Gli accordi di separazione non sono ostativi all’assegno di divorzio
26 Febbraio 2020
Massima
Gli accordi disciplinanti “le condizioni di separazione”, essendo diretti a regolamentare gli obblighi inter partes in ragione e in conseguenza della separazione, non possono che limitare la loro efficacia temporale esclusivamente al periodo della separazione personale e quindi non possono incidere in alcun modo sull'eventuale nuova insorgenza di obblighi reciproci successivamente alla pronuncia di divorzio in presenza dei presupposti per il loro riconoscimento, essendo la natura e la causa di tali doveri diversa da quella che legittima il riconoscimento di obblighi di mantenimento nel corso della separazione. Il caso
Tizio chiedeva la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto con Caia (senza che fossero nati figli dal rapporto coniugale) con esclusione di ogni disposizione di carattere patrimoniale, avendo i coniugi riconosciuto di essere economicamente autosufficienti nelle condizioni di separazione consensuale; al riguardo Tizio precisava di aver adempiuto agli obblighi, previsti in dette condizioni, di trasferire alla moglie la propria quota di proprietà di un immobile e la proprietà di un'autovettura nonché di corrisponderle la complessiva somma di 43.000,00 euro. Caia aderiva alla domanda sullo status, ma chiedeva in via riconvenzionale il riconoscimento di un assegno di divorzio, essendo disoccupata e impossibilitata a trovare occupazione, sostenendo che gli accordi presi in sede di separazione non potessero costituire un'implicita illecita rinuncia all'assegno divorzile, stante la relativa natura assistenziale. La questione
Le attribuzioni patrimoniali concordate nell'ambito degli accordi di separazione possono incidere sull'eventuale nuova insorgenza di obblighi reciproci successivamente alla pronuncia di divorzio, se del caso precludendo il riconoscimento dell'assegno divorzile? A tal fine, in quali termini deve essere interpretato il parametro dell'(in)adeguatezza dei mezzi, di cui all'art. 5 comma 6 della Legge 898/1970? Le soluzioni giuridiche
La risoluzione della questione ha reso necessaria una preliminare indagine circa il rapporto esistente tra assegno di mantenimento e quello di divorzio, onde verificare se l'autosufficienza economica dichiarata nelle condizioni di separazione e l'avvenuta attribuzione a favore della moglie di un cespite, di un'autovettura e di una somma di denaro, potessero essere ostativi al riconoscimento del contributo ex art. 5 l. 898/70. A tale quesito il Tribunale di Perugia ha dato una risposta composita. In prima battuta, ha negato che la dichiarazione di autosufficienza resa in separazione potesse rendere non scrutinabile la domanda di assegno divorzile, stante la diversità sostanziale tra quest'ultimo e il contributo di mantenimento in favore del coniuge separato, sottolineando come soltanto nel secondo caso la causa giustificatrice sia il dovere di assistenza ex art. 143,2 comma c.c., che presuppone la permanenza del vincolo coniugale, mentre l'assegno di divorzio rinviene il proprio fondamento nel dovere inderogabile di solidarietà economica ex artt. 2 e 23 della Costituzione e, come tale, insensibile ai pregressi accordi patrimoniali definiti in sede di separazione. Il Tribunale, quindi, ha chiarito che, nel caso in esame, gli accordi di separazione non erano nulli per illiceità della causa, essendo libera espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi nella sfera economico patrimoniale con un'efficacia temporale limitata esclusivamente al periodo della separazione personale, ma ha rilevato nel contempo che gli stessi «non possono incidere in alcun modo sull'eventuale nuova insorgenza di obblighi reciproci successivamente alla pronuncia di divorzio in presenza dei presupposti per il loro riconoscimento, essendo non solo la natura ma anche la causa di tali doveri totalmente differente rispetto a quella che legittima il riconoscimento di obblighi di mantenimento nel corso della separazione». Fatta questa premessa generale, il Tribunale è passato ad indagare se le attribuzioni fatte da Tizio a favore della moglie potessero escludere l'attribuzione di un assegno, la cui debenza deve essere valutata sulla scorta degli ultimi arresti giurisprudenziali. Per oltre venti anni il criterio guida nell'interpretazione dell'art. 5 comma 6 L. 898/1970 (che riconosce l'assegno laddove il coniuge beneficiario non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive) è stato quello di attribuire all'avente diritto un assegno tale da consentirgli di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Tale orientamento è stato ribaltato dalla Corte di Cassazione nel 2017 (sentenza n. 11504/2017), stabilendo di ancorare l'accertamento dell'an debeatur al solo criterio dell'indipendenza economica della parte richiedente. La Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 18287/2018), nel mitigare i due contrapposti orientamenti, ha sancito la natura non solo assistenziale ma anche compensativa e perequativa dell'assegno divorzile di tal che l'(in)adeguatezza dei mezzi va riferita sia alla possibilità di vivere autonomamente sia all'esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate per aver dato, in accordo con l'altro coniuge, un decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune. Conformemente a tale orientamento, il Tribunale di Perugia ha indagato la situazione economica delle parti ma, in assenza di una prova certa della mancanza attuale di mezzi di sussistenza per Caia (gravando su di essa l'onere di provare l'esistenza delle condizioni che giustifichino l'attribuzione), ha ipotizzato l'intervento del Collegio per riequilibrare la condizione reddituale di Caia al solo fine di compensarla dell'apporto materiale e morale dato allo svolgimento della vita coniugale, con sacrificio delle proprie legittime aspettative professionali – unico profilo che, nel caso di specie, secondo il Tribunale avrebbe potuto giustificare la permanenza di un vincolo di solidarietà economica fra ex coniugi. Tuttavia, non consentendo gli elementi acquisiti di avere reale contezza dei redditi effettivi delle parti, il Tribunale ha ritenuto che le attribuzioni patrimoniali già realizzate in virtù degli accordi di separazione fossero idonee ad essere computate nella quantificazione del ristoro a lei dovuto per i sacrifici fatti per consentire la crescita professionale e morale del marito, rigettando quindi la domanda riconvenzionale della resistente. Il Tribunale ha dunque concluso che <<(…) benché la ragione delle attribuzioni patrimoniali concordate va ricercata, come si è detto, esclusivamente nella separazione personale, in difetto della prova certa della mancanza attuale di mezzi di sussistenza da parte della resistente che possa giustificare ex sé il riconoscimento dell'assegno divorzile sotto il profilo assistenziale in adempimento del dovere di solidarietà ex art. 2 Cost., le avvenute attribuzioni non possono essere ignorate e acquistano rilievo (nel senso che vanno computate) anche nella quantificazione del ristoro a lei dovuto per aver sacrificato per un periodo della sua vita la sua realizzazione personale per dare un costante apporto alla crescita professionale e morale del marito.>> Osservazioni
Relativamente all'incidenza degli accordi di separazione nel divorzio, giova sottolineare che secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, i soggetti interessati non possono determinare in tali accordi – in via quindi preventiva – gli effetti patrimoniali del divorzio, non potendo gli stessi accordi implicare una rinuncia all'assegno divorzile; e ciò considerata anche l'autonomia e diversità della natura e causa dei doveri di assistenza tra coniugi separati e divorziati. In particolare, anche se i coniugi in sede di separazione consensuale abbiano stabilito la corresponsione di una somma di denaro una tantum, per il mantenimento del coniuge più debole, ciò di per sé solo non esclude il riconoscimento dell'assegno di divorzio, al ricorrere dei relativi presupposti, nel corso del successivo procedimento instaurato per la cessazione degli effetti civili del matrimonio (Cass. 21 febbraio 2008 n. 4424). Allo stesso modo, l'autorità giudiziaria è libera di determinare la debenza e l'entità dell'assegno di divorzio anche laddove sia stata dichiarata dai coniugi in sede di separazione la loro autosufficienza economica (Cass. 20 dicembre 1995 n. 13017; Cass. 6 dicembre 1991 n. 13128), posto che la relativa determinazione deve avvenire sulla base di criteri suoi propri autonomi rispetto a quelli normalmente rilevanti in sede di separazione. L'emergere della funzione anche compensativa e risarcitoria dell'assegno divorzile nell'interpretazione giurisprudenziale può indurre tuttavia, come nel caso di specie, il giudice a tener conto delle attribuzioni patrimoniali effettuate in sede di separazione personale: queste infatti, benché abbiano la relativa causa nella separazione, possono acquistare rilievo quale elemento di valutazione ai fini della quantificazione complessiva del ristoro dovuto al coniuge per la sua dedizione e sacrificio in vista della crescita della famiglia. Nella valutazione complessiva della situazione economica dei coniugi e dei ruoli svolti da entrambi all'interno della relazione coniugale, peraltro, il Tribunale di Perugia ha posto in evidenza anche un ulteriore aspetto, ovvero <<che l'incidenza della cessazione del vincolo nel fenomeno del mutamento in peius delle condizioni economiche del coniuge debole debba essere apprezzata anche con riferimento al decorso del tempo dalla cessazione, che consente di esigere dal coniuge divorziato (in misura inversamente proporzionale all'età) di attivarsi alla ricerca di un'occupazione che attenui in tutto o in parte lo squilibrio tra la situazione pregressa e quella successiva, esigibilità tanto maggiore ove egli non abbia significativamente contribuito alla formazione della posizione economico-patrimoniale della coppia.>> Ecco dunque che, alla luce del mutato indirizzo interpretativo giurisprudenziale circa i presupposti del riconoscimento dell'assegno divorzile, possono acquistare rilievo anche aspetti fattuali diversi da quelli in precedenza solitamente considerati. Inevitabilmente quindi, si pone il problema dell'impatto dell'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite del 2018 sui processi iniziati sotto il vigore delle vecchie regole. Infatti, l'individuazione di una nuova regola giuridica in luogo di una precedente implica spesso la valorizzazione di un quadro fattuale diverso: prediligendo una determinata regola da applicare, ovviamente, il Giudice individua anche i fatti dai quali trae le conseguenze per la sua applicazione. Pertanto, l'affermazione di una nuova regola giuridica può comportare in concreto la valorizzazione di aspetti fattuali non considerati dalla vecchia regola perché irrilevanti. Auletta, Gli accordi sulla crisi coniugale, in Familia, 2003, 45 ss. Maria Novella Bugetti, Le rinunzie ai diritti contenute nell'accordo di separazione, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., fasc. 3, 2012, pag. 957 Antonio Gorgoni, Associato di Diritto privato, Università di Firenze, Accordi definitivi in funzione del divorzio: una nullità da ripensare, in Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, Biblioteca Della Fondazione Italiana Del Notariato, 1, 2018, 291 ss. |