La Suprema Corte conferma la mancata convalida dell’arresto di Carola Rackete nella vicenda Sea Watch 3

Carmelo Minnella
26 Febbraio 2020

In sede precautelare di convalida dell'arresto o del fermo, per la sussistenza della causa di giustificazione dell'adempimento di un dovere o dell'esercizio di una facoltà legittima o della causa di non punibilità non si richiede che questa “appaia evidente”, ma che essa sia “verosimilmente esistente” sulla scorta delle circostanze di fatto conosciute o conoscibili con l'ordinaria diligenza, tenuto conto del rango costituzionale dei beni in gioco.

In sede precautelare di convalida dell'arresto o del fermo, per la sussistenza della causa di giustificazione dell'adempimento di un dovere o dell'esercizio di una facoltà legittima o della causa di non punibilità non si richiede che questa “appaia evidente”, ma che essa sia “verosimilmente esistente” sulla scorta delle circostanze di fatto conosciute o conoscibili con l'ordinaria diligenza, tenuto conto del rango costituzionale dei beni in gioco.

Questo il principio di diritto statuito dalla Terza Sezione di Cassazione, che rigetta il ricorso della Procura di Agrigento nella nota vicenda Sea Watch 3, nella nota vicenda ove il G.I.P. agrigentino non ha convalidato l'arresto di Carola Rackete, eseguito dai militari della Guardia di Finanza, ritenuta indiziata dei i reati di resistenza o violenza contro nave da guerra (art. 1100 cod. nav., comma 1) e di resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337 c.p., comma 2).

Il rigetto della richiesta di convalida del GIP di Agrigento. Il Giudice, operata una ricognizione delle fonti sovranazionali in materia di navigazione e di salvataggio in mare, analizza la condotta attribuita alla Rackete e conclude per la non convalida dell'arresto, oltre ad affermare l'insussistenza della prima incriminazione, per mancanza di tipicità (in quanto assente la qualifica di nave da guerra, secondo il dictum della sentenza n. 35/2000 per la quale la qualifica di nave da guerra viene attribuita alle navi della Guardia Costiera solo qualora si trovino fuori dalle acque nazionali oppure in un porto di uno Stato dove manca una rappresentanza consolare italiana); e l'insussistenza della seconda ipotesi criminosa per mancanza di antigiuridicità, ritendendo il fatto scriminato dall'adempimento di un dovere ex art. 51 c.p.

Il ricorso per cassazione della Procura: 1) Superamento dei limiti normativi dell'arresto… Avverso tale decisione interponeva ricorso davanti alla Suprema Corte la Procura di Agrigento, lamentando 3 motivi: 1) il giudice avrebbe travalicato i limiti della fase precautelare dell'arresto, procedendo ad una autonoma valutazione dei dati in suo possesso e prevenendo ad un giudizio sostanziale sulla gravità indiziaria. Mentre invece avrebbe dovuto semplicemente valutare la legittimità dell'operato della polizia giudiziaria effettuando un controllo di ragionevolezza sullo stesso, senza addentrarsi addirittura a ritenere configurabile l'esimente dell'adempimento di un dovere;

… 2) Qualifica di nave da guerra della motovedetta V808. Il secondo motivo di gravame attiene alla erronea applicazione dell'art. 1100 cod. nav.. Ciò in quanto la sentenza n. 35/2000 della Consulta non conterrebbe la limitazione che costui ne aveva tratto (le unità della Guardia di Finanza sono considerate navi da guerra solo quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare); al contrario, la giurisprudenza di legittimità in più casi avrebbe qualificato le motovedette della Guardia di Finanza come “navi da guerra”, dovendosi qualificare in tale senso la motovedetta V808.

… 3) Insussistenza dell'adempimento di un dovere. L'ultimo dei motivi sui quali si muove il ricorso per cassazione della Procura agrigentina è erronea applicazione dell'art. 51 c.p. e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione relativa alla sussistenza della causa di giustificazione dell'adempimento del dovere. Per la ricorrente Procura, la concreta valutazione del fatto e il bilanciamento degli interessi in gioco avrebbero dovuto indurre il giudice alla valutazione della circostanza che i migranti, una volta messi in sicurezza a bordo della nave, non erano più esposti ad in pericolo imminente per la loro vita, sicché la condotta dell'indagata non avrebbe potuto ritenersi giustificata dall'adempimento del dovere di soccorso, già avvenuto. Inoltre, il Giudice non avrebbe considerato le modalità alternative con cui avrebbe potuto essere adempiuto il dovere di soccorso, mediante il trasbordo dei naufraghi a terra con le scialuppe di bordo.

Le argomentazioni della Suprema Corte. Una volta avere tracciato i confini tra convalida e applicazione di misure cautelari (in quanto la prima al passato e per il futuro, affinché perduri la limitazione della libertà personale, occorre un autonomo provvedimento idoneo a costituire titolo autosufficiente per fondare una limitazione del diritto di libertà, Sez. III, n. 15137/2019), i Giudici di legittimità ritengono che il giudice di Agrigento ha correttamente interpretato quelle norme di legge sull'arresto (artt. 385 e 391 c.p.p.) alla luce dei principi di rango costituzionale.

Valutazione “complessiva” e non parcellizzata degli elementi fattuali. Per i Giudici di Cassazione, la misura precautelare venne stata adottata al di fuori del perimetro di legalità, in forza della ricorrenza di una causa di giustificazione, individuata nell'adempimento del dovere di soccorso. Tale causa di giustificazione trovava correttamente il proprio fondamento, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, proprio in una valutazione complessiva e non parcellizzata di tutti gli elementi fattuali rilevanti per comprendere la situazione palesatasi agli operanti nelle fasi immediatamente precedenti alla condotta di ingresso nel porto, e di quelli ad essi antecedenti, tutti elementi conosciuti da coloro che avevano operato l'arresto.

Basta la “verosimile esistenza” dell'esimente (e non “l'evidenza”, richiesta invece in sede cautelare). Muovendo, in primo luogo, dall'interpretazione dell'art. 385 c.p.p., la Suprema Corte ritiene che non sia richiesto che la sussistenza della causa di giustificazione dell'adempimento di un dovere o dell'esercizio di una facoltà legittima o della causa di non punibilità “appaia evidente”, ma che essa sia “verosimilmente esistente” sulla scorta delle circostanze di fatto conosciute o conoscibili con l'ordinaria diligenza, tenuto conto del rango costituzionale dei beni in gioco.
A supportare tale lettura interpretativa, si consideri che l'art. 273 c.p.p. impone al GIP che emette un'ordinanza custodiale, di valutare, in sede di adozione della misura cautelare, se “risulta” che il fatto sia stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione, accertamento che non richiede, che la ricorrenza dell'esimente sia stata positivamente comprovata in termini di certezza (richiesta invece per l'affermazione della penale responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio), essendo sufficiente, a tal fine, la sussistenza di un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia compiuto in presenza di tale causa di giustificazione.

Il corretto operato del GIP di Agrigento sul rigetto della convalida dell'arresto della Rackete. Per gli Ermellini, la verosimile esistenza della causa di giustificazione è stata congruamente argomentata. In questo ambito, il provvedimento ripercorre le fonti internazionali sia allo scopo di individuare il fondamento giuridico della causa di giustificazione, identificata nell'adempimento del dovere di soccorso in mare, sia al fine di delinearne il contenuto idoneo a scriminare la condotta di resistenza. Proprio le citate fonti pattizie in tema di soccorso in mare e, prima ancora, l'obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto (direttamente applicabile nell'ordinamento interno, in forza del disposto di cui all'art. 10 comma 1 Cost.) sono il parametro normativo che ha guidato il Giudice nella valutazione dell'operato dei militari per escludere la ragionevolezza dell'arresto della Rackete, in una situazione nella quale la citata causa di giustificazione era più che “verosimilmente” esistente.

L'obbligo di soccorso si esaurisce solo con il c.d. place of safety. La Cassazione respinge la tesi della Procura secondo la quale l'attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L'obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell'atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l'obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”).
Ciò in quanto il punto 3.1.9 della Convenzione SAR dispone che le persone in pericolo in mare vengano sbarcate dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro nel più breve termine ragionevolmente possibile. Per l'Italia, il piace of safety è determinato dall'Autorità SAR in coordinamento con il Ministero dell'Interno.

Il luogo sicuro di salvataggio dei naufraghi. Secondo le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) allegate alla Convenzione SAR, il Governo sia tenuto a fornire un luogo sicuro o assicurare che esso sia fornitole autorità di salvataggio; e che «un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale» (par. 6.12).
Per i Giudici di legittimità non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse.

Esclusione della qualifica di nave da guerra della motovedetta V808 per mancata dimostrazione della presenza di un “Ufficiale”. La Suprema Corte rigetta anche il secondo motivo di ricorso perché ritiene che per poter essere qualificata come “nave da guerra” l'unità della Guardia di Finanza deve altresì essere comandata da «un Ufficiale di Marina al servizio dello Stato e iscritto nell'apposito ruolo degli Ufficiali o in documento equipollente», il che nel caso in esame non è dimostrato. Non è sufficiente che al comando vi sia un militare, nella fattispecie un maresciallo, dal momento che il “maresciallo” non è ufficiale. Né peraltro il ricorso documenta se tale “maresciallo” avesse la qualifica di cui sopra. Dunque, non è stata dimostrata, nel caso concreto, la sussistenza di tutti i requisiti necessari ai fini della qualificazione quale “nave da guerra” della motovedetta V.808 della Guardia di finanza, nei cui confronti sarebbe stata compiuta la condotta di resistenza.

Inammissibile il motivo sulla censurata insussistenza dell'adempimento di un dovere. Il terzo motivo di ricorso viene ritenuto infine inammissibile perché propone una censura che si pone fuori dal perimetro del sindacato del Giudice sulla non convalida. Quest'ultimo resta delineato, come lo stesso ricorrente evidenzia nel primo motivo di ricorso, al controllo di ragionevolezza dell'operato di coloro che hanno eseguito l'arresto in flagranza. Non rilevano quindi valutazioni alternative dei fatti e diverse interpretazioni delle fonti normative, ai fini della configurazione e dei confini della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. oppure prospettazioni alternative in ordine all'adempimento del dovere di soccorso e alla sua ampiezza, fondate su una interpretazione diversa della nozione di “piace of safety” contenuta nella convenzione Sar di Amburgo, che ne delinea peraltro puntualmente l'ambito e i confini.