risolve le controversie sorte in sede di vendita forzata delegata, su IUS Processo civile, ius.giuffrefl.it).

L'intervento riformatore

Le perplessità qui sinteticamente riportate hanno indotto il legislatore della riforma a ritornare sui propri passi, prevedendo l'introduzione di un nuovo terzo comma nell'art. 591-ter c.p.c., a mente del quale «sul reclamo di cui al secondo comma, il giudice dell'esecuzione provvede con ordinanza, avverso la quale è ammessa l'opposizione ai sensi dell'articolo 617».

Viene così introdotto un meccanismo di sterilizzazione analogo a quello che opera per i vizi propri dei provvedimenti del giudice, determinato dall'inutile decorso dei 20 giorni per la proposizione dell'opposizione agli atti.

Nel nuovo regime, così come i vizi dei provvedimenti del g.e. rimangono sanati dal decorso dei 20 giorni di cui all'art. 617 c.p.c., anche quelli degli atti compiuti dal professionista – se non censurati a norma del nuovo art. 591-ter c.p.c. – finiranno per stabilizzarsi, senza ripercuotersi sul decreto di trasferimento; né potranno essere rilevati dal g.e. (d'ufficio o su istanza di parte) al di fuori dello schema e dei termini individuati dal legislatore.

Tale meccanismo viene applicato anche per l'omologo rimedio regolato dal novellato art. 534-bis c.p.c. per la vendita forzata mobiliare, prevedendosi al terzo comma della norma che «sul reclamo di cui al secondo comma, il giudice dell'esecuzione provvede con ordinanza, avverso la quale è ammessa l'opposizione ai sensi dell'articolo 617».

Ora, l'intervento riformatore sembra quanto mai opportuno perché:

a) restituisce all'istituto del ricorso ex art. 591-ter c.p.c. il carattere impugnatorio che la Corte, ormai sommersa dai ricorsi, gli aveva - in maniera “asistematica” - negato;

b) consente di scongiurare i rischi determinati dalla revoca del decreto di trasferimento e dalla avvenuta realizzazione dell'effetto purgativo della vendita forzata (v. sul punto Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2020, n. 28387);

c) non interferisce con il potere di controllo della procedura che rimane saldamente in capo al g.e., il quale potrà – indipendentemente dall'esperimento dell'art. 591-ter c.p.c. – fino alla pronuncia del decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c., revocare l'aggiudicazione per tutti quei vizi che superano lo sbarramento di fase (v. ad es. i vizi in materia di pubblicità, la vendita di un bene oggettivamente diverso da quello pignorato, ovvero di un bene danneggiato e reso inutilizzabile rispetto alla sua funzione dal debitore, ecc.).

Riferimenti
  • Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, Torino, 2017, 350;
  • Costantino, La delega al professionista ex art. 591-bis a (quasi) venti anni dal suo esordio, in Scritti in onore di Roberto Pardolesi, a cura di Di Ciommo e Troiano, Piacenza, 2018, 207 ss.;
  • Cosentino, La delega delle operazioni di vendita, in AA.VV., La nuova esecuzione forzata, diretta da Demarchi Albengo, Bologna, 2018, 1423;
  • Farina, L'ennesima espropriazione forzata «efficiente» (ovvero accelerata, conveniente, rateizzata e cameralizzata), RDPr, 2016, 147;
  • Farina, La delega nell'espropriazione immobiliare: principi normativi e giurisprudenziali, in Manuale degli ausiliari dell'esecuzione immobiliare. Stima, custodia e delega nelle operazioni di vendita, a cura di De Stefano e Giordano, Milano, 2018, 463 ss.;
  • Farina, L'ultima sistemazione dell'esecuzione forzata: una prima lettura della nuova normativa, in REF, 2022, 1119 ss.;
  • Farina, Riforma del processo civile: Il reclamo avverso gli atti del professionista delegato, in questa Rivista;
  • Saletti, sub art. 591 ter c.p.c., in AA.VV., Le nuove riforme dell'esecuzione forzata, Torino, 2016, 314 ss.;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Milano, 2017 (e-book), 997 ss.
Sommario